Esteri

Cina, niente target annuale di crescita.Stretta Hong Kong, condanna pure Biden

di Lorenzo Lamperti

L'indebolimento del modello "un paese, due sistemi" porterà a nuove tensioni con gli Usa. Niente stima sul pil, rallenta la crescita delle spese militari

Prima Hong Kong, poi il "mancato" target di crescita. Le lianghui, l'annuale appuntamento legislativo della Cina, sono cominciate col "botto". Pur essendo due mosse attese, si tratta davvero di due passi rilevanti da parte di Pechino. Dopo un 2019 di proteste, il governo cinese ha deciso di operare una stretta sull'ex colonia britannica imponendo una legge sulla sicurezza nazionale che aggira l'amministrazione locale e di fatto anticipa il pensionamento del modello "un paese, due sistemi", che dovrebbe restare in vigore fino al 2047, quando la provincia autonoma tornerà sotto il controllo totale di Pechino a 50 anni di distanza dalla restituzione del territorio da parte del Regno Unito. Mentre l'assenza di un target di crescita annuale dimostra, oltre all'imprevedibilità degli sviluppi della pandemia, che il Covid-19 ha colpito duramente l'economia cinese.

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NIENTE TARGET DI CRESCITA PER IL 2020 (NON ACCADEVA DAL POST TIANANMEN)

Lo ha riconosciuto anche il premier Li Keqiang in occasione dell'apertura dei lavori dell'Assemblea generale del popolo: "Il coronavirus comporta immense sfide sul fronte economico". Sfide che arrivano proprio nell'anno in cui l'obiettivo annunciato (e non ritirato) è quello dell'eliminazione della povertà assoluta per la transizione verso una "società moderatamente prospera" nel 2021. Ma, per la prima volta dal 1990 (anno post Tiananmen) Pechino non ha fissato un target di crescita annuale, indicando l'impegno ad aumentare le spese per sostenere l'economia colpita dal Covid-19. Ci si attendono su questo fronte investimenti importanti in materia di trasporti e infrastrutture ma anche stimoli per piccole e medie imprese.

20 MILIARDI DI DOLLARI PER LA RIDUZIONE DELLA POVERTA'

A proposito di riduzione della povertà, la pandemia e la crescente disoccupazione hanno portato il governo cinese ad aperture inedite sotto il profilo del welfare. La prima mossa, intanto, è quella di stanziare 146.1 miliardi di yuan, circa 20.6 miliardi dollari, per elevare il tenore di vita dei cinesi. Secondo i dati di Xinhua, il numero di persone che vivono in condizioni di povertà è sceso a 5,51 milioni alla fine del 2019 da 98,99 milioni alla fine del 2012. Ma ora c'è lo spettro disoccupazione. I dati ufficiali dicono che le persone senza lavoro erano il 5,9% a marzo, il che significherebbe circa 27 milioni di persone. Ma, secondo le stime dell'economista Zhang Bin, il numero reale potrebbe essere molto maggiore e arrivare fino a circa 80 milioni di cinesi. 

RALLENTA LA CRESCITA DELLE SPESE MILITARI

Rallenta invece la crescita delle spese militari, che per il budget 2020 si attesta al 6,6%, in ribasso rispetto al +7,5% del 2019. Ciò significa che il governo di Pechino investirà nel settore circa 178 miliardi di dollari, seconda spesa globale alle spalle degli Stati Uniti, come già accade da tempo. Aumento significativo vista la pandemia, ma che non risponde alle richieste del PLA, che secondo Inkstone avrebbe voluto un aumento quantomeno in linea con l'anno passato, auspicando però un +9%. L'intenzione del Partito Comunista Cinese è di incentivare l'ammodernamento del settore militare e la sua componente tecnologica, puntando sulla qualità, anche perché come "quantità" Washington resta nettamente davanti.

LEGGE SULLA SICUREZZA NAZIONALE PER HONG KONG

A proposito di Usa, Li Keqiang ha detto che "la Cina è pronta a lavorare con gli Stati Uniti per implementare la fase uno dell'accordo commerciale per porre fine alla guerra dei dazi". Ma la realtà è che nella sfida ormai totale tra Washington e Pechino si aggiungerà anche il capitolo Hong Kong. Il premier Li ha confermato che Pechino creerà "un forte" sistema legale per la sicurezza nell'ex colonia britannica. Si tratta di quella legge sulla sicurezza nazionale di cui ha parlato ieri il South China Morning Post. 

VERSO LA FINE DEL MODELLO "UN PAESE, DUE SISTEMI"

Finora i tentativi per introdurla erano andati a vuoto anche per immense proteste, come accaduto per esempio nell'anno post SARS. Ma stavolta c'è una sostanziale differenza. La proposta di legge non arriva dal Consiglio esecutivo di Hong Kong ma direttamente dal governo cinese. Ecco perché questo apre, ancora di più, alla fine del principio "un paese, due sistemi" su cui si è retto finora il fragile equilibrio. I media cinesi insistono molto sulla necessità di "porre fine al caos" dopo le proteste degli scorsi mesi, sottolineando le conseguenze economiche dell'instabilità. 

CARRIE LAM "PRONTA A COLLABORARE"

Carrie Lam, sgravata dall'onere di introdurre una misura che non avrebbe avuto la forza di imporre, ha già dichiarato che "collaborerà pienamente con il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo per completare al più presto la legislazione pertinente" aggiungendo che "svolgere i compiti di mantenimento della sicurezza nazionale e garantire la prosperità e la stabilità a lungo temine di Hong Kong, nel quadro del modello "un paese, due sistemi", rappresentano le priorità.

IL SENATO USA ACCELERA, SANZIONI SU HONG KONG

In realtà l'instabilità potrebbe aumentare, sia sul fronte interno con nuove manifestazioni, sia su quello esterno, con gli Stati Uniti che discutono in questi giorni alcuni passi che potrebbero mettere in discussione le relazioni commerciali con Hong Kong nel caso questa finisca sotto un controllo più diretto di Pechino. Non a caso, i senatori americani, sia repubblicani sia democratici, accelerano su una proposta di legge per imporre sanzioni contro funzionari e istituzioni cinesi che "minano l'autonomia" dell'ex colonia britannica. Dopo lo (scontato) tweet del segretario di Stato Mike Pompeo, "siamo dalla parte dei cittadini di Hong Kong", è arrivata una presa di posizione molto netta anche Joe Biden, che fa capire che l'opposizione a Pechino negli Usa è bipartisan. Il silenzio degli Stati Uniti su Hong Kong è "devastante": "non dovremmo restare in silenzio. Dovrebbe chiedere e incitare il resto del mondo a condannare" la Cina su Hong Kong, ha dichiarato lo sfidante di Trump, rendendo chiaro che il confronto resterà acceso chiunque sarà alla Casa Bianca il prossimo anno.

LA PARTITA STRATEGICA SU TAIWAN

Questo rischia seriamente di diventare un nuovo capitolo della contesa tra superpotenze, così come lo è già diventato Taiwan, che osserva con attenzione (e preoccupazione) quanto viene deciso sull'ex colonia.  L'Ufficio di Taipei per le Relazioni con la Cina ha criticato la stretta su Hong Kong, sostenendo che porterà a "nuovo caos", mentre Li ha ribadito che il PCC "incoraggerà" i cittadini dell'isola "a unirsi a noi nell’opporsi alla indipendenza di Taiwan e a promuovere la riunificazione della Cina”. Hong Kong e Taiwan: un binomio che entrerà sempre di più nella dialettica (e non solo) della sfida tra superpotenze.