Esteri
Cina su Marte: sfida agli Stati Uniti. Che cosa cambia ora per l’Occidente?
La Cina è diventata la terza Nazione al mondo a condurre un proprio mezzo sulla superficie del Pianeta Rosso. Che cosa significa tutto ciò? L'ANALISI
Come vediamo il mondo? Lo vediamo come esso è realmente, oppure come crediamo di vederlo? Risorge l’eterno dilemma, la dicotomia alla Schopenhauer fra volontà e rappresentazione, il filtro soggettivo di uno sguardo che nasconde invece una realtà oggettiva. Vale per tutto: anche per la Geopolitica. E segnatamente per la Geopolitica dello Spazio.
La Cina, con l’ammartaggio del rover Zhurong (cioè “Stella del Fuoco”, dall’antico nome cinese di Marte), è diventata la terza Nazione al mondo a condurre un proprio mezzo sulla superficie del Pianeta Rosso, bruciando letteralmente le tappe. Alla missione Tianwen-1 (che in mandarino significa “domande celesti”) sono stati necessari meno di sei anni per passare dalla fase di progettazione, principiata nel 2014, fino al lancio effettivo, risalente al 23 Luglio del 2020. Un percorso piuttosto liscio, che ha altresì potuto beneficiare delle evidenze (comprensive anche di problematiche ed eventuali punti deboli) rese disponibili dagli omologhi progetti occidentali. Per un’immediata comparazione, si pensi che alla missione ExoMars sono invece occorsi ben tre lustri per passare dai modelli matematici progettuali alla rampa di lancio.
Che cosa significa tutto ciò? Significa che si è (e non da oggi) innegabilmente aperta una nuova corsa allo Spazio, dominio celeste che il Celeste Impero di Pechino vorrebbe/vuole colonizzare. Con un obiettivo ben al di là del pur significativo avanzamento scientifico. L’esplorazione dello Spazio rappresenta infatti uno dei più fulgidi esempi di tecnologie dual-use, dove le ricadute applicative sono immediate e intercettano tanto il comparto civile (si pensi alle telecomunicazioni) quanto soprattutto quello corporate e militare.
A tal proposito, in occasione del recente lancio del primo modulo della nascente Stazione Spaziale Orbitale Cinese, il Presidente Xi Jimping ha inviato un messaggio al gruppo di missione, incoraggiandolo a “portare avanti con convinzione ed entusiasmo lo spirito delle due bombe e del satellite”. Con esplicito riferimento, dunque, alla rotta delineata e tracciata negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso dal Partito Comunista, per assicurare – ipse dixit – l’incolumità della giovane Repubblica Popolare: ovvero testare un ordigno nucleare, collocarlo a bordo di un missile balistico intercontinentale e lanciare un primo satellite in orbita.
Tutti obiettivi pienamente conseguiti. E non certo a vantaggio del nostro Occidente, in apparenza cieco, arrendevole e attendista di fronte alla galoppante avanzata del Dragone, famelico di sapere e di cervelli in larga misura depredati in Europa.
Risultato? Le immagini e le notizie di questi giorni, con tanto di paventati pericoli per il rientro di grossi detriti in atmosfera, hanno come per magia acceso la fiamma della consapevolezza, dimostrandoci quanto la Cina ci sia e sappia fare. Peraltro, essendo tutt’altro che irrealistico pensare alla prima camminata sulla Luna di un “Taikonauta” già nel 2030.
“Il più grosso ostacolo che la Politica e la Diplomazia occidentali incontrano fronteggiando il programma spaziale di Pechino, è dato dal fatto che non si sappia esattamente che cosa la Cina voglia fare”, così afferma Mark Hilborne, Esperto di Difesa presso il King College di Londra, in un recente articolo comparso sul Financial Times. Ciò che davvero preoccupa non è quindi la Luna, ma in questo caso il dito che la copre, perché è proprio nel dito (sul grilletto) che si celano i potenziali impieghi ostili delle conquiste spaziali siniche.
L’auspicio è che l’Occidente, vittima tra l’altro della pandemia e del pandemonio del Covid-19 (virus, andrebbe sempre rammentato, di provenienza cinese) sappia finalmente risvegliarsi dall’intorpidimento dei sensi e della ragione, reagendo sul piano dei primati e della qualità scientifica e tecnologica che ancora ci appartengono.
Guardando cioè la Geopolitica con occhi nuovi, più cauti, consapevoli e attenti. Come asseriva Albert Einstein nel suo saggio del 1931, intitolato “Il mondo come lo vedo io”: “tutte le crisi portano progresso. La creatività nasce dall’angoscia proprio come il giorno nasce dalla notte buia. È nella crisi che nascono l’inventiva, la scoperta e le grandi strategie. […] Non c’è merito senza crisi. È nella crisi che possiamo realmente mostrare il meglio di noi”.
E infatti dalle crisi e dalle difficoltà s’impara. Sempre. Facendone scaturire reazioni positive, idee e quella preziosa consapevolezza frutto non già dell’aggressività della forza, ma dell’ottimismo della volontà.