Esteri
Coronavirus e guerre: appelli Onu caduti nel vuoto. I conflitti nel mondo
Dall'Ucraina alla Siria, dallo Yemen alle Filippine, dal Ciad alla Colombia: la mappa delle guerre che non sempre si sono fermate nonostante il virus
Guerre in corso nel mondo e conflitti dimenticati
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite vuole chiedere ai belligeranti impegnati nei conflitti in tutto il mondo di dare corso a una "pausa umanitaria" di 90 giorni, per far fronte alla pandemia da Covid-19: l'obiettivo è "consentire la consegna degli aiuti umanitari in modo sicuro, senza ostacoli e sostenibile".
Già un mese fa, il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres aveva lanciato un appello alla tregua “universale”, per contrastare il coronavirus. I primi ad accoglierlo sono stati i sauditi che hanno proclamato una tregua di un mese, poi rinnovata, in Yemen, dove guidano una coalizione contro i ribelli. In Libia e in altre parti dell'Africa, invece, l'appello è caduto nel vuoto. Come nel resto del mondo dove continuano decine di conflitti armati, più o meno dimenticati.
Europa
Un manifesto pro-Russia in Crimea
Ucraina. Oltre sei anni di conflitto hanno fatto più di 13 mila morti, tra combattenti e civili, nelle regioni separatiste dell'Est al confine con la Russia. Kiev non vuole concedere lo status speciale alle zone controllate dai filorussi e accusa Mosca di appoggiare con armi e miliziani le autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, che per il governo ucraino sono territori sotto occupazione russa.
Ma il lento percorso di distacco da Kiev continua: dal 2016 la valuta utilizzata è il rublo russo, il sistema bancario si è disconnesso da quello ucraino mentre a febbraio 2018 è avvenuto anche il distacco delle reti telefoniche. Ad aprile 2019, poi, Mosca ha introdotto regole semplificate per concedere il passaporto russo ai loro abitanti.
Medioriente
Siria. La guerra cominciata nel 2011 ha fatto più di 300 mila morti e alcuni milioni di profughi. Diventata nel 2014 in larga parte territorio dell'Isis, sconfitto dalla coalizione con gli Usa, la Siria adesso ancora combatte per Idlib, l'ultimo avamposto jihadista, con la Russia in appoggio di Assad. Secondo le Nazioni Unite, i nove anni di guerra civile hanno messo in moto oltre cinque milioni di rifugiati e sei milioni di sfollati interni.
Le organizzazioni siriane per i diritti umani stimano che il bilancio delle vittime superi il mezzo milione (le stime più ottimistiche parlano di oltre 300 mila morti). Organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International hanno inoltre denunciato, attraverso le testimonianze di sopravvissuti, sparizioni e torture: secondo varie fonti, sono oltre 100 mila le persone scomparse negli anni di guerra in Siria e oltre 14 mila quelle torturate.
Israele. In guerra con i palestinesi dal 1948, registra tensioni molto alte con la Siria, obiettivo di ripetuti singoli raid aerei, e Iran.
Libano. Subisce sconfinamenti della guerra siriana, tensioni con Israele e alte tensioni sociali interne. Il Paese è in uno stato di “guerra latente” dagli anni '80.
Iran. Sostiene il governo siriano in funzione anti-israeliana. L'anno scorso, sulla scia delle sanzioni Usa sul nucleare, si sono riaccese in maniera violenta le tensioni con Usa e Arabia Saudita; si sono registrati attacchi a navi e a raffinerie. Dopo l'uscita degli Usa dall'intesa di Parigi sul nucleare, ha riavviato il suo programma atomico.
Iraq. È stato in una guerra quasi continua per oltre 25 anni per via delle due Guerre del Golfo, nel 1991 e nel 2003. Baghdad ancora fatica a controllare il territorio.
Yemen. La guerra in Yemen è andata avanti senza sosta nonostante il coronavirus. Il conflitto, che si innesta su un Paese che è il più povero del mondo e soffre una carestia di proporzioni bibliche, ha provocato dal 2005 più di 100 mila morti, dei quali 12 mila civili.
Due settimane fa, di fronte alla grave crisi umanitaria e aderendo all'appello dell’Onu, la coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita ha decretato un accordo di cessate il fuoco unilaterale. Del resto negli ultimi mesi la coalizione ha subito battute d'arresto che l'hanno indebolita, oltre a soffrire la pressione internazionale per le vittime civili dei bombardamenti, il passo indietro degli Emirati Arabi Uniti e le lotte intestine nel campo filogovernativo.
Asia
Pakistan. È sostanzialmente in guerra su due fronti. Il primo con l’India per la regione contesa del Kashmir, il secondo è un fronte interno che vede opporsi al governo “apostata” di Islamabad numerosi gruppi jihadisti tra cui spiccano il Teherek e Taleban Pakistan, un cappello che riunisce molte sigle alcune delle quali con simpatie qaediste, altre con legami con lo Stato Islamico, altre ancora con un’agenda prettamente nazionalista.
India. Oltre alle guerre di casta, i conflitti etnici nel Nord-Est del Paese e le ribellioni rurali, “soffre” il conflitto armato a bassa intensità che serpeggia nelle zone montagnose più remote di alcuni Stati Centro-Settentrionali (Bengala Occidentale, Bihar, Jharkhand, Odisha, Chhattisgarh e Andhra Pradesh): salvo rari tentativi di dialogo, lo Stato centrale indiano ha sempre risposto con la forza. L'anno scorso, l’ennesimo scontro con il Pakistan ha portato le due nazioni nate dal British Raj, l'impero britannico, nel 1947 sull’orlo di un altro conflitto.
Un soldato per le strade di Manila nelle Filippine
Filippine. Sono due i fronti di conflitto aperti da decenni: il primo vede l’esercito governativo impegnato con i movimenti islamici, il secondo con la guerriglia di ispirazione maoista. In 50 anni, oltre 150 mila morti. Fondato nel 1991 da veterani della guerra in Afghanistan contro l'Unione Sovietica, Abu Sayyaf è ora il gruppo jihadista più forte del sud-est asiatico. Giurata fedeltà all'Isis, dopo la caduta dell'autoproclamato “califfato”, almeno un centinaio di “foreign fighter” sono fuggiti dalla Siria e dall'Iraq per trovare rifugio nell'arcipelago di Sulu, che è diventato l'ultima roccaforte di Abu Sayyaf.
L'arrivo di terroristi stranieri nelle Filippine ha portato l'importazione di nuove forme di violenza più estrema, “lupi solitari” e attentati suicidi, un modus operandi che non era comune tra i gruppi locali. Altri gruppi jihadisti fedeli all'Isis operano anche nel Mindanao musulmano, come i combattenti islamici per la liberazione del Bangsamoro, Ansar Khalifa nelle Filippine o Maute.
Africa
Libia. Ucciso Gheddafi nella rivolta del 2011, il Paese non ha più recuperato la pace. Guerra civile, caos e scontri tribali hanno fatto da padroni anche dopo il fallimento dell'accordo di pace forzato dalle Nazioni Unite nel 2015 e che ha diviso il Paese, assegnando a Fayed al-Serraj la guida del governo di Tripoli. Il generale Khalifa Haftar, sostenuto da Russia, Emirati Arabi, Francia, Arabia Saudita, non si è arresto e lo scontro armato tra forze orientali e occidentali si è evoluto negli ultimi anni in un conflitto multinazionale senza eserciti, combattuti da dozzine di milizie locali e gruppi di mercenari privati, legati sia al Gna che alle forze sotto il comando del maresciallo.
Lo scontro si è acuito dall'aprile dello scorso anno, quando Haftar ha cominciato l'assedio alla capitale, appoggiato da Turchia e Qatar. Da allora, sono morte circa 2.000 persone, di cui circa 350 civili, circa 20 mil sono state ferite e oltre 200 mila sono state costrette a lasciare le proprie case e diventare sfollati interni. È di pochi giorni fa l'annuncio di Haftar, che nelle ultime settimane ha subito pesanti sconfitte, di aver assunto il controllo politico dell'intero Paese, un annuncio duramente criticato dall'Ue, dalle stesse Nazioni Unite e, seppur con meno forza, da Stati Uniti, Francia e Russia, il principale alleato del maresciallo.
Egitto. Guerra dichiarata ai jihadisti.
Ciad. Si difende dagli sconfinamenti del gruppo jihadista Boko Haram, molto attivo nella vicina Nigeria.
Mali. La pace viene garantita da una forza multinazionale guidata dalla Francia e da diversi paesi africani in appoggio alla missione Onu. Il conflitto è iniziato nel 2012 con la dichiarazione di indipendenza dell’Azawad, che comprende il territorio tra il Nord del Mali, il Niger e il Sud dell’Algeria.
Repubblica Centrafricana. Due guerre civili, una combattuta tra 2004 e 2007 e un’altra tra 2012 e 2013. Oggi la tregua regge con un contingente di Caschi Blu dell’Onu presente sul territorio, di cui fanno parte anche decine di paracadutisti italiani.
Repubblica Democratica del Congo. Si combatte per il controllo delle ricchezze naturali del Paese. Forze governative si trovano anche nei vicin Rwanda e Uganda.
Somalia. Dalla caduta del dittatore Siad Barre nel 1991 non vede la pace. Un governo federale di transizione appoggiato dalle Nazioni Unite cerca di mantenere il controllo del Paese, ostacolato però dai signori della guerra locali.
Sudan. Risolta la guerra interna con la nascita del Sud Sudan, ora è in uno stato di guerriglia permanente contro gli autonomisti del Darfur.
Nigeria. Si combatte nel Nord-Est (Stato del Borno e limitrofi) dove scontri e attentati sono sempre dovuti alla presenza dei terroristi islamici. Nel Middle Belt (tutta la fascia centrale della Federazione) le tensioni e le violenze sono causate dalla contrapposizione fra gli allevatori e le comunità agricole. E ancora, nel Delta del Niger continua l’attività di guerriglia di gruppi ribelli che combattono la dominazione delle compagnie di estrazione, mentre sporadici episodi di ribellione e conseguente repressione avvengono nel Biafra.
Sud America
Messico. Il Messico è attraversato da due conflitti interni che gravano pesantemente sul suo assetto governativo statale e soprattutto sociale. Il primo è quello definito come “Guerrilla Zapatista”, legato soprattutto alla regione del Chiapas, il secondo, quello del narcotraffico, ha come obiettivo il traffico internazionale di stupefacenti e di armi.
Colombia. L’Esercito di liberazione nazionale, il gruppo guerrigliero ancora attivo in molti dipartimenti del Paese, ha di recente annunciato che non prorogherà il cessate il fuoco unilaterale proclamato per tutto il mese di aprile.
Bambini giocano su un carrarmato a Caracas, Venezuela
Venezuela. Il 2018 e il 2019 nel Paese sono stati segnati da vari tentativi falliti da parte dell’opposizione, guidata da Juan Guaidó, di rovesciare il governo del presidente Nicolás Maduro. Il 23 gennaio 2019, durante una manifestazione a Caracas, Guaidó si è autoproclamato capo di Stato, riconosciuto subito come Presidente legittimo dagli Stati Uniti, seguiti dal Canada e da altri Paesi latinoamericani ed europei, mentre Russia, Cina, Cuba e Turchia continuano a riconoscere Maduro come Presidente, che attualmente è ancora in carica. La crisi economica, energetica e sociale che ne è derivata ha gettato tuttavia l’intero Paese nella precarietà, rendendolo ancora più vulnerabile all’epidemia di coronavirus.