Esteri
Coronavirus, economia e...I problemi di Moon dopo le elezioni in Corea del Sud
La gestione dell’emergenza sanitaria ha premiato Moon, a cui restano però molti problemi irrisolti e poco tempo per festeggiare
L’emergenza coronavirus ha sicuramente influito sui risultati del voto in Corea del Sud, ma la situazione per Moon Jae-in è più complicata di quanto sembra. Forse i cittadini hanno premiato Moon per aver portato la nazione a essere un modello internazionale nella gestione di questa emergenza, o forse hanno voluto dimostrare che la questione sanitaria ha per loro la priorità. Di certo, sembra poco probabile che abbiano voluto premiarlo per l’azione politica svolta finora.
Nel 2019 la crescita economica del paese si è fermata al 2%, la più bassa degli ultimi dieci anni, lo spettro della corruzione ha agitato il governo, dopo gli scandali che hanno travolto il ministro della Giustizia Cho Kuk, e l’insoddisfazione tra i giovani correva dilagante, come ha rivelato un sondaggio pubblicato da Hankyoreh a fine dicembre secondo cui il 75% di loro avrebbe voluto lasciare il Paese e trasferirsi all’estero.
I giovani e le elezioni in Corea del Sud
E sono proprio i giovani il tasto dolente di una società contradditoria come quella sudcoreana. A marzo 2019, il tasso di disoccupazione giovanile era del 10%, più del doppio rispetto a quello generale del 4,3%. A febbraio 2020 è tornata al 9%, e chissà come cambierà per gli effetti della pandemia. La precarietà lavorativa e finanziaria resta alla base del basso indice di natalità e della diminuzione dei matrimoni: i costi per comprare casa e garantire l’istruzione di anche un solo figlio sono molto alti, troppo per un paese che non offre prospettive solide. Il 75% dei liceali si iscrive all’università, ma poi sono sempre di più i laureati che devono emigrare all’estero per trovare lavoro: un terzo di loro si traferisce in Giappone, un quarto negli Usa.
Non ci si deve quindi stupire se il 79% delle ragazze e il 72% dei ragazzi, tra i 19 e i 34 anni, dichiara di voler fuggire dal proprio paese (“Tal-Jo” è un termine ricorrente tra i giovani, uno slang traducibile come “scappare dall’inferno”, dove l’inferno è la Corea del Sud). E non è un caso che la percentuale più alta si riferisca alle donne.
Tuttavia, un barlume di speranza devono pur averlo intravisto, se, a quanto pare, l’affluenza dei più giovani al voto (quest’anno per la prima volta esteso anche ai diciottenni) è cresciuta. Quello che è certo è che il numero dei giovani candidati eletti è aumentato rispetto al voto del 2016 (in cui erano stati solo 3): sono 11, infatti, gli under 40 entrati in parlamento, di cui, prima volta che succede, 2 under 30 (uno col Civil Together Party, il partito satellite dei democratici, e uno col Justice Party, partito di sinistra).
La condizione delle donne in Corea del Sud
Un’altra questione spinosa, a cui sono più sensibili proprio le giovani generazioni, è il ruolo della donna in una società ancora troppo rigida, gerarchizzata e maschilista come quella coreana. Il gender pay gap, la disparità salariale, è al 34%, secondo gli ultimi dati Ocse, ed è ancora troppo comune che alla nascita di un figlio le donne lascino il lavoro per occuparsene.
Anche in questo senso, le elezioni hanno lanciato un segnale. Le donne che entrano in parlamento sono 57. Cifre ancora troppo basse, ma se si calcola che 28 di loro sono state elette tramite sistema proporzionale (il restante arriva da ballottaggi diretti nei vari distretti), si capisce che la quota di candidate era significativa. Ma nel 2016 le donne erano il 17% dei parlamentari e oggi sono il 19%: una crescita scarsa.
Se si aggiunge poi il fatto che il il Women’s Party, il partito femminista, non ha conquistato neanche un seggio si capisce che la strada da fare nella parità di genere in Corea del Sud è ancora tanta. Soprattutto per il presidente Moon, che tra gli impegni iniziali si era dato anche quello di aumentare la presenza femminile negli organi di governo.
Il film Parasite come metafora sociale
Gli elettori sembrano aver voluto ridare fiducia a un presidente che aveva promesso loro di risollevare l’economia senza però ottenere risultati apprezzabili. Certe iniziative, come l’aumento del salario minimo, per quanto lodevoli sembrano per alcuni versi aver prodotto l’effetto opposto, danneggiando i piccoli imprenditori e gli autonomi.
Resta poi il problema della disuguaglianza sociale, tema attualissimo e riportato sotto i riflettori dal successo mondiale di Parasite, il film premio oscar di Bong Joon-Ho, che mette a nudo la tragica convivenza tra poveri sempre più poveri e ricchi incapaci di comprendere i propri privilegi, facendo sorgere il dubbio su chi siano i veri “parassiti” sociali.
Nel frattempo, in ambito Ocse, la Corea del Sud resta il paese che destina la percentuale minore del proprio bilancio pubblico alle spese di “social protection” (esclusione sociale, terza età, disoccupazione).
Quale futuro per la Corea del Sud dopo le elezioni?
Di certo, la richiesta di rinnovamento da parte della popolazione è evidente, se ben 152 degli eletti sono “volti nuovi”, che entrano per la prima volta in parlamento. Passata l’“ondata emotiva” legata alla gestione Covid, resisterà la fiducia della popolazione verso questa governance? E soprattutto, il risultato di queste elezioni consentirà davvero a Moon di cambiare le cose? I liberali hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi, 180 su 300, un record, che permetterà all'esecutivo ampi margini di manovra, sempre ammesso, però, che si trovino i fondi necessari.
I problemi da affrontare per Moon sono ancora tanti. Con questo nuovo parlamento sarà praticamente impossibile far passare la riforma costituzionale per abolire il limite di un solo mandato presidenziale, senza contare che ancora una buona fetta del budget nazionale dovrà essere messo a disposizione della lotta al coronavirus, soprattutto adesso che, tornando seppur gradualmente alla normalità, il rischio di nuove ondate di contagi è ancora alto.