Esteri

Coronavirus principale alleato di Moon alle elezioni della Corea del Sud

di Lorenzo Lamperti

Mercoledì 15 aprile parlamentari nel paese "modello" per il contenimento della pandemia. Economia, società, rapporti con Cina e Usa: i temi sul tavolo

29 febbraio 2020. In Corea del Sud si registrano 2931 casi di coronavirus, 909 in più rispetto al giorno precedente, con un aumento del 44 per cento. 15 aprile 2020. La Corea del Sud va alle urne per le elezioni parlamentari. In meno di un mese e mezzo la parte meridionale della penisola coreana è passata dall’essere il secondo paese con più casi di Covid-19 al mondo dopo la Cina a un modello di contenimento a livello globale, con poco più di diecimila casi e circa 200 morti, con un aumento dei malati ben al di sotto dell’1 per cento ogni 24 ore. In questi 40 giorni c’è molto di una società democratica, con alcuni punti oscuri, che prova a entrare nella sua fase di maturità, paradossalmente aprendo le porte ancora di più ai giovani. Il voto è una sorta di referendum di metà mandato sull’operato di Moon Jae-in, col rischio che il presidente si ritrovi “anatra zoppa” fino alla fine del suo mandato, nel 2022. Osservano con attenzione anche la Corea del Nord, i grandi vicini Cina e Giappone, così come gli Stati Uniti (con cui i rapporti si sono complicati di recente). Il ruolo di Seul è, infatti, da sempre fondamentale per l’equilibrio nell’intera area.

ELEZIONI COREA DEL SUD: PER CHE COSA SI VOTA

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Le elezioni di mercoledì 15 aprile, con un voto anticipato per cinque milioni di persone tra venerdì 10 e sabato 11 aprile, serviranno per eleggere i 300 membri dell’Assemblea nazionale, che resta in carica per quattro anni (a differenza del presidente, il cui mandato dura cinque anni). Così come accaduto dall’inizio della pandemia, la Corea del Sud prova a portare avanti la vita sociale e la vita politica, con molte meno limitazioni rispetto a quanto accaduto altrove. Per farlo si è fatto ampio ricorso all’utilizzo della tecnologia, a costo di una limitazione sostanziale della privacy, oltre che a controlli estesi e ripetuti. Ai 44 milioni di elettori viene richiesto di presentarsi alle urne indossando mascherina e guanti, mentre il governo ha mobilitato un vero e proprio esercito di funzionari pubblici che, dopo aver contrassegnato i 14 mila seggi con linee di attesa a intervalli di tre metri (per far rispettare la distanza minima), controllerà la temperatura all’ingresso. Chiunque avrà più di 37 e mezzo o avrà sintomi sospetti di potrà comunque votare in seggi “speciali” aperti proprio per i pazienti di Covid-19. Misure che sembrano aver convinto gli elettori, visto che secondo un sondaggio del 2 aprile circa il 73 per cento ha espresso l’intenzione di recarsi alle urne. Un numero più alto rispetto a quelli che avevano votato alle precedenti parlamentari del 2016.

LP 11082591Moon con il regista di Parasite

ELEZIONI COREA DEL SUD: I PROTAGONISTI

L’interesse sul voto è infatti molto tra i cittadini sudcoreani. Il dibattito sul presidente Moon Jae-in è stato molto acceso nelle ultime settimane (e mesi). Il voto viene presentato da molti come un referendum sulla sua leadership. Il presidente, alla guida del Partito Democratico (forza liberale e centrista), sembra potersi avvantaggiare dalla gestione trasparente ed efficiente dell’emergenza sanitaria, anche se online è stata lanciata una petizione per il suo impeachment proprio per la sua gestione del caso. La popolarità di Moon è passata dal 42 per cento di fine febbraio al 55 per cento di fine marzo. Ma nei suoi quasi tre anni di presidenza ci sono anche dei nodi irrisolti. Intanto, l’economia, con una crescita che nel 2019 si è fermata al 2 per cento, la più bassa dell’ultimo decennio. Perplessità anche sulla sua lotta alla corruzione, tema su cui Moon aveva puntato molto, visto che la sua elezioni era arrivata dopo l’impeachment della presidente Park Geun-hye.

Il principale rivale del Partito Democratico è il Partito Unito del Futuro, nato dalla fusione tra il Partito della Libertà  e il Nuovo Partito Conservatore. Ma la recente riforma del sistema elettorale potrebbe favorire il pluralismo nella rappresentanza all’Assemblea. E il numero dei partiti in corsa si è moltiplicato: 35 contro i 14 di quattro anni fa, anche se alcuni di questi sono dichiaratamente organizzazioni-satellite di quelli principali. Mobilitati molti più giovani di un tempo, in panorama politico nel quale c’è sempre stato poco spazio per loro. Basti pensare che nel 2016 l’età media degli eletti era di 55 anni. La speranza di molti di loro è che la democrazia sudcoreana possa raggiungere una maturità più completa, come in parte accaduto per esempio a Taiwan, includendo figure giovani e femminili. Non una banalità in un paese nel quale le donne guadagnano ancora meno dei due terzi degli uomini e in cui molte di loro denunciano di subire violenze e abusi sul luogo di lavoro. La Corea del Sud ha all’interno diverse contraddizioni, con una forte struttura gerarchica e maschilista e una scena artistica molto attiva che va dalla musica K-pop al cinema e alle serie tv. Forme artistiche diventate un vero e proprio fenomeno mondiale, come dimostra il primo storico Oscar per miglior film a un’opera non in lingua inglese, assegnato a Parasite di Bong Joon-ho. Una forte (e cruda) critica sociale di cui la politica ha cercato di appropriarsi.

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ELEZIONI COREA DEL SUD: I RAPPORTI CON LA COREA DEL NORD

Moon è un grande sostenitore del dialogo con la Corea del Nord, tema sul quale ha costruito anche una parte importante della sua campagna elettorale presidenziale. Le cose, fino a qualche tempo fa, sembravano andare bene. Il 27 aprile 2018 era arrivato il primo incontro con Kim Jong-un nella zona demilitarizzata. Incontro bissato nemmeno un mese dopo, il 26 maggio 2018, nel villaggio nordcoreano di Panmunjom. Nel settembre 2018 Moon va a Pyongyang con 150 delegati e insieme a Kim annuncia l’avvio di progetti economici. In un discorso pubblico i due leader parlano anche di amicizia, pace e futura unificazione. Il 30 giugno 2019 Moon torna a Panmunjom per incontrare Kim, stavolta in compagnia di Donald Trump. Da allora, sono stati fatti pochi passi avanti e i test di Pyongyang sono ripresi.

Proprio in concomitanza dell’avvio del voto anticipato per le parlamentari sudcoreane, tra l’altro, si è riunita l’Assemblea popolare suprema della Corea del Nord. Si tratta della terza sessione della quattordicesima assemblea, la prima dopo quella dell’agosto del 2019. All’ordine del giorno la revisione della costituzione (che lo scorso anno ha esteso ancora di più i poteri del capo dello Stato), il bilancio statale e il conferimento di nuovi incarichi. Mentre, almeno a livello ufficiale, la pandemia non ha ancora messo piede nella parte settentrionale della penisola coreana. Al termine dei lavori atteso un discorso di Kim, che potrebbe dunque arrivare quasi in concomitanza con le elezioni sudcoreane.

Al momento, sono circa 33 mila i nordcoreani che vivono in Corea del Sud. E due di loro si sono candidati alle elezioni parlamentari: Ji Seong-ho e Thae Yong-ho, entrambi nella fila dell’opposizione del Partito Unito del Futuro. Sia Ji, che ha partecipato al discorso di Trump sullo Stato dell’unione nel 2018, e Thae, ex diplomatico in servizio all’ambasciata nordocoreana di Londra, hanno criticato più volte il regime di Kim, denunciandone le modalità di governo.

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ELEZIONI COREA DEL SUD: I RAPPORTI CON CINA E GIAPPONE

Le relazioni della Corea del Sud con i vicini asiatici sono da sempre tormentati. A livello storico, è sempre stata stretta tra i due “giganti” dell’area, Cina e Giappone. Il trauma del dominio giapponese, durato dall’inizio del Novecento alla fine della seconda guerra mondiale, non è mai stato superato. Tanto che di recente il tema dei risarcimenti di guerra ha riacceso l’ostilità con Tokyo, scatenando una sorta di “seconda trade war” dopo quella più vasta e globale che vede coinvolti Cina e Stati Uniti. L’atmosfera è, se possibile, peggiorata dopo che il Giappone è stato tra i primi paesi a introdurre un divieto di ingresso per gli stranieri provenienti dalla Corea del Sud.

Storicamente non c’è amore nemmeno per la Cina, soprattutto a causa dell’appoggio della Repubblica Popolare ai comunisti del Nord durante la guerra civile che ha portato ad avviare le relazioni diplomatiche ufficiali solamente nel 1992. La cooperazione economica è invece molto sviluppata. La Cina è il primo partner per interscambio commerciale della Corea del Sud, sia per l’import sia per l’export, con una bilancia commerciale che pende dalla parte di Seul, impossibilitata a fare a meno di Pechino. Se tra i cittadini l’esplosione della pandemia ha riacceso qualche sospetto, a livello diplomatico le relazioni procedono spedite, con il governo di Seul che ha inviato numerosi aiuti a Pechino all’inizio dell’epidemia.

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ELEZIONI COREA DEL SUD: I RAPPORTI CON GLI USA

Ci si aspetterebbe, vista la sua posizione strategica, che la Corea del Sud sia tra gli alleati che stiano maggiormente a cuore degli Stati Uniti. E infatti è (quasi) sempre stato così, quantomeno fino all’arrivo alla Casa Bianca di Trump. Il presidente repubblicano ha impresso la stessa linea in tutti i rapporti bilaterali di politica estera: “Basta farsi fregare”. Nel caso di Seul la fregatura sarebbe, secondo Trump, la cifra “troppo bassa” elargita a Washington per la difesa comune. Da tempo Trump preme affinché Seul aumenti i suoi contributi. Una pressione che si è fatta ancora maggiore nel corso dell’ultimo anno. Secondo Reuters, la Casa Bianca è arrivata a chiedere cinque miliardi di dollari contro gli attuali 900 milioni. Cifre alle quasi Moon non è intenzionato ad arrivare.

I negoziati tra le due parti sono in completo stallo, anche perché la campagna elettorale e le già ampie spese necessarie per contrastare l’emergenza pandemica hanno abbassato ai minimi termini la popolarità di un eventuale aumento dei contributi militari per gli Stati Uniti. Circa novemila sudcoreani che lavorano nelle basi che accolgono i circa 29 mila militari americani presenti nel paesi, sono stati messi in congedo. A simboleggiare l’inedita difficoltà nei rapporti tra Corea del Sud c’è il caso dell’ambasciatore Harry Harris, criticato per i suoi baffi che hanno creato risentimento perché ricorderebbero gli occupanti giapponesi. Non proprio le condizioni migliori per mantenere un’alleanza chiave agli equilibri regionali, in un momento nel quale la pandemia può riscriverne i rapporti di forza.