Esteri
L'orientamento sessuale non può motivare un rifiuto di contratto
Lo ha deciso la Corte di giustizia dell'Unione europea in merito al ricorso di un cittadino polacco
Escluso dalla società polacca dopo aver pubblicato un video di promozione della tolleranza verso le coppie dello stesso sesso
L'orientamento sessuale non può essere un motivo per rifiutare di stipulare un contratto a un lavoratore autonomo. Lo ha deciso la Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) riguardo al ricorso di un cittadino polacco.
Questi era stato escluso dalla società che gestisce un canale televisivo pubblico, con cui aveva in precedenza stipulato una serie di contratti, dopo aver pubblicato con il suo partner un video musicale natalizio su Youtube di promozione della tolleranza verso le coppie di persone dello stesso sesso.
L'uomo aveva realizzato tra il 2010 e il 2017 montaggi audiovisivi, trailer e servizi di costume e società per le trasmissioni autopromozionali della TP, società che gestisce appunto un canale televisivo pubblico nazionale in Polonia. La collaborazione si fondava su una serie di contratti d'opera consecutivi di breve durata.
Dopo la pubblicazione del video i suoi turni erano stati cancellati dalla società che non aveva quindi stipulato con lui alcun nuovo contratto d'opera.
L'uomo si è quindi rivolto al Tribunale di Varsavia ritenendo di essere stato vittima di una discriminazione diretta fondata sul suo orientamento sessuale. Il giudice ha interpellato la CGUE per capire se si applichi anche in questo caso la direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
E se la direttiva sia di impedimento a una normativa nazionale che, in virtù della libera scelta della parte contraente, escluda dalla tutela contro le discriminazioni prevista dalla direttiva il rifiuto di concludere o rinnovare un contratto con un lavoratore autonomo, fondato sull'orientamento sessuale.
La Corte dichiara che la nozione di "condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo", la quale circoscrive le attività professionali che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 2000/78, deve essere intesa in senso ampio, come relativa all'accesso a qualsiasi attività professionale, a prescindere dalla sua natura e dalle sue caratteristiche.
La direttiva, spiega la CGUE, "è volta a eliminare, per ragioni di interesse sociale e pubblico, tutti gli ostacoli fondati su motivi discriminatori all'accesso ai mezzi di sostentamento e alla capacità di contribuire alla società attraverso il lavoro, a prescindere dalla forma giuridica in virtù della quale esso è fornito".
Visto che attività consistenti nella mera fornitura di beni o servizi a uno o più destinatari non rientrano nell'ambito di applicazione di tale direttiva, la Corte precisa anche che occorre che le attività professionali rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva 2000/78 siano reali ed esercitate nel contesto di un rapporto giuridico caratterizzato da una certa stabilità.
E che spetta al giudice del rinvio valutare se l'attività in questione soddisfi tale criterio. Se concludesse che esiste una discriminazione non si potrebbe giustificare una deroga.
A questo proposito la CGUE osserva che, benché la normativa polacca sembri tutelare i diritti e le libertà altrui, e più precisamente la libertà contrattuale, essa non è necessaria per garantire tale libertà.
"Ammettere che la libertà contrattuale consenta di rifiutare di contrarre con una persona in base all'orientamento sessuale priverebbe la direttiva 2000/78, nonché il divieto di ogni discriminazione fondata su un siffatto motivo, del loro effetto utile".