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Dazi Usa, dalla deflazione all'export fino al mercato immobiliare: perchè la guerra commerciale è un colpo basso per la Cina

L’imposizione di dazi Usa complessivi al 125% e l'allarme deflazione: ecco gli effetti delle nuove tariffe sull'economia del Dragone

di Francesco Crippa

I dazi e la nuova guerra commerciale Usa-Cina 

Con l’imposizione di dazi complessivi al 125% Donald Trump ha assestato al suo competitore globale numero uno, la Cina, un colpo basso, ma la guerra commerciale non è l’unico pericolo per l’economia di Pechino. Rimane alto, infatti, l’allarme deflazione. A marzo, l’indice dei prezzi al consumo è calato dello 0,1% rispetto a un anno fa, confermando un trend registrato già nei primi due mesi dell’anno. A renderlo noto è l’Ufficio nazionale di statistica.

In questo senso, bisogna distinguere tra due tipi di fenomeni. Su base mensile, la deflazione è in aumento. A febbraio il calo dei prezzi rispetto a gennaio era stato dello 0,2%, mentre a marzo rispetto a febbraio è stato dello 0,4%. Su base annua, invece, la deflazione continua ma rallenta: a febbraio, infatti, il calo sull’anno precedente era stato dello 0,7%.

Secondo alcune analisi, a marzo da un fenomeno dell’attività la Cina avrebbe dovuto tornare a registrare una leggera inflazione dello 0,1%. Nonostante la previsione sia stata disattesa, Pechino può considerarsi soddisfatta di aver scongiurato il già ipotizzato pericolo per l’economia. A pesare su questo risultato sono soprattutto le politiche varate negli ultimi mesi dal governo, tutte finalizzate a rilanciare l’economia nazionale deviandola verso un modello orientato al consumo. A frenare la crescita economica della Repubblica popolare, infatti, è soprattutto la debolezza della domanda interna.

Gli effetti dell’intervento statale si sono ravvisati soprattutto nei servizi, il cui prezzo al consumo è in aumento dello 0,3% su base annua. In rialzo anche i prezzi del settore immobiliare: +0,4%. Al ribasso, invece, i costi dei generi alimentari: -0,3%. Complessivamente, rispetto al 2024 l’inflazione core (che esclude alimentari ed energia), è in rialzo dello 0,5%.

La timidezza dei colleghi occidentali ha lasciato campo libero alle contromisure di Pechino, che ha prospettato importanti limitazioni all’export dovute ai dazi, i meriti intorno cinese, già gelati da una situazione geopolitica fragile (alle tensioni tra Taipei e Pechino, si aggiungono i timori per una nuova guerra tra Israele e Iran), hanno reagito con nervosismo. A innescare il panico tra gli investitori ha contribuito anche la nuova mossa della banca centrale americana, che ha alzato nuovamente i tassi di interesse.

“La Pechino centralizzata si è potuta mettere a dura prova in entrambi i fronti: quello commerciale e alimentare legato alla concorrenza a livello mondiale”, ha spiegato il quotidiano South China Morning Post Gary Ng, economista di Natixis Corporate and Investment Bank. Il rischio di deflazione, quindi, non sembra ancora del tutto rientrato.

Pechino, comunque, non starà a guardare. Oltre a una risposta sul piano commerciale, con un contro-dazio all’84%, per mettersi al riparo da aggravio del fenomeno deflattivo e al tempo per stimolare una sua contrazione ulteriore, la Cina ha svalutato lo yen ai minimi dal 2007.

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