Elezioni Usa 2016, ecco perché è stato applaudito Donald Trump
Chi vincerà le elezioni presidenziali americane nessuno lo sa. Ma che Donald J.Trump sia il candidato repubblicano è cosa sicura. E già significativa. È naturale che i politologi discutano delle conseguenze di una sua elezione, ma per ciò che fa capire la sua candidatura, disponiamo già di sufficienti elementi. Il più importante è il suo plateale rigetto della political correctness.
Questo codice nasce da un intento lodevole, quello di non ferire il prossimo, e giunge a risultati assolutamente grotteschi. “Cesso” significa in origine “luogo in cui ci si ritira”, parola perfetta. Col tempo però ha cominciato a puzzare, e si è passati a “gabinetto”, alludendo al fatto che in origine era in una cabina fuori casa. Ma anche il gabinetto si è messo a puzzare e si è passati al bagno, anche se non c’è nessuna vasca. Di bagno parlano comicamente i ragazzi a scuola, dove la cosa è inconcepibile. La molla fondamentale della political correctness è l’idea che tutti siano ipersensibili e che, omettendo la parola, si elimini il fatto. Lo spazzino non aveva da offendersi, se lo chiamavano così, perché spazzava, e spazza ancora. E invece è divenuto netturbino e infine “operatore ecologico”. Se non si fosse avvertiti, non si saprebbe che mestiere fa. La mania non è soltanto italiana. Per il cesso, ad esempio, il diluvio di eufemismi si ha in tutte le lingue.
Gli americani, in questo campo, hanno portato la bandiera. Nella loro ansia di delicatezza (e per evitare la rabbiosa reazione degli interessati fanatici) i negri prima sono diventati neri – quasi fossero pezzi degli scacchi, o quasi che “negri” fosse un insulto – e infine afroamericani. I bianchi, per non alludere al colore della loro pelle, cosa che sembrava una protesta contro l’ipotesi insultante della pelle nera, sono divenuti caucasici. E caucasici per non dire ariani, perché di ariani parlavano i nazisti. Pare addirittura che si siano chiamati i nani “persone verticalmente svantaggiate”.
La political correctness, invadente e insaziabile, è divenuta un universale dovere di ipocrisia. Una continua e insulsa imposizione di eufemismi. L’obbligo di chiedere scusa se si allude incautamente ad una evidente caratteristica dell’interlocutore. La paura (e l’accusa) di discriminazione incombe. Non si può più dire postino (postman, uomo della posta), perché ciò sembra escludere la donna. E allora postperson.
Chi è disgustato da questi esempi (che tuttavia sono una goccia nel mare, in questo campo), chi non ne può più, sappia che grazie a Trump non è più solo. Non ne possono più gli americani, minacciati di essere linciati se raccontano barzellette sui balbuzienti, se prendono in giro gli omosessuali, i messicani, i neri, le donne, i preti, se insomma si permettono di vivere.
È inutile rimproverare a Trump la reazione a questa oppressione. La sua violenza verbale, i suoi eccessi espressivi, sono stati visti in chiave di legittima difesa. E a questo punto non importa più che vinca o perda, a novembre, importa che abbia eliminato il velo dell’ipocrisia espressiva, e che sia ridivenuta lecita la libertà di parola. Con la libertà di dire la verità. Ammettiamolo, la gente muore. Non scompare, non sparisce, non viene meno. Non è chiamata a sé dal Signore e non passa a miglior vita: muore, muore, muore. E morirò anch’io, caro lettore, come morirai tu. Vivremo forse più a lungo se anneghiamo la cosa in un mare di eufemismi?
L’obbligo della bontà untuosa può anche rendere furenti persone dal cuore d’oro. La delicatezza non consiste nel non chiamare cieco un cieco, consiste nel trattarlo con rispetto, da uguale, al bisogno aiutandolo nella sua inferiorità. Volergli nascondere qualcosa che già sa, e cioè di essere cieco, è un modo di offenderne l’intelligenza. E ciò malgrado in questo campo abbiamo un’alluvione di stupidità. I minorati (parola perfetta) sono diventati prima handicappati (quasi partecipassero costantemente a un concorso ippico), poi disabili, infine diversamente abili. Il tizio è quadriplegico, ma è diversamente abile: è più abile degli altri nel piangere.
Da un lato, uno tsunami di parolacce in tutti i film e in tutti gli ambienti: fino ad avere un partito politico che ha come programma la parola “Vaffanculo”; dall’altro il divieto di chiamare prostituta una prostituta: ormai è una escort. Forse per il caso che il cliente sia aggredito, sotto il lampione. O magari è un’accompagnatrice, per il caso che il giovanotto infoiato non ritrovi la strada di casa.
Forse da americano voterei per Trump solo per gridare che sono politically incorrect. E che anche la verità è incorrect: non solo è nuda, ma non fa sconti a nessuno. Se alla escort non piace la parola puttana, cambi mestiere.
Gianni Pardo