Esteri

Etiopia, Tigray: lo scontro tra governo e Tplf è inasprito dalle sanzioni Usa

di Marilena Dolce

Tigray, storia di un conflitto inasprito dalle recenti sanzioni degli Stati Uniti a Etiopia ed Eritrea: intervista a un'attivista etiope

Alcuni storici e analisti occidentali però sostengono che il Grande Tigray non è mai esistito, che è un mito…

“Sono loro che non l’hanno visto esistere” dice Aster “ancora oggi c’è un movimento, che si può trovare in rete, che si chiama Agazien Movement, “agaze” vuol dire tigrigna speaking, cioè dove si parla tigrino. In esso si raggruppano i Tigrini cristiani che sostengono il Grande Tigray.

Dall’Eritrea vorrebbero acquisire l’altopiano ortodosso e cattolico, non il bassopiano islamico. Per questo motivo odiano il presidente Isaias Afwerki, perché sanno che finché c’è lui questo progetto non sarà realizzabile. Non accetterebbe mai la divisione dell’Eritrea. Quando nel 1991 il Tplf arriva al potere attua il progetto del Grande Tigray a scapito degli Amhara. Così è stato fino allo scorso 4 novembre 2020. Per constatarlo basta guardare una carta geografica del Tigray prima e dopo il 1991. In tutti questi anni agli Amhara sono state portate via le terre. Quell’area faceva gola perché è importante per l’agricoltura. Si coltivano cotone e semi per l’olio. I  proprietari terrieri Amhara sono stati costretti a lasciare le terre. Inoltre il Tplf ha imposto la lingua tigrina in una zona nella quale si è sempre parlato amarico, creando una specie di apartheid. Per questo motivo tanti giovani sono scappati e tanti, purtroppo, sono morti.

Quando a novembre le truppe federali hanno sconfitto le milizie del Tplf, ci sono stati festeggiamenti per quelle strade…”.

Ora com’è la situazione?

“C’è ancora tensione. La nuova amministrazione del Tigray vorrebbe mantenere anche i territori Amhara. Una condizione inaccettabile per gli Amhara, che tra l’altro nei mesi scorsi hanno combattuto insieme ai federali. Per il momento le zone che erano diventate Tigray sono tornate ad essere Amhara. La gente del luogo è felice. Può parlare la propria lingua, può mettere i vestiti tradizionali. Per 27 anni ha avuto paura del Tplf. Ora si sente libera.

Non so dove guardasse la stampa internazionale in quel periodo ma vorrei ricordare quello che il Tplf ha fatto nel 2005 quando avevano perso le elezioni, costringendo gli oppositori a fuggire. Molti di loro sono tornati nel 2018, con l’arrivo di Abiy Ahmed.  

Tornando alla Costituzione, l’articolo 39 stabilisce l’autodeterminazione di ogni popolo, popolazione e nazione e  anche la secessione…

La nostra Costituzione”, spiega Aster, “è l’unica basata su etnia e lingua, perché così l’ha scritta il Tplf. Il Tigray per loro è una nazione. Questo è il senso del federalismo etnico che ha cambiato il volto dell’Etiopia Hanno revisionato la storia, che secondo loro inizia con il dominio tigrino. Nei ventisette anni in cui sono stati al potere è come se avessero sganciato bombe sull’Etiopia, una dopo l’altra. Hanno introdotto anche l’identificazione etnica sulle carte d’identità. Come in Ruanda. La loro propaganda parlava di democrazia e di uguaglianza, ma non per tutti”

Il Tplf distribuiva incarichi solo a chi era del partito?

“Se eri tigrino avevi molti vantaggi”, dice Aster. “Nelle Forze Armate i gradi più alti erano riservati ai Tigrini, come in tutto il sistema amministrativo e burocratico. Già prima del 1991, quando erano ancora guerriglieri, il Tplf ha cominciato ad accumulare ricchezza.

Come? Formando Ong.

La prima la fondano nel 1978, si chiama REST, Rest, Relief Society of Tigray.

Il suo scopo formale è quello di aiutare i civili. Tutti però sapevano che faceva parte del Tplf.

Per le organizzazioni internazionali era una Ong indipendente, ma non era così.  Con i suoi soldi si finanziavano anche attività commerciali del Tplf in Sudan,  quando ancora combattevano, così i proventi andavano al movimento.

Nel 1989, prima dell’indipendenza, fondano la TDA Tigray Development Association.

È un’organizzazione no profit che esiste ancora oggi. Ha sede anche a Roma. In questo caso gli aiuti umanitari diventano strumento politico. Se appoggi il Tplf ne ricevi di più. Il TDA gestiva persino i mezzi che trasportavano il cibo. Possibile che queste situazioni le organizzazioni internazionali non le conoscessero?

Questo è il motivo per cui noi oggi, quando si chiedono a gran voce aiuti umanitari, abbiamo un terribile sospetto. Perché sappiamo che sono stati parte fondamentale degli affari del partito.

Poi, nel 1995, hanno organizzato Effort, un’altra Ong.

Un colosso nel mondo charity.

Un insieme di moltissime imprese a loro volta Ong che si occupavano di agricoltura, tecnologia, finanza, commercio, assicurazione, banche, industria. Anche Almeda, la fabbrica tessile di Adua, che ha prodotto divise militari eritree per i miliziani Tplf, lavora per Effort.

Tutto era gestito dai vertici del Tplf e dai loro familiari. Con tutti i vantaggi delle Ong, cominciando dalle tasse. Nessuna concorrenza privata, esenzioni doganali per import-export e appalti”.

Un rapporto della Camera dei Deputati del 2011, descrive il sistema Ong attuato in Etiopia, lasciando aperti molti degli interrogativi esposti da Aster Carpanelli.  Le Ong, secondo il rapporto, diventano per l’Etiopia un sistema che convoglia dall’estero soldi verso l’interno, soprattutto destinati al terzo settore. Nei primi anni Settanta, con il problema delle carestie, in Etiopia nascono molte Ong che ricevono aiuti internazionali. In seguito questo sistema diventa parte dell’organizzazione socio economica del Paese. Tuttavia, si legge nel rapporto, anche dopo il crollo del Derg, le “ONG hanno sempre adottato una certa prudenza nel porsi come soggetto attivo sui temi di politica nazionale”. Negli anni successivi la diaspora europea e soprattutto la comunità Tigrina negli Stati Uniti, organizza attività di supporto filo Tplf grazie per esempio al TDA, fondata a Washington nel 1989. Dal 1995 però il governo di Meles Zenawi, per evitare che la diaspora ostile al governo potesse influirne sulla vita politica anche grazie a Ong, le riconduce tutte sotto la supervisione del Ministero della Giustizia.

“Un rapporto della Banca Mondiale scrive che nei primi vent’anni di governo, dall’Etiopia sono usciti 50 miliardi di dollari in modo illegale” , dice Aster.

Il rapporto Global Financial Integrity, (2011) commissionato dall’UNDP, inserisce l’Etiopia nella lista dei dieci principali paesi da cui sono stati trasferiti illegalmente fondi nel periodo 1990-2008 verso banche e centri finanziari off-shore nelle economie ad alto reddito (Isole Cayman e Svizzera anzitutto, secondo studi del Fondo Monetario Internazionale). In particolare, il rapporto colloca l’Etiopia al nono posto, con 8,4 miliardi di dollari usciti illegalmente dal paese, in gran parte (65-70%) legati a proventi di commercio (di caffè e oro) con false fatturazioni, ma anche (30-35%) finalizzati a riciclare denaro frutto di corruzione governativa e frodi. Il rapporto presume che si tratti di fuga di capitali attraverso meccanismi informali di trasferimento, come per esempio l’hawala o servizi di money transfer.