Esteri

L'Europa si prepara al Trump 2.0. E ad un rinnovato destino da junior partner

di Andrea Muratore

Difficilmente la nuova amministrazione Trump opererà rotture radicali. Ma confermerà una tendenza ad attribuire al Vecchio Continente una posizione subalterna. Con qualche colpa dell'Ue

L'Europa si prepara al Trump 2.0. E ad un rinnovato destino da junior partner

“Prepararsi al Trump 2.0”, scriveva a gennaio il board editoriale del Financial Times quando The Donald volava nelle primarie del Partito Repubblicano travolgendo la sfidante Nikki Haley. Ora il Trump 2.0 si è materializzato, sulla scia di un fortissimo successo politico. E torna a manifestarsi, di fronte ai decisori europei, quel vento che il Ft, a inizio anno, indicava sorgere dalle nevi dell’Iowa e soffiare fino alla “Montagna incantata” di Davos, simbolo della globalizzazione. Da gennaio arriviamo a ieri, 7 novembre: a Budapest si riunisce la Comunità Politica Europea, il forum voluto da Emmanuel Macron per coordinare i Paesi del Vecchio Continente in una sorta di “G20” informale europeo. Ed è la prima occasione per parlare di ciò che il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe significare.

Si è parlato dell’ipotesi di un neo-protezionismo, di nuove guerre commerciali, di un abbandono dell’Ucraina e financo di una revisione della Nato. Ma noi, da analisti, aspettiamo i fatti. E piuttosto sottolineiamo essere un po’ esagerato fare previsioni sulla base dei “però”. Abbiamo due dati, dalla nostra: elementi di continuità politici tra le ultime amministrazioni circa il rapporto con l’Europa, visto come junior partner, da un lato. Scenari geopolitici incerti che non suggeriscono rotture radicali, dall’altro.

Trump 2.0: non cambia la linea di "America First"

Gli analisti più attenti avevano già previsto che, con un secondo mandato di Trump o un’amministrazione Harris, la Casa Bianca avrebbe continuato a seguire una linea di “America First.” Trump sarebbe stato esplicito su questo fronte, mentre una presidenza Harris (in continuità con la strategia di Biden) avrebbe adottato un approccio simile, ma più strutturato. Questa visione tende a considerare l’Europa come un alleato subordinato piuttosto che un partner alla pari. Già l’amministrazione Biden ha favorito la re-industrializzazione americana sfruttando la crisi energetica europea: l’Inflation Reduction Act ha attratto capitali dall’estero, mentre l’esportazione di gas naturale liquefatto, costoso per gli europei, ha consolidato l’indipendenza energetica statunitense. Parallelamente, Biden ha spinto l’aumento delle spese per la difesa europea, vantaggioso per l’industria americana, e ha intensificato le pressioni contro la Cina in modi che rispondono più agli interessi di Washington che a quelli dell’UE.

La linea di Trump sull'Ucraina

Diversi segnali indicano che queste tendenze strategiche continueranno a influenzare i rapporti transatlantici. Dal punto di vista geopolitico, la guerra in Ucraina rappresenta un esempio emblematico. Questo conflitto, continuazione delle tensioni nel Donbass in cui Trump aveva già offerto sostegno a Kiev, non ha alterato l’equilibrio strategico che avvantaggia gli Stati Uniti. La Russia è stata colpita duramente dalle sanzioni, il suo legame economico con l’Europa si è indebolito, e la Germania, principale rivale economico di Washington in Europa, ha visto ridimensionata la sua posizione. Inoltre, la linea politica americana in Ucraina appare ormai consolidata: difficilmente cambierà, a prescindere da chi si trovi alla Casa Bianca, poiché per Washington lo status quo è funzionale. Questo scenario permette agli USA di mantenere l’Europa in una posizione subordinata e più dipendente dagli orientamenti d’Oltreoceano.

Gli Stati Uniti non volteranno le spalle alla Nato

Sul piano della Difesa, l’amministrazione Trump sarebbe difficilmente propensa ad abbandonare la NATO. Come ha affermato il generale David Petraeus, la proiezione militare statunitense in Europa è fondamentale non solo per la sicurezza europea, ma anche per gli interessi economici e politici degli Stati Uniti stessi. È una delle fonti principali della prosperità americana e contribuisce a mantenere un assetto di sicurezza globale in cui Washington esercita un'influenza decisiva. Pertanto, ogni ipotesi di riduzione dell’impegno militare americano sembra altamente improbabile: “America First” vuol dire, innanzitutto, leadership americana.

Gli Stati Uniti proseguiranno sulla strada del protezionismo

Infine, a livello economico, si prevede che gli Stati Uniti proseguano lungo la strada tracciata dalle ultime tre amministrazioni, con un approccio protezionista mirato a sostenere l’industria interna e a ridurre la dipendenza dalle importazioni, compresa quella europea. In sostanza, l’Europa dovrà adattarsi a un’America sempre più focalizzata sui propri interessi e pronta a gestire i rapporti con gli alleati in modo selettivo e pragmatico.

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno perseguito con determinazione una politica di autosufficienza industriale e tecnologica, una strategia che ha preso forma con Obama e ha ricevuto un forte impulso sia durante l’amministrazione Trump che sotto quella di Biden. Questo percorso ha comportato grandi investimenti nei settori strategici come i semiconduttori, l’intelligenza artificiale, le energie rinnovabili e i veicoli elettrici, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza economica da partner esteri e aumentare la competitività interna.

I tre obiettivi della strategia economica trumpiana

I tre principali obiettivi di questa strategia sono: contenere l’ascesa economica della Cina, allentare i legami economici tra l’Europa e potenze rivali (Russia per l’energia e Cina per la manifattura) e incentivare la rilocalizzazione di produzioni chiave negli Stati Uniti. Queste iniziative hanno reso gli USA più dinamici nel mercato globale e non hanno penalizzato le esportazioni europee, che sono cresciute: dai 400 miliardi di dollari nel 2016 (anno dell’elezione di Trump) a 495 miliardi nel 2019, fino a 522 miliardi nel 2022, durante l’amministrazione Biden, nonostante la pandemia.

Tuttavia, l’Europa rischia di perdere rilevanza strategica se non riesce a inserirsi nelle nuove catene del valore statunitensi, specialmente nei settori di punta come la microelettronica, l’intelligenza artificiale, l’energia verde e l’automotive elettrico, dove gli USA stanno assumendo un ruolo sempre più centrale anche nella manifattura. Per mantenere la propria competitività sul mercato americano, l’Europa dovrà consolidare il proprio posizionamento in settori strategici come quello farmaceutico, energetico e tecnologico, in modo da rimanere un partner commerciale di primo piano degli Stati Uniti.

Se il destino dell'Europa è in mano agli elettori del Michigan...

Il dirompente messaggio che il ritorno del trumpismo manda all’Europa è piuttosto di natura simbolica e politica. La vittoria di un miliardario che si fa cantore delle periferie ricorda che l’incedere della globalizzazione di matrice americana ha imposto a buona parte del Paese il faustiano baratto tra progresso politico e incertezza economica (sotto forma di deindustrializzazione di vaste parti del Paese, recesso produttivo, disuguaglianze) contro cui nasce la rivolta politica anti-globalista. Molti leader europei pensavano che la stagione in questione si fosse fermata col Covid-19 e ora stanno vedendo, in casa, gli effetti politici di ciò che l’alta inflazione, le disuguaglianze e la rottura centro-periferia hanno prodotto. Dopo il 2016, Trump ha suonato di nuovo la sveglia su questa fragilità che è dell’intero Occidente. E invita a pensare se davvero l’Europa debba ogni quattro anni pensare se debbano essere gli elettori di Pennsylvania, Winsconsin e Michigan a decidere il suo destino. O forse non sarebbe meglio sviluppare maturità e cognizione di causa sulla necessità di prendere le misure di un mondo competitivo.