Esteri
Guerra in Medio Oriente, ecco perché i nuovi vertici di Hamas ed Hezbollah non cambiano lo stato delle cose
Tra voci di tregua e proclami bellicosi i cambiamenti alla guida delle due fazioni lasciano tutto come prima
Ieri il primo discorso del nuovo leader di Hezbollah che attacca Israele e mette fine alle voci e speranze di una tregua vicina
«Avanti con il piano di guerra di Nasrallah». Le parole di Naim Qassem nuovo numero 1 di Hezbollah dopo le azioni di Israele che hanno decapitato i vertiti dei miliziani libanesi filo iraniani hanno lasciato poche speranze a chi anche nelle ultime ore si aggrappava alle voci di tregua. Di sicuro però l'uccisione dei vertici di Hezbollah ed Hamas e soprattutto la nomina dei nuovi vertici possono avere delle ripercussioni nel pieno della guerra che sta devastando il Medio Oriente, da Israele, Gaza e Libano.
Chi c'è ora ai vertici di Hamas ed Hezbollah? Cosa c'è di diverso, se ci sono cose diverse, rispetto a prima?
«L'uccisione del leader di Hamas, Yahya Sinwar, nella Striscia di Gaza - spiega Stefano Piazza, scrittore, esperto di terrorismo internazionale e profondo conoscitore del Medio Oriente, autore del libro: “Ottobre Nero. Il dilemma israeliano da Hamas all’Iran” - ha costretto il gruppo terroristico palestinese a riorganizzarsi. Una fonte interna ad Hamas ha riferito al quotidiano londinese Asharq al-Awsat che all'interno del gruppo sono in corso discussioni per la scelta di una nuova guida. La strategia attuale di Hamas é quella di non eleggere un successore e demandare tutto ad un comitato. Non deve sorprendere dato che i successi militari di Israele contro l’organizzazione terroristica hanno destabilizzato l'organizzazione e decimato la base di leadership di Hamas a Gaza senza dimenticare che l’80% della forza militare di Hamas è stata distrutta. I membri del comitato includono il rappresentante di Gaza Khalil al-Hayya, il rappresentante della Cisgiordania Zaher Jabarin e il ministro degli esteri de facto di Hamas, Khaled Meshal. Anche il capo del Consiglio consultivo della Shura di Hamas, Mohammed Darwish, fa parte del comitato, così come il segretario dell'ufficio politico, il cui nome rimane segreto. Tutti e cinque gli uomini sono di base in Qatar, dove Hamas gestisce il suo quartiere generale politico».
Come potrebbero influire sullo stato dei confilitti queste nuove nomine?
«In realtà poco, se non nulla. Le prime dichiarazioni dopo la morte di Sinwar sono state in linea con il passato ovvero nessun accordo con Israele, nessuna liberazione degli ostaggi fino al completo ritiro israeliano ecc, ecc. In realtà sottotraccia i leader di Hamas che sono tutti miliardari, trattano in modo da uscire da questa situazione anche perché temono che vengano toccati i loro patrimoni che si sono costruiti rubando risorse alla popolazione palestinese ma non solo; temono che presto gli Usa obblighino il Qatar ad espellerli, un fatto che li renderebbe facile bersaglio per l’intelligence israeliana che come visto varie volte li puo’ raggiungere ovunque. Evidente come i leader di Hamas stiano cercando una strada che li porti ad una tregua senza perdere la faccia ma soprattutto senza urtare gli interessi dell’Iran che è per continuare il conflitto senza fare accordi. In molti credono che siamo vicini ad una tregua ma questo è già accaduto molte volte con Hamas che si è sempre sfilata all’ultimo momento trovando sempre delle scuse. Perché? Io credo che non abbiano piu’ un numero considerevole di ostaggi da scambiare ma spero davvero di sbagliarmi».
Chi c'è ora ai vertici di Hezbollah?
«La leadership superstite, ormai ridotta e operante sotto la stretta supervisione iraniana, ha avuto limitate opzioni tra le figure politiche da sostenere. In questo contesto, l'elezione del religioso sciita Naim Qassem, storico vice di Nasrallah, è stata una scelta naturale per l'Iran e Hezbollah, considerando la scarsità di figure leali e qualificate per guidare l'organizzazione, spesso considerata il "gioiello" della rete terroristica iraniana in Libano. Qassem gode del sostegno delle alte sfere di Teheran, incluso il neoeletto presidente "riformista" Masoud Pezeshkian, che ha inviato a Qassem una dichiarazione ufficiale: "Sono fiducioso che la presenza di una personalità brillante e di un mujahid (jihadista) con un passato luminoso come Vostra Eminenza alla guida di Hezbollah rafforzerà la volontà nel campo della resistenza e continuerà il luminoso cammino dei grandi martiri di questo fronte". Nonostante sia fortemente indebolita Hezbollah resta sempre un pericolo (anche per l’Europa e il Sud America dove possono fare attentati) e i missili che lancia ogni giorno contro Israele lo provano. Smetteranno solo se distrutti totalmente oppure se l’Iran deciderà di fermarli. Ma nessuno si illuda su Teheran quindi l’unica opzione oggi sembra essere quella militare».
Passaporti italiani a membri Hezbollah. Esiste un rischio infiltrazione di miliziani e terroristi nel nostro Paese?
«Il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha confermato l'esistenza di un'indagine riguardante almeno cinque cittadini libanesi legati a un gruppo terroristico, i quali avrebbero ottenuto illegalmente la cittadinanza italiana. Questi individui, utilizzando certificati di nascita falsificati, sarebbero riusciti ad acquisire passaporti italiani, sfruttati per muoversi liberamente in Europa e raggiungere le zone di conflitto. Si tratta di una vicenda pericolosissima della quale non si conoscono esattamente i contorni anche se c’è la sensazione che le persone coinvolte possano essere di piu’. Al centro della vicenda c'è il consolato italiano a Caracas, che sarebbe coinvolto in attività poco trasparenti. Secondo alcune ricostruzioni sono almeno ottomila le richieste di passaporto italiano passate attraverso quel consolato. E chi sono queste persone e che certificati hanno presentato? E’ un business enorme che conosco molto bene dato che mi sono occupato di quelle agenzie che “aiutano” ad ottenere la nazionalità italiana. Basta pagare e diventi italiano in poco tempo. E cosa puo’ essere successo in altri consolati del Sud America dove Hezbollah spadroneggia da anni, ad esempio in Brasile? Il Sud America è un buco nero dove tutto si compra e si vende e il rischio che tutto questo si tramuti in una minaccia per l’Italia e l’Europa mi pare fin troppo evidente».
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