Esteri
Lo Stato Islamico compie un anno. Obiettivi e strategie
Il gruppo affonda le proprie radici nell’insurrezione che sconvolse l’Iraq post-2003. Dal 2004 viene chiamato semplicemente al-Qaida in Iraq (AQI), visto che l’ex leader del gruppo, Abu Musab al-Zarqawi, aveva giurato fedeltà a Osama bin Laden. Già a quei tempi questo gruppo si contraddistingueva per le proprie elevate capacità operative, per un consistente numero di guerriglieri stranieri, nonché per una forte interazione con le comunità arabo-sunnite locali. Sebbene AQI riconoscesse la leadership di al-Qaida (Osama Bin Laden e Ayman al-Zawahiri), e fosse diventata la punta di diamante dell’insurrezione che combatteva le forze della coalizione internazionale a guida statunitense, emergevano sempre più chiaramente le fratture con una parte della leadership di AQ. Infatti, la componente principalmente legata ad al-Zawahiri si era dimostrata insofferente alle tattiche stragiste adottate nei confronti dei musulmani (sunniti e sciiti). La morte del leader carismatico al-Zarqawi (2006) e la perdita di consenso di Aqi nell’Iraq centro-meridionale (a maggioranza sciita) portano a un progressivo declino del gruppo. Sempre nel 2006, AQI cambierà natura e nome, proclamando la nascita dello Stato Islamico in Iraq (ISI).
Parallelamente il gruppo dirigente si trova a doversi confrontare con lo sforzo congiunto delle unità tribali sunnite e delle forze americane sul campo. Ne uscirà sempre sconfitto, tanto che nel periodo 2007-2009 il gruppo è fortemente indebolito. Riuscirà però a sopravvivere e a riorganizzarsi dando avvio a una fase di rinascita. Il 2010 e il 2011 sono anni cruciali. Il ritiro degli Stati Uniti dall’Iraq, il prosieguo delle politiche settarie del governo al-Maliki nonostante i ripetuti appelli della comunità internazionale a bilanciare il patto sociale tra sunniti e sciiti, e infine l’incapacità dell’esercito iracheno nel controllare in maniera efficace il territorio sono tutti fattori che giocano a favore della rinascita di questo gruppo. Nello stesso anno muore Osama Bin Laden e al-Qaeda è costretta a riorganizzarsi, allentando per qualche mese il controllo sui gruppi islamisti che operano in diverse regioni della umma, incluso ISI. Pochi mesi prima era iniziata la rivolta in Siria contro Bashar Al-Assad, che consente al gruppo iracheno di presentarsi come attore essenziale di una lotta regionale contro quelli che i jihadisti definiscono taghout (letteralmente “tiranno apostata”). La denominazione Stato Islamico di Iraq e al-Sham (Isis) viene assunta nel gennaio-febbraio 2013. In questo periodo il gruppo ricerca la fusione con le brigate al-Nusra in Siria, fedeli ad al-Qaida (AQ), ricevendo però un rifiuto da parte del leader qaidista Ayman al-Zawahiri. Da febbraio 2014, AQ rompe qualsiasi legame con ISIS, che proclama il califfato il 29 giugno 2014, modificando il suo nome in Stato islamico (IS). Questo avviene dopo la conquista di Mosul (14 giugno 2014), la seconda città irachena, e dopo una serie di vittorie militari che conduce il gruppo alle porte di Baghdad.
Qual è stato lo sviluppo territoriale di IS e quali i suoi obiettivi?
I combattenti che nel 2006 formano il gruppo “Stato Islamico dell’Iraq” (Isi) operano inizialmente nella zona sunnita dell’Iraq (Ramadi, Fallujah, Samarra), dove sono impegnati nella lotta contro le truppe americane. Il salto di qualità per questa organizzazione terroristica arriva nel 2013, quando alcuni appartenenti a questo gruppo riescono a ottenere il controllo di alcune zone del territorio orientale della Siria, approfittando della debolezza dell’autorità centrale nel controllare il territorio e delle rivalità interne al fronte dei ribelli. Dopo avere consolidato il proprio dominio in questi territori, il gruppo si sposta nuovamente verso l’Iraq, dove riesce a prendere possesso di alcuni territori nel nord-ovest, inclusa la città di Mosul. Il 29 Giugno 2014 viene proclamato il califfato. Negli ultimi mesi il gruppo è avanzato in Siria, dove ha conquistato Palmira e consolidato il suo dominio in diverse zone del paese, mentre in Iraq è riuscito a prendere possesso di Ramadi, ma ha perso Tikrit e alcune zone del nord, riconquistate dai curdi. L’obiettivo a livello locale del sedicente Stato Islamico è di diventare la forza egemone all’interno dell’area sunnita che, partendo da Damasco, arriva fino a Baghdad. In questo senso, IS mira a presentarsi come uno stato che controlla il territorio ed eroga efficacemente i servizi alla popolazione locale, facendo leva sui malumori e le frustrazioni in particolare di comunità che si sono sentite ai margini dei progetti politici di questi territori. In questo contesto le direttrici di espansione di IS puntano sia verso sud-est (Baghdad) che verso ovest, dove si trovano diverse zone sunnite della Siria che sono ancora sotto il controllo di Assad. A livello globale IS mira ad espandere la sua presenza in alcune zone a maggioranza sunnita secondo uno schema che prevede il giuramento di fedeltà (baya) da parte di uno o più gruppi jihadisti, creando così un gruppo di combattenti che possa condurre il jihad in queste regione. Successivamente, il gruppo accetta di includere il territorio all’interno del quale questi miliziani operano come parte integrante della zona sotto l’autorità del califfo, proclamando una regione (wilaya) che, nelle intenzioni del gruppo terrorista, rappresenta già una realtà capace di sottrarsi all’autorità del governo centrale.
Chi sono i personaggi chiave?
Abu Musab al-Zarqawi
Originario della città di Zarqa (Giordania), è considerato l’ideologo di IS. Dopo aver fondato il gruppo Jamaat al-Tawhid wal-Jihad (1999-2004) giura fedeltà (baya) ad al-Qaida, di cui diventa il leader in Iraq (2004). Il principale cambiamento della strategia di questa organizzazione nelle zone a maggioranza sunnita è stata la priorità della lotta contro gli sciiti e il regime di Baghdad rispetto agli attacchi nei confronti delle truppe americane. Tale scelta avrebbe avuto come conseguenza quella di aprire una serie di tensioni con i leader di al-Qaida, che contestavano la leadership al gruppo guidato da al-Zarqawi, aprendo una frattura tra queste due organizzazioni terroristiche che poi si sarebbe aggravata nel periodo successivo fino ad arrivare a una rottura profonda con la proclamazione del Califfato da parte di al-Baghdadi. Al-Zarqawi è stato ucciso in un raid americano nel 2006.
Ibrahim Awwad Ali al-Badri al-Samarrai (aka Abu-Bakr al-Baghdadi o Califfo Ibrahim)
Non si hanno notizie certe sul leader di IS, che sarebbe nato nel 1971 nella zona di Samarra. Dalle fonti di intelligence sembra che, dopo avere conseguito un dottorato in studi islamici, si sia unito al gruppo Jamaat Jaysh Ahl al-Sunnah wa-l-Jamaah (JJASJ), ma sia stato arrestato nel 2004 dalle forze americane. Dopo essere stato liberato come “prigioniero non pericoloso”, dopo un anno è diventato supervisore del consiglio della sharia che lavorava per il gruppo “Stato Islamico in Iraq”, formato poco dopo la morte di al-Zarqawi nel 2006. Nel 2010 viene nominato leader di questo movimento, ancora formalmente affiliato ad al-Qaida. Nel 2013 il gruppo diventa ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante), dopo aver ampliato il proprio raggio d’azione allo scenario siriano. Dopo la presa della città di Mosul, il 29 giugno 2014 al-Baghdadi viene proclamato Califfo.
Fadl Ahmad Abdullah al-Hiyali (aka Abu Muslim al-Turkmani)
Generale dell’esercito di Saddam e membro dei servizi segreti dell’ex rais di Baghdad, turkmeno proveniente della zona di Tal Affar. Dopo lo scioglimento dell’esercito iracheno nel 2003 e l’invasione statunitense, decide di unirsi agli insorgenti sunniti. In questo periodo si avvicina ai movimenti jihadisti, diventando successivamente uno dei personaggi chiave di IS. Per questa organizzazione diventa uno dei referenti nella gestione del territorio, sovrintendendo alla nomina dei “governatori” del gruppo islamico e alla preparazione della conquista dei territori sui quali il gruppo aveva aspirazioni. Inoltre sembra che facesse parte del consiglio militare ristretto che coordina la strategia militare di IS. Sarebbe stato ucciso in un raid a guida americana nel dicembre 2013.
Tarkhan Tayumurazovich Batirashvili (aka Umar al Shishani)
Ex membro dei servizi segreti georgiani, nato da padre georgiano e madre cecena. Durante la guerra cecena la sua area di nascita è zona di transito per i guerriglieri che combattono contro l’esercito russo. Dopo avere completato gli studi, diventa sergente dell’intelligence russa e viene promosso per il suo servizio alla nazione durante la guerra tra Russia e Georgia del 2008. Nel 2010 viene però arrestato per detenzione illegale di armi da fuoco e nel 2012 abbandona il paese per raggiungere la Siria. Qui combatte con altri guerriglieri stranieri contro le truppe di Assad e nel 2013 decide di unirsi a IS, diventando uno dei comandanti militari del gruppo. Nel 2014 sarebbe stato tra gli strateghi dell’attacco a Kobane.
Abu Mohammad al-Adnani
Nato nel 1977 nei pressi di Aleppo, è considerato il personaggio chiave della strategia di comunicazione di IS e il portavoce dell’organizzazione. È considerato uno dei primi foreign fighters a unirsi al jihad contro le truppe della coalizione in Iraq nel 2003, quando giura fedeltà ad al-Zarqawi. Viene arrestato nel 2005 dalle truppe della coalizione e rilasciato nel 2010. Nel novembre del 2014 alcune testate riportano che sarebbe stato ucciso dai raid americani, ma tale circostanza è stata poi smentita da alcuni file audio e video rilasciati da IS che contengono delle incitazioni a combattere gli infedeli “ovunque si trovino”.
Foreign fighters
Questa categoria rappresenta quell’insieme di soggetti partiti dai quattro angoli del mondo per andare a combattere in Siria e in Iraq con le milizie di IS. Si tratta non solo di giovani musulmani di seconda e terza generazione non integrati nella società, ma anche di convertiti dell’ultima ora, che vedono in IS e nel jihad un mezzo di realizzazione personale. Secondo stime aggiornate dell’International Center for the Study of Radicalisation and Political Violence (ICSR), i foreign fighters in Siria e Iraq sono 20.730 unità (in crescita rispetto ai primi dati disponibili che ne contavano 15.000), di cui 4.300 (+900 rispetto ai precedenti dati) provenienti dall’Occidente (Europa, Stati Uniti, Canada e Australia). Questi combattenti provengono da 90 paesi (vedi grafico) e rappresentano il 15-25% del totale. I foreign fighters che hanno abbandonato il teatro di conflitto e sono tornati nelle loro terre sono il 10-30% del totale. I foreign fighters morti in Siria e Iraq sono il 5-10% del totale.
Quale relazione tra al-Qaida e IS?
IS rappresenta il punto d'incontro ideologico tra la prima fase di AQ, caratterizzata da una prospettiva globale e la seconda, che si concentra sulla dimensione locale. IS – e la sua versione antecedente AQI – si distingue da AQ per avere degli obiettivi legati soprattutto alla realtà locale e per considerare prioritaria la lotta contro gli sciiti iracheni rispetto a quella contro l’Occidente. Inizialmente il gruppo operava soltanto in Iraq e Siria, ma con la proclamazione del califfato IS ha indicato la volontà di assumere una dimensione globale, esercitando di fatto un’attrazione competitiva rispetto ad AQ su svariati gruppi jihadisti, anche nei confronti di quelli più o meno ufficialmente legati ad AQ centrale. Si inseriscono in questo contesto le dichiarazioni di fedeltà pronunciate dai gruppi Ansar Bayt al-Maqdis (poi rinominatosi Wilayat Sinai) in Egitto, Jund al-Khilafa in Algeria, Boko Haram in Nigeria, nonché alcune organizzazioni scissioniste dei talebani in Af-Pak, del Fronte moro in Filippine e di Hamas nella Striscia di Gaza.
Come si finanzia IS?
Secondo un report del febbraio 2015 stilato dal Financial Action Task Force (Fatf), Ong internazionale specializzata in studi sul riciclaggio di denaro e sui metodi di finanziamento terroristici, IS ha sviluppato importanti ed eterogenei canali di finanziamento delle proprie attività eversive. La principale fonte di denaro deriva dai profitti illeciti ricavati dall’occupazione del territorio: dall’estorsione operata verso gli istituti di credito al controllo di giacimenti e impianti di raffinazione del greggio (11 pozzi petroliferi controllati sui territori di Iraq e Siria), a vere e proprie rapine operate sugli asset economici dei territori occupati, alla tassazione illecita di beni che transitano sui territori occupati. A questi si aggiungono rapimenti a scopo di estorsione, traffico di denaro, donazioni – effettuate anche da o attraverso organizzazioni non governative – e, infine, il supporto materiale offerto dai foreign fighters. Allo stato attuale non esistono prove comprovate di collegamenti tra IS e immigrazione illegale, così come non esistono dirette connessioni tra IS e il finanziamento illecito derivante dal traffico di esseri umani. È molto probabile che ci siano diversi soggetti che facciano da intermediari, altri che agiscono in collusione con IS, altri ancora che agiscono in totale indipendenza dall’organizzazione di al-Baghdadi. Ciononostante i vari soggetti sono tenuti a pagare una sorta di “pizzo” per fare da agevolatori nel passaggio dal luogo originario di partenza fino a quello di destinazione finale. Secondo quanto reso noto da fonti anonime dell’intelligence statunitense, IS riuscirebbe a guadagnare più di 3 milioni di dollari al giorno, disponendo di un capitale complessivo intorno ai due miliardi di dollari.
Qual è stata la risposta internazionale?
Sebbene sia tardata a manifestarsi una risposta internazionale unitaria, l’8 settembre 2014, 40 paesi (occidentali e arabo-musulmani) si sono riuniti a Parigi per annunciare la formazione di una coalizione globale anti-IS e per definire le strategie di contenimento della minaccia jihadista in Iraq e Siria, attraverso l’istituzione di alcune linee guida comuni. Dal punto di vista puramente militare e strategico, il piano anti-IS, annunciato dal presidente Obama in un discorso alla nazione, si struttura in quattro pilastri. Il primo riguarda una campagna prolungata di bombardamenti aerei che hanno l’obiettivo di sostenere l’azione delle truppe che combattono i jihadisti sul campo: iracheni, curdi e i ribelli siriani moderati che ricevono gli aiuti militari. In secondo luogo, è stato incrementato il sostegno a quelle forze che stanno già combattendo i terroristi sul terreno. Obama ha annunciato l’invio 450 soldati in aggiunta alle 3.500 unità già presenti sul territorio, senza compiti di combattimento ma con funzioni di training e intelligence. Il terzo e quarto punto della strategia anti-IS riguardano infine le attività di counter-terrorism e l’assistenza umanitaria alle popolazioni colpite. Al fine di tagliare i finanziamenti ai jihadisti, di bloccare il flusso di combattenti stranieri in Iraq e in Siria e assicurare aiuti umanitari alle popolazioni più minacciate, tutti i paesi della coalizione collaborano tra loro per un più efficace coordinamento dei servizi di sicurezza e un rafforzamento della sorveglianza delle frontiere. Ciononostante, il piano delineato dalla coalizione presenta numerose debolezze, sia per l’incertezza sui dettagli del piano stesso, sia per la presenza di numerosi interessi in gioco all’interno dell’alleanza, molto spesso divergenti fra loro.
Da ispionline.it