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Miopia dell’Occidente: la fame di guerra di Netanyahu è il vero baratro
Possibile nessuno voglia ricordare che quello iraniano è stato un atto dimostrativo e strategico? Una tempesta in un bicchiere d’acqua...
Miopia dell’Occidente: la fame di guerra di Netanyahu è il vero baratro
Israele e Iran sono nemici da quando l’ultimo Scià di Persia, Reza Pahlavi, è stato deposto durante la rivoluzione islamica del 1979. La loro è una rivalità consolidata la cui intensità, che varia a seconda del momento geopolitico, è il termometro con il quale si misura il grado di instabilità dell’intera area medio orientale. Israele vede col fumo negli occhi l’Iran perché quest’ultimo vuole la sua distruzione e perché considera la milizia libanese di Hezbollah, quella degli Houthi dello Yemen e le milizie irachene sciite strumenti nelle mani degli ayatollah.
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Teheran a sua volta considera lo stato ebraico un corpo estraneo, un “piccolo Satana”, un aculeo velenoso degli Stati Uniti conficcato in Medio Oriente. Talvolta viene anche promosso, diventando il “grande Satana”, come in questi ultimi mesi. Misure a parte, da un punto di vista squisitamente storico, quel che risulta evidente a chiunque si occupi di quest’angolo di mondo, è che da quando sia l’uno, Israele, che l’altro, gli Stati Uniti, hanno fatto ingresso nella regione non c’è più stato un solo giorno di pace. Da decenni Iran e Israele – col massiccio sostegno degli USA - si fronteggiano in una guerra ombra che, a differenza del passato, oggi è uscita allo scoperto. Né l’altra parte hanno risparmiato colpi bassi, orrende stragi e omicidi mirati. Il più letale attacco iraniano, dopo quello commesso nel 1994 contro l'Associazione mutualistica israelita argentina di Buenos Aires, recentemente condannato dalla giustizia argentina, resta quello che distrusse l’ambasciata israeliana a Buenos Aires, il 17 marzo 1992. Nella deflagrazione andarono distrutti anche una chiesa cattolica e una scuola. Fu una carneficina della quale in Argentina è ancora viva l’eco. Oggi al posto dell’edificio polverizzato c’è un memoriale, un giardino nel quale sono ricordate tutte le vittime, molte delle quali bambini.
Israele, da par suo, pur non disdegnando attacchi terroristici, ha privilegiato campagne di sabotaggio, cyberattacchi contro le installazioni iraniane per l’arricchimento dell’uranio e assassinii mirati ad alti funzionari e scienziati. L’ultimo più eclatante è quello dello scienziato Mohsen Fakhrizadeh, assassinato nel novembre 2020. Figura apicale all’interno del ministero della Difesa iraniano, Fakhrizadeh era anche un noto fisico nucleare la cui competenza è stata fondamentale nello sviluppo del programma nucleare iraniano. Secondo un’inchiesta condotta all’epoca dal New York Times, fu ucciso con l’ausilio dell’intelligenza artificiale grazie alla quale una sofisticata mitragliatrice venne attivata a 1.600 chilometri di distanza.
Venendo agli ultimi eventi, quelli che hanno catalizzato l’attenzione delle ultime 48 ore, c’è di che restar basiti a leggere certe analisi nostrane, in alcune delle quali il gigante persiano viene addirittura liquidato come il grande sconfitto e la sua azione militare descritta come un fallimento degno del più incapace degli strateghi; mentre Israele viene incoronato come unico campione, il vincitore della partita; una vittoria strategica che conferma, una volta di più, la sua forza e imbattibilità sul campo.
Ma davvero c’è qualcuno in Occidente che crede che l’Iran abbia mandato a casaccio i suoi droni suicidi e i suoi missili balistici a bassa intensità, e lo abbia fatto per insipienza? Possibile nessuno voglia ricordare che quello iraniano è stato un atto dimostrativo e strategico? La definizione di “attacco simbolico” dice ancora qualcosa a qualcuno? La spettacolare risposta dell’Iran fa parte di una sofisticata partita a scacchi. È una precisa e calcolata replica all’inaudito attacco terrorista di Israele al consolato iraniano a Damasco, nel crollo del quale sono rimaste uccise 13 persone, fra cui il generale Mohammad Reza Zahedi e altri sei alti ufficiali del corpo militare dei pasdaran.
Quella alla quale abbiamo assistito nella notte fra sabato e domenica è una tempesta in un bicchiere d’acqua. Il classico gioco delle parti: d'accordo con gli Stati Uniti, e preavvertendoli con larghissimo anticipo, l’Iran ha lanciato droni e missili verso zone inabitate in Israele, salvando così la faccia davanti al suo popolo per lo smacco subito 10 giorni fa in Siria. Israele, avvertito a sua volta con ampio anticipo, e supportato dalle formidabili forze aeree statunitensi, britanniche, francesi e giordane, ha intercettato il 90 % di missili e droni già nei cieli di Giordania, Iraq e Siria, abbattendoli ancora prima che varcassero il confine dello stato ebraico. Sul palcoscenico di questa pantomima militare Israele vince, il nemico storico perde. L’Iran dice di essere a posto così, accettando persino di fare la figura dello sconfitto sprovveduto. Ma che le cose non stiano esattamente così lo prova il fatto che questa mattina gli Stati Uniti hanno avvertito Israele “di non fare cose delle quali si pentirebbe” e Biden ha consigliato Netanyahu di “rallentare le cose dopo l’attacco iraniano”.
Il fatto è che il primo ministro israeliano non sembra in grado di giocare questa partita di scacchi. Accecato dall’odio e dalla fame di conquista, prigioniero del rischio concreto di finire sotto processo per le montagne di accuse che pendono sulla sua testa, vuole la guerra. Per lui, alimentarla è vitale, almeno tanto quanto per tutti gli altri, palestinesi e israeliani in testa, è mortale. Al di là delle forze schierate in campo, dei fratelli grandi che proteggono l’uno e l’altro fronte - Stati Uniti da una parte, Cina e Russia dall’altra -, e che si scontrano in profondità come le placche dei continenti, restano abbandonati sul tavolo quattro elementi verso i quali pochi sembrano prestare attenzione.
Primo: sebbene simbolico, l’attacco dell’Iran ha spezzato la deterrenza decennale che Israele aveva imposto in tutta la regione. Secondo: con buona probabilità l’attacco è anche servito agli iraniani per saggiare le difese aeree israeliane e prenderne le misure. Terzo: se è vero, come è vero, che Israele ha abbattuto il 90% dei missili e droni, è anche vero che almeno 15 di loro sono riusciti a cadere sulla base aerea militare di Nevatim, nel deserto del Negev, la stessa da cui sono partiti gli attacchi contro il consolato iraniano a Damasco. L’unico obiettivo che l’Iran voleva centrare l’ha centrato. Quarto, ma non ultimo: la somma che Israele ha dovuto sborsare per difendersi è di 4 miliardi di Shekels, spicciolo più spicciolo meno. Circa 1 miliardo e 500 mila euro. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, nel suo appello lanciato questa mattina alla comunità internazionale ha ribadito che "il Medio Oriente è sull'orlo del baratro” ricordando “la responsabilità condivisa di coinvolgere attivamente tutte le parti interessate per prevenire un'ulteriore escalation”, e riaffermando infine una lapalissiana verità: “non possiamo permetterci altre guerre”. Nel suo appello però sembra aver dimenticato di citare una variabile, un’incognita affatto irrilevante: la fame di guerra di Netanyahu. Il vero baratro dentro il quale rischia di essere inghiottito Sansone e tutti i filistei.