Esteri

Morire di freddo a Gaza appena nati

Più di un bambino in questi giorni è morto per le condizioni disumane nella povera terra araba, simbolo di ogni guerra nel mondo

Di Menotti Lerro

Si può morire nel giorno della propria nascita a causa del freddo nel sedicente mondo civile dell’ormai 2025?
 

Sconfortanti notizie dal Medio Oriente
Si odono grida di neonati morti per il freddo in Palestina. Ne apprendo con raccapriccio mentre sorseggio un tè caldo, perso nella gioiosa nostalgia dei miei anni trascorsi in Inghilterra, e d’un tratto un profondo senso di malinconia mi riporta nell’ambivalente presente, lasciandomi turbato. 

Si può morire nel giorno della propria nascita (che in questo caso è coinciso anche con il giorno convenzionale della nascita attribuito alla figura cristiana di Gesù Cristo) a causa del freddo nel sedicente mondo civile dell’ormai 2025?

Di chi è la colpa di tutto questo? Chi sono questi personaggi che ancora ritengono doveroso uccidere nel nome di una striscia di territorio o di un ideale religioso o perché magari l’altro gli ha pestato il piede? Non lo sappiamo davvero, ma… intanto Sila è morta. È morta di freddo, sotto le bombe (mentre noi ci prepariamo ai fuochi d’artificio e ai botti per le strade… che ogni anno in Italia fanno centinaia di feriti e qualche morto…). 

A quei politici colpevoli vorrei dire a tal proposito: ricordatevelo quando vi preoccupate per i vostri cari, magari perché hanno un po’ di febbre o si sono rotti un mignolo. Ricordatevelo mentre restate al caldo asfissiante delle vostre case a cenare abbondantemente senza mai saziarvi, brindando alla salute vostra e a quella di coloro che amate e che solo rappresentano per voi l’altro da voi stessi. Ricordatevelo quando, prima di dormire, penserete compiaciuti e trepidanti in speranza ai vostri sogni che ancora desiderate realizzare, magari supplicando Dio di aiutarvi a farlo, chiedendogli, con la faccia umilmente a terra, di darvi ancora la forza necessaria, la salute come bene primario e l’amore per il diletto dello spirito e del corpo. Per favore, in tutti quei momenti concedete un pensiero a quei bambini e sappiate – per dirlo con le parole di Primo Levi – che “se io fossi Dio sputerei a terra le vostre preghiere”.

I bambini sono anime pure e innocenti, non hanno né bandiere né colpe. I bambini sono la parte di noi che ci ricongiunge ancora con il Paradiso perduto. Un mondo così disorganizzato da determinarne la morte alla nascita, è un mondo incivile, abietto, indegno. Parliamone, sì, urliamolo e disperiamoci pure se ne abbiamo la sensibilità. Una lacrima può renderci in qualche modo ancora umani.

Ma intanto Sila è morta…

La guerra simboleggia il disprezzo della vita stessa, rinnega Dio perché ogni Dio tende alla conservazione di ogni specie. La guerra è la vittoria di Satana che attende – stando alla Bibbia – le trombe e i sigilli, la Geenna, Armageddon, l’ineludibile giorno del giudizio…  

E allora perdiamoci pure, adesso, nelle speculazioni filosofiche intelligibili atte a definire ciò che per definizione è indefinibile… Da Nietzsche che considera la guerra “fine della vita, eppure anche il suo principio” a Platone per il quale – similmente ad Eraclito – i conflitti armati rappresentano per certi aspetti “strumento per l’arte politica”, dunque non negativi né da condannare perché “contribuiscono al corretto equilibrio all’interno della polis”. 

E ancora mi viene in mente, per avvicinarci ai nostri giorni, Oriana Fallaci la quale sottolineava giustamente l’errore di certe donne che rinunciano alla procreazione per paura, tra le altre cose, della guerra. E poi Ungaretti, il suo lamento di quell’“intera nottata vicino a un compagno massacrato con la bocca digrignata volta al plenilunio” e di come, paradossalmente, proprio in quei momenti d’orrore indicibile si finisce per scrivere “lettere piene d’amore”, poiché in quegli istanti l’io poetico avverte di non essere “mai stato tanto attaccato alla vita”. 

I pensatori, gli scrittori, i poeti hanno sentito (a volte sperimentato) tutto questo e lo hanno tradotto così, con indelebile inchiostro, provando a illuminare, non sempre riuscendoci, la via. Ma intanto… Sila è morta, morta! E tutto appare miserabile a noi che restiamo. 

Il suo ricordo, però – voglio crederlo – un giorno salverà altre vite

È dunque questo il prezzo che gli umani devono pagare per raggiungere lo zenit? Questo il prezzo per vincere quel senso profondo e scomodo di “verità” a cui Arthur Schopenhauer faceva riferimento affermando che “ciò che rende l’uomo infelice è il fatto di voler essere felice” fino forse, aggiungo, nel prendere miseramente coscienza di essere troppo spesso impossibilitato a esserlo, a voler limitare la supposta felicità altrui? 

È forse questa la nostra “vera” essenza? Siamo noi Mostri che ci crediamo umani?