Esteri
La campagna di disinformazione della Cina contro Taiwan: un attacco alle relazioni con gli Stati Uniti
Nel 2024 il numero di informazioni false o tendenziose diffuse a Taiwan per mano della Cina sono aumentate del 60%. Pechino gestisce una rete globale di fake news chiamata Paperwall, che utilizza più di cento siti web
La Cina intensifica la disinformazione contro Taiwan
La Cina sta moltiplicando gli sforzi per minare la stabilità di Taiwan e le sue relazioni con gli Stati Uniti attraverso una vasta campagna di disinformazione. A segnalarlo è lo stesso governo di Taipei sulla base di un report compilato dall’intelligence.
Secondo il National security bureau, nel 2024 il numero di informazioni false o tendenziose diffuse a Taiwan per mano della Cina sono aumentate del 60%, passando da 1,33 milioni nel 2023 a 2,16 l’anno scorso. Una campagna sistematica di disinformazione, condotta attraverso i social network, popolati da account fittizi e da contenuti creati dall’intelligenza artificiale. I principali canali di diffusione sono Facebook e Instagram, ma anche Tiktok e Youtube recitano la loro parte. In totale, nel 2024 sono stati identificati 28.216 account fake (contro gli 11.661 del 2023), ma la disinformzione cinese passa anche attraverso attacchi hacker ad account taiwanesi e grazie all’influenza di Pechino su diversi media locali.
Una dinamica che ricorda la più ampia strategia cinese chiamata Paperwall, la rete di fake news attiva in tutto il mondo creata grazie a più di cento siti web in diverse lingue, gestiti tutti dall’interno della Cina. Nei confronti di Taiwan, però, la questione è diversa a causa delle mire territoriali di Pechino, che periodicamente circonda l’isola con la propria marina simulando un blocco navale. Nel discorso di Capodanno alla nazione, il presidente Xi Jinping ha rilanciato l’obiettivo del ricongiungimento: “i cinesi su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan sono un'unica famiglia”, ha detto, “nessuno può recidere i nostri legami di sangue e nessuno può fermare la tendenza storica della riunificazione della madrepatria”.
Dal canto suo, il presidente taiwanese Lai Ching-te ha detto, nel suo analogo discorso, che l’isola continuerà a rafforzare le proprie difese contro la minaccia cinese. Rientra in quest’ottica, forse, la proposta del ministro dell’Interno Yeh Jiunn-rong di sciogliere China unification promotion party (Cupp), piccola formazione che mira, appunto, a ricongiungersi con la Repubblica popolare. Ufficialmente, la posizione del ministro è che il Cupp sia coinvolto in “attività criminali sistematiche e organizzate” e che i suoi membri abbiano “ripetutamente” violato la legge “ponendo gravi minacce alla sicurezza nazionale, alla stabilità sociale e all'integrità elettorale”. Già a novembre il ministero dell’Interno aveva dichiarato che avrebbe condotto delle indagini per valutare se ci fossero gli estremi per arrivare a chiedere alla Corte costituzionale di sciogliere il partito. Da quanto emerso, ci sarebbero ben 134 membri del Cupp erano sospettati di aver commesso vari reati tra il 2010 e il 2024, ostruzione della giustizia, traffico di esseri umani e omicidio.
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Per quanto riguarda i rapporti tra Taiwan e gli Stati Uniti, pochi giorni fa la Cina ha imposto il divieto di export di prodotti dual-use a 28 aziende statunitensi attive nel settore della difesa, dichiarandone dieci “entità non affidabili” a causa della loro cessione di armi a Taiwan. Per Pechino, questi scambi commerciali non solo mettono a repentaglio la propria sicurezza, ma costituiscono una violazione degli accordi presi con Washington riguardo l’isola, ufficialmente non riconosciuta dagli Usa.