Esteri
Taiwan, Panama, l'economia ma anche lo spazio: la nuova guerra fredda tra gli Stati Uniti 2.0 di Trump e la Cina
Ecco perchè il Trump 2.0 promette di alzare il livello dello scontro. L'analisi
Le mille partite Usa-Cina in vista del 20 gennaio
Taiwan, Panama, l’economia, ma anche lo spazio: la “guerra fredda” del nostro tempo, la competizione globale tra Stati Uniti e Cina, passa da diversi snodi. Fin dall’amministrazione di Barack Obama Washington ha individuato in Pechino il nuovo soggetto della propria politica estera come lo era stato un tempo l’Unione sovietica. Certo, è con il primo mandato di Trump che questa impostazione ha avuto uno scatto in avanti grazie l’avvio della guerra commerciale nel 2018. Joe Biden ha continuato sulla stessa linea: per esempio, ha aumentato il numero di aziende cinesi presenti nella Entity List, cioè l’elenco di quelle società a cui i produttori statunitensi non possono vendere prodotti, mentre sul versante geopolitico ha rafforzato la cooperazione con attori regionali alleati.
Il Trump 2.0 promette di alzare il livello dello scontro. Il principio dell’America First sbandierato dal futuro presidente lo porta a piegare ogni contesto internazionale a suo vantaggio, specie se di mezzo c’è la Cina. Ne sono un esempio le parole riguardo Groenlandia e Panama, che The Donald vorrebbe dentro gli Usa. Ecco, dunque, una breve mappa dei principali teatri della competizione tra le due potenze.
Taiwan
Quantomeno da un punto di vista simbolico, l’Isola di Formosa è il terreno di scontro più importante. Pechino la rivendica e punta alla riunificazione. Gli Usa, pur non riconoscendo ufficialmente lo Stato di Taiwan, ne è il principale alleato di Taiwan e lo sostiene politicamente ed economicamente, tanto che la Cina ha dichiarato dieci aziende statunitensi attive nel settore della Difesa “entità non affidabili” a causa della loro cessione di armi a Taiwan. Periodicamente, Pechino conduce esercitazioni militari davanti all’Isola, contribuendo a tenere alto un clima di tensione che si estende a tutta la regione.
Il Mar cinese meridionale e lo scenario dell’indo-Pacifico
Taiwan si inserisce in uno scacchiere più ampio, quello del Mar cinese meridionale, che a sua volta fa parte del contesto indo-Pacifico. I principali alleati di Washington nell’area sono Giappone, India, Corea del Sud, Filippine e Australia, le quali più volte hanno manifestato preoccupazione per l’attivismo cinese, denunciando anche danneggiamenti a imbarcazioni. Proprio per questo, già l’amministrazione Biden ha creato l’Aukus, un patto di sicurezza trilaterale con Regno Unito e Australia, e rafforzato il Quad (Quadrilateral security dialogue) con India, Giappone e di nuovo Australia. Sulla tenuta dell’Aukus pesa però l’incertezza riguardo la rielezione di Trump: il trattato prevede che gli Usa forniscano a Canberra alcuni sottomarini, riducendo quindi la propria flotta. Dal momento che l’economia bellica statunitense sta attraversando un momento di difficoltà, sono stati sollevati dubbi sull’effettiva capacità di Washington di far fronte alle proprie esigenze e quelle degli alleati. In questo senso, l’America First di Trump potrebbe spingerlo a rivedere gli accordi, ma la speranza dei partner è che il contenimento della Cina conti più che il fattore economico.
Panama
La difesa dei propri interessi commerciali è alla base della (presunta) volontà di Trump di prendere il controllo del Canale di Panama. Per il futuro presidente è inaccettabile che due dei cinque porti alle estremità degli oltre 80 kilometri d’acqua siano gestiti da una sussidiaria dell’azienda di Hong Kong, e quindi ormai cinese, Hutchison Whampoa. Sarebbe, dunque, per evitare che Pechino sfrutti la propria posizione per danneggiare Washington che Trump vorrebbe mettere le mani sul Canale, gestito da 25 anni dallo Stato centroamericano. Con il rischio di essere estromessa dall’area, la Cina starebbe già pensando a un piano B, progettando di realizzare un “canale secco” in Honduras, per trasportare su gomma e rotaia le merci dall’Atlantico al Pacifico e viceversa.
La guerra commerciale e il ruolo della Groenlandia
Trump ha già promesso un aumento delle tariffe verso la Cina e ha minacciato di essere pronto ad adottarne di ancora più salate se i Brics, di cui Pechino fa parte, dovessero adottare una moneta propria per avviare un percorso di disaccoppiamento dal dollaro per sfuggire agli umori del presidente Usa di turno. In ogni caso, lo scontro commerciale passa da sanzioni e ostacoli posti da entrambi gli attori. La (presunta) volontà di Trump annettere anche la Groenlandia si può leggere all’interno di questo contesto: l’isola più grande del mondo è ricca di terre rare, fondamentali per la produzione di chip, a loro volta imprescindibile per lo sviluppo tecnologico. A oggi, la Cina domina il mercato delle terre rare grazie ai suoi investimenti in Africa: per gli Usa, avere la Groenlandia significherebbe avere una nuova fonte diretta e a basso costo, aggirando eventuali ostruzioni cinesi nell’approvvigionamento.
Guerre stellari
Dopo la geopolitica, l’astropolitica. La competizione tra Cina e Usa passa anche dallo spazio, dove i due paesi fanno a gara per costruire costellazioni satellitari per dominare le comunicazioni. Lo fanno attraverso strumenti che spesso sono dual-use, cioè pensanti per l’uso civile ma che posso essere impiegati anche per scopi militari e di intelligence.