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Food
La cucina italiana in Oriente non attira più e gli chef scappano dalla Cina

La seconda ragione è la difficoltà di reperimento dei prodotti italiani in quanto, da un lato, alcuni importatori o distributori hanno cessato l’attività; dall’altro, conseguenza diretta, i prezzi di listino sono aumentati e la ristorazione media non può sostenere questi costi. Nell’ultimo periodo se si vuole utilizzare alcuni prodotti italiani bisogna essere preparati a spendere 100 euro al chilo per il guanciale, altrettanto per un cotechino e 225 euro al chilo per un culatello di Zibello, per non parlare delle latte di olio di oliva da 5 litri a 46 euro. Se poi si aggiunge la difficoltà di reperire prodotti ittici freschi dal Giappone (la Cina ha recentemente sospeso l’import di cibo dal Giappone), la scelta si riduce a produzioni locali o congelate, o ancor peggio ai prodotti italian sounding.

Inoltre c'è una crescente difficoltà nella gestione di staff cinesi che non sempre seguono pedissequamente le istruzioni dello chef nella preparazione dei piatti in cucina, forse per un rinato sentimento nazionalista, e infine la retribuzione che oggi è inferiore rispetto ad altre realtà geografiche. Negli ultimi nove mesi le offerte del mercato del lavoro rivolte a chef italiani si sono orientate per il 60-70% su Singapore, sugli Emirati Arabi Uniti (in particolare Dubai) e qualche richiesta arriva pure dall'Egitto, dal Vietnam e dalle Mauritius. Le offerte riguardano non solo executive chef ma anche profili intermedi. Tutto questo potrebbe significare un passo indietro nella promozione della nostra tradizione gastronomica in Cina.

Leggi anche: Dopo i vini italiani e il ramen Gordon Ramsay lancia una linea di surgelati

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