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Dal Terrore ai giorni del Covid-19: "La casa degli uccelli" è da non perdere
"Durante il Grande Terrore, nel 1794, un gruppo di borghesi benestanti e aristocratici viene rinchiuso in un ex pensionato militare di Parigi..."
Parigi, 1794. In una zona centrale della città sorge un palazzo sede di un collegio militare. Un edificio come tanti, eppure le ricche sale affrescate da Pigalle e il vasto parco con le voliere, un tempo frequentati da rampolli di buona famiglia, nel giro di pochi mesi si sono trasformati in un carcere. Un carcere con una caratteristica unica: i prigionieri non hanno nessuna intenzione di uscire. È all’interno della cosiddetta Casa degli Uccelli, infatti, da cui il titolo del nuovo romanzo di Laura Bosio e Bruno Nacci, edito da Guanda, che nei mesi del Grande Terrore si nascondono una trentina di aristocratici e facoltosi borghesi, sul cui capo pende la ghigliottina. Tutti devono la loro sopravvivenza unicamente alla Sezione Rivoluzionaria che li tiene in ostaggio, ma al sicuro, in cambio di denaro. Nelle stanze della Casa gli ospiti ripetono i riti di un mondo che fuori sta sanguinosamente crollando, uniti in un gioco di intrighi e ricatti: baroni, burocrati, principesse sotto mentite spoglie, generali in pensione, vescovi spretati; un ragazzo arrivato con i nonni che trova conforto in una giovane vedova; una ex dama di corte svampita e aggrappata al fantasma di un passato fastoso. A fare da tramite con il mondo esterno è Bertier, un parrucchiere che frequenta la Casa e che si occupa anche della testa del temibile Fouquier-Tinville, l’implacabile accusatore del Tribunale Rivoluzionario, allora in feroce competizione con Robespierre. Una testa più che mai in bilico, come in bilico sono le vite di tutti, in balia della furia dei tempi. Per dirla con le parole di Bertier: «La Rivoluzione ha fatto di noi, anche noi barbieri intendo, degli uomini liberi. E sai cos'è la libertà in questo mondo disgraziato? Prendersi tutto quello che si può».
L’intervista agli autori
Come è nata l'idea che ha portato alla stesura di questo libro?
Curiosando tra gli innumerevoli testi che si sono occupati della Rivoluzione, abbiamo trovato questo episodio che ci è parso molto intrigante: durante il Grande Terrore, nel 1794, un gruppo di borghesi benestanti e aristocratici viene rinchiuso in un ex pensionato militare di Parigi, sotto il controllo della sezione rivoluzionaria del Berretto Rosso. In realtà, la sezione ricatta i prigionieri, costringendoli a pagare per non essere arrestati e condotti al patibolo.
Quanto c’è di vero e quanto invece è solo fiction?
Di vero, a parte la notizia di questo episodio, ci sono personaggi storici come il temibile accusatore del Tribunale rivoluzionario, Fouquier-Tinville, e un episodio che riguarda direttamente Robespierre, ma anche alcuni episodi come la ferocia delle “colonne infernali” che massacrarono i ribelli. La parte di invenzione riguarda i caratteri e le relazioni tra i prigionieri, il loro riuscire a vivere in un mondo claustrofobico trasferendo nella Casa ciò che erano stati in precedenza.
Quello dei reclusi si rivela un piccolo mondo governato in maniera simile ma a tratti opposta a quello fuori...
C’è chi, come un vecchio ex generale, continua ad essere dispotico e insofferente, o chi, come una vecchia dama di corte, sprofonda nei bei tempi antichi per non vedere la triste realtà che la circonda. Ci sono imbroglioni, pettegoli, presuntuosi, ciarlatani e profittatori, ma anche due giovani che si innamorano, sia pure in condizioni particolari, data la differenza di età e il clima di paura che circola dovunque nella Casa. C’è il tema delle spie, e una considerazione che spesso sfugge nella rappresentazione della vita segregata: non tutti sono innocenti, non tutti si comportano in modo innocente.
Reclusione oggi. Un tema che ci è caro. C'è qualcosa di attuale nel romanzo?
Il nostro è stato anche il tentativo di affrontare il tema presente in mille romanzi, film racconti di un universo concentrazionario. Basti pensare alle storie ambientate nei lager. Con una differenza: qui ci troviamo davanti a dei prigionieri che non vogliono assolutamente fuggire, perché fuori li aspetta la morte, così come noi in questi mesi, fatte le debite differenze! non siamo usciti di casa per paura del contagio. Ecco, la paura al posto dei fili spinati e della forza militare, questo forse accomuna la vita degli ospiti della Casa e la nostra quarantena. Una situazione apparentemente non drammatica, soprattutto la nostra, ma non per questo priva di risvolti inquietanti.