Libri & Editori

“Il fuoco invisibile” di Daniele Rielli: la Xylella, il negazionismo e il prezzo della disinformazione

Dal romanzo al format teatrale che sta girando l’Italia. E per la prima volta Rielli è tra gli Amici della Domenica al Premio Strega, dove ha proposto un romanzo scottante

Chiara Giacobelli

C'è un dramma che si è consumato lentamente, sotto gli occhi di tutti, e che ha lasciato una ferita indelebile nel paesaggio e nell’anima di un’intera regione. Il fuoco invisibile, edito da Rizzoli nel 2023 e rientrato nella dozzina del Premio Strega 2024, è il libro con cui Daniele Rielli ha raccontato la devastazione portata dalla Xylella Fastidiosa, il batterio che ha trasformato le campagne pugliesi in un cimitero di ulivi secolari. Se il saggio – che forse non è neppure corretto definire tale, perché si intreccia a una forma narrativa che lo rende scorrevole e piacevole da leggere – ha riscosso un grande successo, soprattutto dopo lo Strega Tour, non è stata da meno la soddisfazione dell’autore nel riuscire a portare a teatro Il fuoco invisibile, a partire proprio dalla sua terra natìa.

Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano, è andato in scena attraverso le letture dello stesso Rielli, con le musiche originali di Gabriele Rampino e una band di tre elementi. A primavera sono previste nuove tappe, probabilmente a Roma, ma il palcoscenico non è l’unica novità per lo scrittore ormai romano di adozione, in quanto quest’anno per la prima volta è stato lui – in quanto Amico della Domenica – a scegliere un romanzo da candidare. La sua proposta è stata Ma io quasi quasi di Michele Bitossi, edito da Accento edizioni, che ha definito una boccata d’aria fresca. “Spero faccia quanta più strada possibile al premio, ma soprattutto spero che incontri sempre più lettori perché corrisponde proprio all’idea di letteratura che più amo: contemporaneo, realistico, per nulla retorico, con una lingua letteraria ma non polverosa, bensì mimetica, una storia avvincente, uno sguardo profondo – ha scritto Rielli nelle sue pagine social in merito alla recente proposta, dal momento che proprio in questi giorni stanno arrivando le candidature per l’edizione 2025 – Molti libri oggi hanno alcune di queste caratteristiche, ma pochi le hanno tutte assieme, contemporaneamente. Bitossi è riuscito nell’impresa. Insomma, fidatevi, leggetelo”.


 

C’è però un altro successo che Daniele Rielli, scrittore e reporter di lunga esperienza, già autore di Quitaly, Lascia stare la gallina, Storie dal mondo nuovo e Odio, ha festeggiato da poco, ovvero il traguardo tagliato a gennaio del milione di ore di visualizzazione su YouTube da parte del suo PDR Podcast: si tratta di un progetto originale e indipendente, in cui Rielli intervista personaggi di comprovata cultura e con competenza in vari settori, soffermandosi ad approfondire alcune tematiche, proprio all’opposto rispetto alla superficialità in cui siamo immersi. “PDR è sempre stato un format considerato folle per il nostro Paese, dove si tende sempre ad appiattire, semplificare, polarizzare, nella segreta convinzione che le persone siano tutte stupide – ha scritto Daniele in un post nel suo account Instagram – Grazie per avermi dato una mano nel dimostrare che si sbagliano”.

Ma torniamo al libro con cui lui è rientrato nella dozzina dello Strega lo scorso anno e che ora gira l’Italia tra teatri, rassegne e festival all’aperto grazie al suo omonimo teatrale. L’autore ha saputo costruire con molta originalità un’opera inclassificabile sospesa tra inchiesta giornalistica, memoir, romanzo corale e saggio storico-scientifico. Il risultato è un viaggio dentro uno dei più gravi disastri ecologici del nostro tempo, reso ancora più devastante dall’inerzia delle istituzioni e dalla diffusione di teorie cospirative che hanno ostacolato l’unica possibile strategia di contenimento. Insomma, si tratta di uno di quei libri che non possono lasciare indifferente il lettore: una volta terminata l’ultima pagina si rimane con l’amaro in bocca, perché ciò che scopriamo attraverso questo resoconto dettagliato mostra molto della società in cui viviamo, e non è per nulla incoraggiante.

Tutto inizia a Gallipoli all’incirca dieci anni fa, quando i primi ulivi cominciano a seccare in modo misterioso: le foglie diventano rosse, poi brune, fino a spegnersi in un grigiore definitivo. Nessuno sa cosa stia accadendo, ma le ipotesi si moltiplicano: cambiamenti climatici, malattie sconosciute, contaminazioni del suolo. Poi arriva la scoperta grazie a un team di scienziati che nel libro di Rielli vengono descritti uno ad uno, avendo l’autore parlato con ognuno di essi e finendo per diventarci amico. Questa squadra di moderni pionieri, a suo modo un po’ stravagante ma quanto mai appassionata e competente, isola la causa della malattia: un batterio letale, mai comparso prima in Europa, noto negli Stati Uniti per aver già decimato vigneti e agrumeti.


 

L’unico rimedio è radicale e del tutto impopolare: abbattere gli alberi infetti per contenere il contagio. Come era facile prevedere, la decisione trova una feroce opposizione, in parte per il legame dei proprietari con la loro terra, in parte per il ruolo quasi sacro che l’albero di ulivo ricopre in Salento, ma in parte anche per pura e semplice disinformazione, paura, scetticismo, superstizione. Così, mentre i ricercatori del CNR di Bari, guidati da Donato Boscia e Maria Saponari, cercano di avvertire le comunità locali di agricoltori e poi il mondo scientifico del pericolo imminente, contro di loro si scatena un'ondata di immense proporzioni di negazionismo e teorie complottiste.

Se è vero che in passato certe storie erano già accadute e più d’una volta i pregiudizi basati sul nulla avevano avuto gravi conseguenze, oggi va però detto che i social costituiscono il terreno fertile per tutte le accuse infondate. Nel caso specifico, si trasmette di account in account, o anche via Telegram, la voce che la Xylella non esiste, è un’invenzione delle multinazionali per vendere nuovi fitofarmaci, è un complotto europeo per sostituire gli ulivi con specie geneticamente modificate; altri vedono la mano di una fantomatica “lobby dell’olio”, o addirittura di un disegno turistico per trasformare il Salento in una gigantesca Disneyland.


 

In questa tempesta di irrazionalità, i magistrati – che nel racconto di Rielli va detto non ne escono benissimo – finiscono per indagare proprio gli scienziati, accusandoli senza reali prove in mano di aver diffuso il batterio; intanto le amministrazioni locali, terrorizzate dalla perdita di consenso, bloccano gli espianti. Insomma, ecco verificarsi la Storia umana di un disastro naturale, come dice il sottotitolo del libro. La malattia dilaga, fino a rendere il danno irreparabile, cambiando per sempre il paesaggio del Salento.

Uno dei temi più inquietanti del libro è la capacità del negazionismo di imporsi sulla realtà. Rielli racconta con chiarezza e in dettaglio il potere distruttivo delle narrazioni sbagliate, sottolineando come la Xylella sia diventata un banco di prova per la disinformazione di massa.
C’è chi ha visto in questa vicenda ormai tristemente nota fin oltre Oceano dei paralleli con la pandemia da Covid-19: anche in quel caso la scienza lanciò un allarme e propose soluzioni drastiche per limitare i danni e anche in quel contesto si levarono molte voci contrarie, fomentate da paure irrazionali, sfiducia nelle istituzioni e scetticismo contro la comunità scientifica. Questi fenomeni di massa così intensi sanciscono in un certo senso il fallimento della ragione, del pensiero critico, e purtroppo anche di quello scientifico: viene da porsi la domanda sul perché così tante persone abbiano smesso di credere in ciò che viene riferito loro dalle fonti ufficiali, per privilegiare teorie complottiste talvolta al limite dell’assurdo.

La causa principale, sottolinea l’autore, è la mancanza di una cultura scientifica: molte persone preferiscono credere a spiegazioni semplici e rassicuranti piuttosto che accettare verità complesse. La Xylella, come il Covid, è stata negata, minimizzata, mistificata, con un prezzo altissimo per la collettività.
Rielli non si limita a indagare il fenomeno da giornalista. Il fuoco invisibile è anche un memoir, un viaggio nelle radici della sua famiglia, tra gli ulivi che per generazioni hanno rappresentato un legame profondo con la terra; per questo, l’aspetto forse più lodevole dell’intero lavoro è la sua capacità di rimanere imparziale nonostante il suo pensiero sia chiaro ed evidente al lettore; mai, però, si approccia all’altra parte con rabbia o con un giudizio pendente: il suo scopo è ascoltare per capire.

Più volte nel libro la voce dell’autore si mescola a quella degli agricoltori, dei frantoiani, dei tecnici e dei politici coinvolti; emergono storie di resistenza e disperazione, di chi ha provato a lottare contro il batterio e di chi si è lasciato ingannare dalle false promesse dei negazionisti. L'elemento umano è sempre al centro della narrazione, rendendo la vicenda qualcosa di più di una semplice tragedia ambientale: è una parabola su come le società reagiscono di fronte a crisi impreviste.

Oggi il Salento ha perso oltre 21 milioni di ulivi, molti dei quali secolari e millenari. Il paesaggio è stato riscritto dalla malattia, e il danno è irreversibile. Tuttavia, Rielli si interroga sulle possibili vie di rinascita: nuove varietà resistenti, nuove tecniche di coltivazione, una maggiore consapevolezza dell'importanza di una gestione attenta del territorio. Ma il vero insegnamento del libro riguarda il ruolo delle narrazioni nella nostra società. A quali storie scegliamo di credere? Come si diffondono le idee sbagliate? E quanto costa, in termini reali, l’ignoranza di massa?
Nel raccontare la Xylella Rielli parla quindi di un fenomeno che si ripete ciclicamente nei secoli, ogni volta che l’uomo si rifiuta di accettare la realtà per paura, interesse o superstizione.

Il fuoco invisibile ha ricevuto un’ottima accoglienza dalla critica, entrando nella dozzina finalista del Premio Strega 2024. L’opera è stata paragonata da qualcuno a A sangue freddo di Truman Capote per la sua capacità di intrecciare cronaca e letteratura, inoltre ha conquistato lettori e giornalisti per l’acutezza dell’analisi e la forza della scrittura.
Daniele Rielli, con uno stile chiaro, incalzante, spesso lirico, ha scritto un libro necessario, un'opera che parla del nostro presente e della nostra incapacità di affrontare le emergenze con lucidità e pragmatismo.
Il fuoco della Xylella ha incenerito il Salento. Ma le sue ceneri raccontano una storia che non possiamo permetterci di ignorare.


Un estratto del libro

«Ormai è confermato sperimentalmente che le informazioni rese sotto forma di narrazione si diffondono di più e più rapidamente, oltre a rimanere più a lungo impresse nella memoria. Più importante ancora, le informazioni organizzate dentro strutture narrative selezionano il modo in cui decideremo di accettare o meno i successivi dati di fatto che la vita ci metterà davanti agli occhi. Giocano cioè un ruolo fondamentale in quello che gli scienziati chiamano “bias di conferma”, il processo cognitivo per cui tendiamo a non accettare nuove informazioni se sono in aperta contraddizione con ciò che sta alla base della nostra visione del mondo.  (…) Abitiamo lo stesso mondo fisico ma prima ancora ognuno di noi abita un mondo interiore i cui principi fondamentali, una volta formatisi, cambiano solo con grande difficoltà, quasi mai basta essere messi di fronte a delle prove schiaccianti.

Avere coscienza dell’esistenza di questi limite cognitivo aiuta a contenerne gli effetti ma non elimina mai del tutto. (…) Ognuno di noi divide la realtà in personaggi positivi, antagonisti cattivi e coltiva una tensione verso un finale positivo. (…) Negli ultimi anni si è assistito a un “Bing Bang delle narrazioni”, ormai sono ovunque: social, piattaforme di contenuti. Device che permettono la connessione a internet in qualsiasi momento e in qualsiasi condizione. Consumiamo storie in una quantità che non ha precedenti e perlopiù lo facciamo in ambienti digitali che incentivano i comportamenti tribali. Nella lotta per l’attenzione quasi ogni informazione viene processata in forma più o meno raffinata di storie, non solo da scrittori, registi e sceneggiatori, ma anche da politici, giornalisti, cronisti sportivi, pubblicitari, influencer, militanti, portavoce aziendali: tutti vogliono raccontarci una storia perché sanno che è la via privilegiata per arrivare al nostro cuore e alla nostra mente. (…) La maggioranza delle persone ignora il funzionamento dei meccanismi narrativi, né le viene insegnato come si costruisce una storia efficace: è sostanzialmente analfabeta rispetto a uno degli aspetti più importanti del nostro tempo storico e ha quindi pochi mezzi, se non proprio nessuno, per difendersi dall’invasione delle storie. (…)

Avevamo immaginato un’epoca in cui fosse tutto relativo e ci siamo risvegliati in un mondo dove ogni tribù ha le sue certezze granitiche, sempre incompatibili con quelle dell’altra. L’ombra della torre di Babele incombe».