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Merkel, la cancelliera e i suoi tempi: intervista a Sergio Romano

Di Antonio Buozzi

Un'analisi ampia e comparativa con i leader politici del periodo che offre una prospettiva nuova, che Affari ha approfondito in questa intervista esclusiva

Intervista a Sergio Romano sul nuovo libro, Merkel, scritto con Beda Romano per Longanesi

Una Merkel double face: gentile e accattivante nei modi, cinica e determinata nel portare avanti i suoi disegni politici. Un po’ Machiavelli, un po’ grande ammaliatrice, quindi, al di là dei suoi molti e incontestabili meriti politici. E’ in sintesi il ritratto che due grandi esperti e conoscitori di politica internazionale: l’ex ambasciatore e scrittore Sergio Romano e il giornalista Beda Romano hanno recentemente proposto nel loro saggio Merkel, pubblicato da Longanesi.

E ALDAI-Federmanager, l’Associazione Lombarda Dirigenti Aziende Industriali, non si è lasciata sfuggire l’occasione, organizzando prontamente a Milano la presentazione del libro. Anche il presidente, Manuela Biti, nell’aprire l’incontro ha messo in evidenza  "le capacità intellettive, la determinazione e il profondo pragmatismo di Angela Merkel che ha dimostrato come la chiarezza degli obiettivi e una grande lucidità nel perseguirli possano portare a risultati insperati", ponendo poi in parallelo le sue "qualità e doti” con quelle dei manager che l’associazione rappresenta e che “hanno ampiamente dimostrato in questi ultimi difficili due anni, trainando le nostre imprese fuori dalla più grave crisi economica dal dopoguerra”.

Di Angela Merkel si è detto e scritto tantissimo, solo nell’ultimo anno un profluvio di saggi, approfondimenti biografici, dibattiti sulla sua figura, ma l’analisi ampia e comparativa con i leader politici del periodo delineata nel nuovo contributo di Longanesi offre al lettore italiano una prospettiva nuova, che Affaritaliani ha voluto approfondire in questa intervista esclusiva a Sergio Romano.

sergio romano
 

Cominciamo dagli esordi della Merkel nella CDU, l’Unione Cristiano-democratica di Kohl. L'appoggio del Cancelliere tedesco a un esponente politico della DDR subito dopo la riunificazione è stato anche un segnale di volontà di integrazione tra le due Germanie?

Alla fine della guerra fredda esistevano due stati tedeschi con una propria precisa identità. Non è vero che la DDR fosse una colonia del comunismo sovietico: era uno stato tedesco con una propria cultura diversa da quella dell'Occidente,  con i suoi pregi e la sua credibilità. Kohl si rese subito conto che stava unificando due realtà che avevano entrambe una propria sostanza. Uno dei gesti per dimostrarlo è stato anche quello di "coltivare" la Merkel che apparteneva alla cultura politica tedesco orientale e che si presentava, a tutti gli effetti, come l'unificatrice,in grado di contribuire alla integrazione delle due Germanie in un contesto pacifico e di reciproca comprensione. 

La riunificazione è stata presentata  come un'operazione di eccezionale successo e sagacia politica di Kohl. Nei fatti provocò nella ex-DDR una crisi economica e sociale fortissima, con la chiusura di buona parte delle aziende preesistenti e la perdita dell'80% dei posti di lavoro. Secondo lei sono stati commessi degli errori da parte dell'establishment tedesco  occidentale? 

Kohl era certamente sensibile e attento a preservare l'identità della Germania dell'Est, ma al tempo stesso detestava il comunismo, era un uomo mentalmente e culturalmente dell'Ovest, e non solo per la sua appartenenza alla CDU. E' inevitabile che in alcune circostanze, dove era necessario fare una scelta, questa fosse favorevole all'Ovest. Ne è un esempio l'equiparazione delle due monete: ho sempre pensato che i tedeschi dell'Ovest avessero comprato quelli dell'Est, mettendogli in tasca denaro con un valore considerevolmente superiore a quello reale. C'è un certo cinismo in tutto questo: se si arricchisce un popolo da un giorno all'altro è chiaro che lo spenderà e ne beneficia il mercato, che però era in quel momento solo quello dell'Ovest.  

Come si spiega la disposizione accondiscendente di Gorbačëv che lasciò campo alla riunificazione pur avendo nella DDR la più massiccia presenza militare al di fuori del proprio territorio?

Ciò che veramente interessava Gorbačëv era la sua grande riforma, la perestrojka, e sapeva che avrebbe incontrato molti ostacoli anche all'interno della società tedesca. Ma era la sua creatura ed era per lui prioritaria: se qualche concessione era necessaria per realizzarla, l'avrebbe fatta, anche se poi, nel caso specifico, significò nel 1991 la dissoluzione della Repubblica Democratica Tedesca. Inizialmente c'era anche la  possibilità di una «confederazione» piuttosto che di una annessione: su questo ne sapremmo molto di più se potessimo aprire gli archivi dei paesi Occidentali. Ad esempio, sembra evidente che gli Stati Uniti puntassero sulla Germania unificata senza la quale avrebbero lasciato sopravvivere un potenziale nemico all'Est.

Di Angela Merkel mettete in evidenza nel libro il pragmatismo, il fiuto politico nell'intercettare la volontà dell'elettorato, la capacità di equilibrio, la cura talvolta a evitare posizioni ideologicamente connotate… 

Ma allo stesso tempo la sua estrema determinazione e focalizzazione sui suoi obiettivi politici.  La Merkel è un Machiavelli, una donna che ama il potere e che non tralascia nulla per conquistarlo. Quando nel 1999 scoppia lo scandalo dei fondi al partito, lei  si sbarazza di Kohl, prendendone poi il testimone, in un modo  profondamente machiavellico. C'è una durezza in lei anche ammirevole, io stesso ne sono stato personalmente affascinato. 

Nel periodo di maggior tensione finanziaria e di difficoltà a rispettare i parametri di Maastricht imperava in Italia una corrente d'opinione fortemente antigermanica che vedeva in lei la paladina del rigore: era una corretta rappresentazione?

Come nella scelta di schierarsi con un blocco o l'altro non ha esitato a pronunciarsi per l'Europa, facendo tesoro della lezione del suo maestro, Kohl, pur di non intralciare il proprio esercizio del potere, così, a livello economico non si è mai messa in contraddizione con l'establishment germanico. La Germania ha una sua politica economica che ha costruito nel corso dei secoli e lei vi si è allineata con grande fedeltà. Forse non era così agli inizi: anche in questo ha imparato molto da Kohl e forse se ne è sbarazzata quando si è resa conto che gli aveva insegnato tutto quello che c'era da imparare.

Che rapporto c'è stato con Mario Draghi? 

Direi di perfetta comprensione, e la cosa non mi ha sorpreso sapendo che in entrambi c'è un forte rispetto per l'economia, un «realismo equo» che sa tenere conto delle diverse sensibilità e pulsioni. Considero  molto positivo che vi sia tra loro, per il peso che hanno a livello europeo, una certa continuità di leadership. 

Che Germania e che Europa lascia la Merkel ai suoi successori?

Noi tutti membri della UE saremo messi di fronte a interrogativi a cui non sarà facile rispondere. Siamo andati molto avanti nella unificazione lasciando intatte le diverse identità nazionali, che nella fase inziale erano utili per dare una forza propulsiva, ma prima o dopo, quanto più si va verso l'integrazione, tanto più emergeranno in forma di resistenze di tipo nazionale. E sarà inevitabile una profonda crisi.

Anche i populismi dipendono da questo? 

Io penso che abbiano un altro padre: la democrazia che è in crisi, che non funziona bene  producendo inconvenienti e guasti: negli Stati Uniti Trump, in altri casi, sconvolgimenti interni. Se la democrazia non è in grado di dare all'opinione pubblica le soddisfazioni che si attende, i populismi vanno a nozze e non potranno che ingigantirsi.

merkel
 

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