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Smart working, ‘Il futuro del lavoro è femmina’: intervista a Silvia Zanella
Il lockdown ha reso possibile una realtà lavorativa che pochi mesi fa sembrava fantascienza, ma lo smart working è molto più di quello che abbiamo visto finora
Lo smart working è diventato, da futuro sognato e impraticabile, una realtà presente e necessaria. Ma siamo sicuri che lo stiamo facendo nel modo giusto? Ne abbiamo parlato con Silvia Zanella, che si occupa e scrive di futuro del lavoro, e ha lavorato in Italia e all’estero per le più grandi aziende di HR e di consulenza al mondo, coniugando comunicazione, digitale e risorse umane. Ad agosto ha pubblicato il suo nuovo libro per Bompiani, Il futuro del lavoro è femmina (leggi qui un estratto), in cui spiega cos’è e come si fa il vero smart working, e come dovrebbe cambiare il mondo del lavoro per agevolare le dinamiche sociali contemporanee.
Silvia, quando hai iniziato a scrivere questo libro? Quanto ha influito l’emergenza coronavirus sulla sua redazione?
La prima stesura risale maggio/giugno dell’anno scorso, e a Natale 2019 era terminato. La casa editrice mi diceva che era un buon libro ma alcuni passaggi erano “fantascienza”, “cose che non succederanno mai”. Avrebbe dovuto uscire a marzo, ma poi con il lockdown e l’emergenza coronavirus in corso si è fermato tutto. In questo modo però ho potuto rivedere alcuni dettagli, anche perché nel frattempo le dinamiche dello smart working erano diventate patrimonio comune e alcune descrizioni rischiavano di risultare superflue. Alla fine ho apportato le ultime correzioni a maggio, e devo ammettere che questo ritardo è stato una fortuna perché mi ha permesso di vedere la proiezione che ipotizzavo nel libro realizzarsi in concreto.
L’affermazione “questo non è un libro femminista” unita all’accostamento delle soft skill all’ambito d’azione femminile non rischia di sembrare una nota stonata, quasi anti-femminista?
Per me femminista non è un insulto. Il femminismo è una lotta legittima con un obiettivo condivisibile, ma che non è quello del mio libro. La chiave di lettura femminista del testo è più nella direzione di un segnale di attenzione: il mondo del lavoro, per come è stato gestito finora, è appannaggio di una governance molto al maschile, circa duecento anni di storia industriale basati su modelli di controllo, accentramento del potere, sottostima delle dinamiche relazionali ed empatiche, che è andato bene finora ma che non funziona più nel mondo di oggi, in cui lo sviluppo tecnologico e digitale ha fatto passi avanti, per esempio alcune attività lavorative sono state del tutto automatizzate e in certi ambiti non ha neanche più senso l’intervento umano. E allora ho voluto lanciare una provocazione: se avessimo non occhi di donna ma occhi più femminili nel guardare il mondo, il mercato del lavoro, potremmo forse avere leader, manager e lavoratori più efficaci e soddisfatti, ma ciò non significa che ci siano patrimoni di valori legati a un genere migliore di un altro.
Il lockdown ha dimostrato che tanti procedimenti lavorativi obsoleti possono essere semplificati dalla digitalizzazione. Finita l’emergenza, però, troppo spesso si sono fatti passi indietro, come nella difficoltà di ottenere lo smart working in molti posti di lavoro, nonostante la legge lo consentirebbe. Cosa ci manca per superare queste resistenze?
Fondamentalmente 3 cose. 1) La consapevolezza che quello che abbiamo chiamato smartworking in questi mesi in realtà è stato più un “faccio quello che posso nelle condizioni in cui mi trovo”, e tuttavia è stato indicativo: dovremmo fare un passo indietro e ammettere che quello che credevamo impossibile fino a poco tempo fa ci ha dimostrato di essere fattibilissimo. 2) La cultura: dobbiamo accettare che la liberalizzazione degli spazi e tempi di lavoro significa buttare alle ortiche giochi di potere, status e ruoli, e chi li perde non è certo felicissimo di vederseli portare via, eppure bisogna capire che è necessario per il bene comune. Io voglio fare capire che lo smart working non è solo quello che abbiamo visto finora, ma molto di più, un nuovo modo di concepire il lavoro, un nuovo valore da dare a quello che facciamo, che i lavoratori possono dare. 3) La formazione: lo smart working richiede percorsi di management e upgrade delle competenze che permettono di capire le nuove esigenze, di lavoro e di gestione, e dobbiamo essere disposti ad aggiornarci.
Silvia, quali sono i tuoi prossimi progetti?
Al momento sto viaggiando molto in giro per l’Italia per partecipare a tante presentazioni del mio libro. È un tour intenso, perché è vero che ci sono meno eventi fisici, in presenza, ma quelli online sono moltiplicati. Mi piacerebbe avere, così, un impatto innovativo sulle istituzioni, e mi auguro che anche la scuola possa andare in questa direzione, perché ne ha davvero bisogno. Insomma, mi piacerebbe poter dire che sto facendo la mia parte, scrivendo il mio libro e continuando a raccontarlo ovunque.