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Strage di via d'Amelio: il nuovo libro del generale Mario Mori

di Redazione

L'ultima fatica del generale Mario Mori, che ripercorre in un libro il periodo che intercorse tra la strage di Capaci e quella di via d’Amelio

Stragi di Capaci e di via d'Amelio, il nuovo libro del generale Mario Mori: "M.M. nome in codice unico"

Pubblichiamo un estratto del libro scritto dal generale dei Carabinieri Mario Mori con Fabio Ghiberti dal titolo "M.M. Nome in codice unico" (la Nave di Teseo, 224 pagine, 20 euro), già in libreria. Nel capitolo pubblicato, tutti i dubbi sui fatti intercorsi tra l’attentato al giudice Giovanni Falcone del 13 maggio 1992, e quello a Paolo Borsellino, avvenuto solo 57 giorni più tardi. Un excursus puntuale e documentato da parte di uno componenti fondativi del Ros, il raggruppamento operativo speciale che si occupò in prima linea della lotta alla criminalità organizzata.

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"Tra le due stragi successero le seguenti cose. Le elenco in maniera fredda, senza trarre alcuna conseguenza, ma un quesito lo voglio porre: se di fronte a ciò che sto per raccontare si applicasse la poetica teoretica dei miei detrattori, a quali conclusioni si dovrebbe giungere?  1. Il 19 giugno 1992 due ufficiali del ROS, i capitani Umberto Sinico e Giovanni Baudo, informano direttamente Borsellino di avere ricevuto notizie confidenziali da una fonte di un altro nostro eccellente ufficiale di PG, il maresciallo Antonino Lombardo, sulla preparazione di un attentato nei suoi confronti, precisando che in merito erano stati formalmente allertati gli organi istituzionali competenti per la sua sicurezza. Anche per Antonio Di Pietro vi erano le stesse avvisaglie. Giammanco, che aveva ricevuto specifica informativa sul punto, la trasmise per competenza alla procura di Caltanissetta, ma non informò Borsellino.

2. Il 25 giugno 1992 Borsellino mi chiese un incontro riservato che si svolse a Palermo nella caserma Carini, presente anche il capitano De Donno. Il magistrato, che già aveva ottenuto dal ROS il rapporto «Mafia e appalti» quando era a Marsala – in merito ci sono le dichiarazioni processuali a conferma da parte dei magistrati Alessandra Camassa, Massimo Russo e Antonio Ingroia, oltre a quelle dell’allora maresciallo Carmelo Canale –, sostiene di volere proseguire le indagini già coordinate da Giovanni Falcone, che gliene aveva parlato ripetutamente, e sollecita la disponibilità operativa del capitano De Donno e degli altri militari che avevano condotto l’inchiesta.

3. Il 2 luglio 1991, come detto, avviene la cattura di cinque indagati, tra i quali Giuseppe Li Pera, all’epoca capo area per la Sicilia di un’importante società del Nord. Provvedimento che noi del ROS, che molto credevamo nelle nostre indagini, ritenemmo riduttivo. Vi è anche da dire che l’indagine era in fieri e pertanto continuavamo a confidare in prossimi e futuri sviluppi.

 4. Il 12 luglio 1992 il procuratore Giammanco, che evidentemente non credeva alla «centrale unica» di falconiana memoria, invia quasi per intero l’informativa ROS sugli appalti ad altri uffici giudiziari siciliani «per conoscenza e per le opportune determinazioni di competenza». Riporto il dato arido, senza entrare nel merito delle scelte giuridiche che non mi competono, ma di certo la circostanza non aiutò a portare avanti l’inchiesta per come era stata concepita.

5. Il 13 luglio 1992 i sostituti procuratori Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato chiedono l’archiviazione per i fatti e le residue posizioni di quel primo troncone. Devo pensare che il materiale rimasto non fosse sufficiente a sostenere efficacemente l’accusa, ma devo anche dire che non fummo interpellati per eventuali approfondimenti. Si seguiva intanto una pista la cui traccia si trovava già nell’informativa del 16 febbraio 1991: la SIRAP, ente economico della regione siciliana incaricato di gestire l’enorme cifra di mille miliardi dell’epoca per la creazione di venti aree industrializzate nel territorio della regione Sicilia. La relativa informativa, che sarà depositata meno di due mesi dopo, il 5 settembre 1992, darà poi luogo a venticinque ordini di custodia cautelare.

6. Il 14 luglio 1992 in una riunione dei magistrati della procura di Palermo, Borsellino chiede notizie sull’inchiesta e manifesta chiaramente il suo interesse a riprenderla e svilupparla ulteriormente. Dalle successive dichiarazioni al CSM da parte dei presenti a quella riunione, non emerge che qualcuno in quella circostanza lo abbia informato della menzionata richiesta di archiviazione.

Guido Lo Forte era tra i presenti.

7. Il 16 luglio 1992 si tiene a Roma una cena tra Borsellino, l’onorevole Carlo Vizzini e i magistrati palermitani Guido Lo Forte e Gioacchino Natoli. Nel corso dell’incontro (a riguardo c’è la testimonianza processuale di Vizzini) Borsellino manifesta un grande interesse per il tema dei rapporti tra la mafia e gli appalti («l’argomento che impegnò il tempo più grande della cena fu un forte interesse del dottore Borsellino alla vicenda di mafia e appalti»). 

8. Il 19 luglio 1992, di primo mattino, Borsellino riceve la telefonata del procuratore Giammanco che gli conferisce la delega a occuparsi delle indagini di mafia relative a Palermo e provincia. Nel pomeriggio il magistrato viene ucciso da un’autobomba unitamente ai cinque agenti della sua scorta.

9. Il 22 luglio 1992, tre giorni dopo la morte di Borsellino, il procuratore Giammanco inoltra al GIP del tribunale di Palermo la richiesta di archiviazione.

10. Il 23 luglio 1992 otto componenti della DDA di Palermo (Ignazio De Francisci, Giovanni Ilarda, Antonio Ingroia, Alfredo Morvillo, Antonio Napoli, Teresa Principato, Roberto Scarpinato e Vittorio Teresi) redigono un documento per denunciare la conduzione di Giammanco e le condizioni di insicurezza in cui si svolge il loro lavoro, giungendo a prospettare financo le loro dimissioni dall’ufficio.

11. Il 14 agosto 1992, il GIP del tribunale di Palermo, dottor Sergio La Commare, archivia. La decisione passa inosservata nella completa distrazione tipica del periodo ferragostano.