Libri & Editori

Trame e curiosità sui cinque libri del Premio Strega Europeo

di Chiara Giacobelli

Dal vincitore agli altri titoli finalisti, ecco di cosa parlano i romanzi nella cinquina del Premio Strega Europeo

Il conto alla rovescia per scoprire il vincitore del Premio Strega 2024 è ancora attivo, mentre è terminato quello dello Strega Europeo, quest'anno giunto all’undicesima edizione. Il 12 maggio è stato infatti annunciato il primo classificato: Triste tigre di Neige Sinno, edito da Neri Pozza. 

Il premio, ricordiamolo, viene assegnato ad un libro pubblicato in prima edizione in un Paese europeo che in Italia sia stato tradotto tra l’1 maggio dell’anno precedente e il 30 aprile dell’anno in corso. Alla nutrita giuria, composta da scrittrici e scrittori italiani vincitori o finalisti dello Strega, è spettato l’arduo compito di eleggere l’opera più rappresentativa della cinquina, che per l’edizione 2024 si componeva dei seguenti titoli: Di notte è tutto silenzio a Teheran (Shida Bazyar - Fandango Libri), Il canto del profeta (Paul Lynch - 66thand2nd), La mia Ingeborg (Tore Renberg - Fazi), Triste Tigre (Neige Sinno - Neri Pozza), L’educazione fisica (Rosario Villajos - Guanda). Come anticipato, è risultato vincitore Triste tigre di Sinno, ottenendo dieci voti su un totale di 23 espressi dalla giuria; nel corso della cerimonia di premiazione, condotta dalla giornalista Eva Giovannini, sono intervenuti, oltre ai cinque autori candidati, Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci, Claudia Corazza, responsabile ufficio sponsorships di BPER Banca, Giulio Biino ed Elena Lowenthal, rispettivamente presidente e direttrice della Fondazione Circolo dei Lettori di Torino. Andiamo dunque a conoscere più da vicino trame, tematiche e peculiarità stilistiche dei cinque romanzi candidati allo Strega Europeo 2024, e ovviamente del vincitore.

1) Di notte è tutto silenzio a Teheran di Shida Bazyar (Fandango Libri)

Pubblicato da Fandango Libri e tradotto da Lavinia Azzone, che in passato aveva già avuto occasione di familiarizzare con lo stile dell’autrice in Fuoco (2022, sempre Fandango), questo romanzo indaga quattro decenni di un popolo in lotta. Gli estremi da prendere come riferimento sono 1979-2009: anni in cui le speranze di costruire un “nuovo Iran” dopo la cacciata dello scià si infrangono rovinosamente di fronte all’ascesa politica di Khomeini. Nonostante ciò, il protagonista Behsad al principio della narrazione ci crede davvero nella possibilità di raccogliere i frutti della rivoluzione: «La voce mia e di Sohrab (amico del protagonista, ndr) hanno scagliato gli slogan nel caldo cielo invernale, (...) così abituate a risuonare all'unisono. Io ho alzato il mio braccio, e il mio braccio era il suo braccio, ovunque intorno a noi braccia, teste nere davanti a noi, dietro di noi».

"Di notte è tutto silenzio a Teheran"
 

Dieci anni dopo, però, l’entusiasmo da giovane militante di Behsad si è tramutato in disillusione. Costretto ad emigrare in Germania insieme alla moglie Nahid e ai due figli Laleh e Morad per sfuggire al regime oppressivo di Khomeini, il protagonista porta nell’anima i segni della sconfitta. Aspirazioni, battaglie politiche, sogni di un Iran finalmente libero sembrano ormai dissolti come fumo nel vento; senza trascurare le difficoltà di ambientarsi in una terra straniera, la doppia cultura, l’incapacità di sentirsi veramente a casa in un mondo dove vigono nuove e incomprensibili regole. Ed è qui che si gioca il vero colpo di genio stilistico: il compito di narrare non è più affidato a Behsad, ma alla moglie Nahid. Quest'ultima condivide con il marito l’estraneità per quel Paese europeo che non ha nulla a che vedere con il familiare Iran. «La mia Laleh - dice a un certo punto Nahid - non crescerà qui, non la perderò mai a una fontana con un paio di leggings colorati, prima che Laleh sia diventata tanto grande, noi saremo tornati». A Laleh e Morad spetta invece la narrazione dei secondi due decenni di racconto. La prima, nella fattispecie, ci restituisce l’immagine vivida e colorata di una Teheran impressa nella memoria: quella di Nahid, che vi fa ritorno con i figli dopo tanti anni (Behsad, ricercato per i suoi trascorsi politici, è costretto a rimanere in Germania). C’è però anche una memoria estranea, in cui si inquadrano gli esuli Laleh e Morad: è proprio alla voce di quest’ultimo che viene affidato il racconto del 2009, quando l’insurrezione popolare contro le elezioni truccate in Iran conduce a manifestazioni represse nel sangue.

Shida Bazyar ci offre un toccante e nitido spaccato su un popolo dilaniato dalla guerra, mutilato nei suoi ideali più rappresentativi. Lo stile è scorrevole, privo di qualunque retorica. Un racconto che, al netto dei quattro io narranti, si sviluppa come un unico flusso di coscienza e fa sentire la dirompente, insopprimibile e incancellabile voce di un popolo che, nonostante le disillusioni, non smette di alimentarsi di speranza.

Cinquina Premio Strega Europeo