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Veneziani ripercorre la vita di Vico: il saggio "giocoso" su Giambattista

di Gaetano Scatigna Minghetti

L'analisi di "Vico dei Miracoli", il saggio apparentemente "giocoso" di Marcello Veneziani sul grande pensatore italiano

Marcello Veneziani ha pubblicato un saggio su Giambattista Vico che narra la vicenda biografico-critica del pensatore italiano. Il commento 

Nel suo trattato su Le Istorie fiorentine (1532), Niccolò Machiavelli (1469 – 1527) formula un immortale principio – che, a propria volta può contare su di un archètipo la cui genesi trova la sua giustificazione nella proposizione che recita: Nihil sub sole novi, presente nella Sacra Bibbia – che, in seguito, sarà ripreso da Giambattista Vico fornendo l'essenziale pilastro del sistema teorico dei cosiddetti corsi e ricorsi delle epoche storiche, secondo un loro eterno avvicendarsi voluto dalla Provvidenza Divina: Tutti li tempi tornano, li omini sono sempre li medesimi.

Ecco, a focalizzare ulteriormente questo assunto, ripreso e articolatamente sviluppato, sviscerandone l'intima, eterna valenza, è stato pubblicato da Marcello Veneziani un saggio su Giambattista Vico dal titolo Vico dei Miracoli. Vita oscura e tormentata del più grande pensatore italiano, Milano, Rizzoli, 2023. Curiosamente, in questo titolo, si appalesa una strana coincidenza con il nome di un gruppo cabarettistico musicale che proveniva dalla città di Verona e rispondeva al nome di Gatti di Vicolo Miracoli, molto attivo a cavallo degli anni settanta-ottanta del Novecento, sulla scena artistica della Penisola italiana.

Nella dissertazione Marcello Veneziani, l'autore, con un linguaggio quasi sempre arioso, un periodare spesso spumeggiante, ma consapevole e leggiero, narra la vicenda biografico-critica del pensatore italiano che, con analisi stringente ed argomentazioni gravi, ha posto con le spalle al muro tutte le correnti filosofiche sincrone, che si sono affollate tra le quinte teatriche italiane ed europee. In maniera particolare, Vico ha dilacerato, ancor prima che si affacciasse nelle menti di certuni ricercatori, permeando di sé l'esistenza quotidiana di molteplici popoli e nazioni, quel movimento filosofico e culturale, ad ampio spettro europeo, che viene individuato con il nome di Illuminismo.

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Già, sin dal titolo, si ha l'immediata cognizione dello spirito caustico che anima l'intero testo: un fuoco d'artificio alle cui radici si trova una profondità di enunciati che lasciano allibiti. Marcello Veneziani è un maestro in questo genere espositivo–espressivo del quale offre in continuazione su Panorama e La Verità la complessa gamma di cui Veneziani dispone nel suo poderoso e ponderoso bagaglio culturale, frutto accattivante dei propri studi e delle meditazioni sulla storia e l'attualità cronachistica della politica tout-court, e della cultura politica, non semplicemente italiana ma europea ed internazionale.

Il saggio, che nella sovraccoperta propone un ritratto del Vico, lavoro molto convincente dell'autorevole maestro napoletano Francesco Solimena (1657 – 1747), conosciuto con l'appellativo di Abate Ciccio. Com'è ovvio che sia, il volume si suddivide in diversi capitoli, ciascuno con un titolo privo di quella sussiegosa seriosità che caratterizza il massimo numero delle pubblicazioni recanti lo stesso stigma culturale. Come è possibile rilevare dal titolo generale del volume, si intuisce immediatamente quale sarà la sostanza che fornirà il nerbo all'intera narrazione biografico-critica del pensatore napoletano: Vico dei Miracoli. Esso si presenta come un calembour, uno scambievole gioco di parole che racchiude in sé il cognome del teorico della Storia, nei suoi eterni ritorni, e i miracoli compiuti dal filosofo che, come tali si propongono, sempre di per se stessi, come paradossali.

Vico Miracoli, costituisce il nome di una delle più vivaci e folkloristiche arterie del centro urbano di Napoli, nei cui pressi l'illustre analista meridionale del pensiero aveva visto la luce in via San Biagio dei Librai, dove, al pianterreno della piccola abitazione, aveva la sua minuscola libreria, colui che gli aveva “regalato” la vita: Don Antonio di Vico, de' Vico, Vico. È questa la sequenza filologica-genealogica del cognome di famiglia che il genealogista Carlo Padiglione, nel suo volume pubblicato a Napoli, nel 1914, Trenta centurie di armi gentilizie, ha così blasonato: Vico. - Di azzurro al braccio destro, movente dal fianco sinistro dello scudo, vestito di argento, tenente con la mano di carnagione un ramo di viola, con tre fiori di rosso e di argento (p. 45).

Nel mio studio sul Vico, pubblicato nel 2015, recante come titolo Il raggio della Divina Sapienza, con il quale ho inteso fornire un contributo all'esegesi vichiana, ho analizzato, con estrema meticolosità e calzante acribia, la Dipintura che correda l'edizione della Scienza Nuova del 1730 la quale riassume, in stringata sintesi, il contenuto di quel saggio apparso per la prima volta nel 1725, capovolgendo i filosofemi, in una rivoluzionaria metànoia, dei pensatori coevi che stancamene si attardavano, cullandosi, nelle loro vane illusioni speculative. Ero stato eccitato a realizzare il mio studio interpretativo dalla presenza, sotto la volta di una sala del palazzetto Nigro-Antelmy, in Ceglie Messapica, terra molto antica dell'alto Salento jàpigo-messapico, eseguita con la tecnica della tempera da un ignoto pittore, attivo a cavallo dei secoli XVIII e XIX, della dipintura voluta dal Vico a corredo della Scienza Nuova.

Ora, l'analitica descrizione –da me condotta a termine nella mia pubblicazione del 2015- viene pienamente confortata da quella di Marcello Veneziani che così, indirettamente, avvalla uno studio nel quale si parla di un'espressione artistico-filosofica sconosciuta ai più ma che reca nel suo DNA una valenza di ineludibile importanza come testimonianza indiscutibile della fortuna del pensiero vichiano in una comunità ristretta della storica Terra d'Otranto: cittadina adagiata sulle ultime pendici delle colline murgiane, lontana e appartata dalle correnti culturali più effettuali che sostanziavano la quotidianità dei dibattiti critici nella capitale del Reame di Napoli. Ossia l'antico nucleo urbano, bagnato dal Tirreno, fondato, secondo il racconto mitologico, dalla ninfa Partenope.

Adesso, Marcello Veneziani, resosi quasi un clone del filosofo Giambattista Vico, ci avverte come il filosofo della Storia, abbia rivolto un osanna all'esistenza della famiglia come cellula-cardine della società: realmente riteneva la famiglia il primo fondamento della civiltà; non riusciva a immaginare una società che non si fondasse sulla famiglia e sul suo riconoscimento simbolico... (p. 113).

Egli, nell'attuale circostanza, ha inteso prenderci per mano per condurre ciascuno di noi in un percorso stimolante e, nel momento stesso, introspettivo in un apparentemente giocoso ammiccamento tra se stesso, Giambattista Vico e i lettori. Il lavoro possiede, però, una riflessione molto seria sulle vicende che occorrono nella vita di tutti, che la rendono ammaliante e repulsiva, vibratile e memoriale. Lo studio costituisce, pertanto, un fantasmagorico vademecum che stimola e conforta, nella buona e cattiva sorte, avendo al fianco la suprema guida di Vico il quale chiarisce a ciascun uomo come la storia... la facciamo noi e per questo possiamo conoscerla...(p. 223).

Anzi, si può meglio specificare, come la storia sia l'uomo stesso in una totale e mai scindibile osmosi che corrobora e rinfranca, che stimola e rigenera, in un processo senza fine che Marcello Veneziani ha saputo magistralmente scandagliare per proporlo in uno scintillante saggio che sarà bene leggere per abbeverarsi alla linfa vitale di un pensatore, qual è Vico, che fornisce l'indispensabile impeto vivificante per affrontare le traversie della vita. Senza però sottostare alle ghigliottine ed ai ricatti jugulatori che, di volta in volta, si presenteranno sui sentieri dell'orbe terracqueo che l'uomo calpesta giornalmente, con maggiore contezza delle possibilità proprie e degli altri: nella temperie attuale e, in particolare, nelle situazioni future.