Uniamo, Iorno: "Costruiamo un nuovo Piano Nazionale per le Malattie Rare"
Intervista esclusiva a Tommasina Iorno, nuovo Presidente di Uniamo - Federazione Italiana Malattie Rare
Nel giorno della Festa della Donna, Affaritaliani ha avuto il piacere di ricevere un ospite davvero speciale: Tommasina Iorno, che lo scorso mese è stata eletta presidente di Uniamo – Federazione Italiana Malattie Rare (uniamo.org).
In precedenza membro del Consiglio Direttivo e poi Tesoriere della Federazione, la neopresidente della UNIAMO FIMR OnlusTommasina Iorno è stata anche ospite al Quirinale in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare. Un debutto decisamente impegnativo, che Iorno commenta così: “Parlare al cospetto del Presidente della Repubblica Mattarella e delle principali realtà che si occupano di malattie rare in Italia è stata una grande emozione, ma soprattutto è stato un bel riconoscimento al lavoro che facciamo come Federazione di associazioni e al fatto che, dopo dieci anni, la Giornata Mondiale delle Malattie Rare ha davvero assunto una certa rilevanza”.
Ci parli di lei: chi è la nuova Presidente di Uniamo Federazione Italiana Malattie Rare onlus?
“Prima di tutto, una paziente. Ho anche io una malattia rara e fin dagli anni ’90 ho sentito dentro di me una sorta di vocazione per il volontariato, per aiutare chi viveva una condizione simile alla mia. Fino al 2000 ho lavorato in provincia di Varese, alla Finmeccanica, ma per essere più vicina al mondo del volontariato ho trasferito la mia attività a Milano, dove sono stata una fondatrice dell’associazione regionale delle persone con la mia stessa malattia. Mi sono sempre fatta carico degli aspetti sociosanitari riguardanti i nostri soci e nel tempo il Presidente mi ha affidato vari incarichi. Questo percorso si è intrecciato con la mia strada personale e familiare: quando ho iniziato questa esperienza ero single, poi è arrivato il matrimonio e, soprattutto, la gravidanza gemellare del 2008, che per la mia storia clinica non è stata certo un passaggio semplice. Nel contempo, si andava delineando un quadro decisamente interessante a livello europeo, con novità legislative e una rete di associazioni sempre più fitta. Anche io sono andata di pari passo, evolvendo da una dimensione personale a una collettiva, fino a diventare fondatrice della Federazione Malattie Rare”.
Di cosa si occupa esattamente Uniamo Federazione Italiana Malattie Rare?
“Grazie al lavoro svolto in questi anni, la Federazione Italiana Malattie Rare è diventato un interlocutore di livello nazionale, sia per le istituzioni, che per il settore privato. Abbiamo collaborato spesso e volentieri anche con le industrie. Farmaindustria è stato sponsor ufficiale della prima Giornata delle Malattie Rare, che poi è cresciuta negli anni. Con loro abbiamo stipulato anche protocolli di intesa sulla formazione, a partire dal progetto ‘Conoscere per assistere’, finalizzati a individuare strategie percorribili per l’accreditamento delle organizzazioni. Grazie a Renza Barbon Galluppi, che ha presieduto Uniamo prima di me, ci siamo evoluti da organizzazione di volontariato ad Associazione di Promozione Sociale, ricevendo una serie di riconoscimenti e accreditamenti, attraverso bandi del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Grazie alla Legge 383 abbiamo raggiunto una buona autonomia economica, condizione fondamentale per creare una progettualità in grado di aiutare le associazioni affiliate con strumenti formativi. La nostra rete di relazioni è molto ampia, comprendendo istituzioni, privati, il mondo associativo, medici, farmacisti territoriali e ospedalieri, ecc…”.
A proposito di autonomia economica, come si sostiene la Federazione Italiana Malattie Rare?
“La Federazione Italiana Malattie Rare si sostiene con due modalità complementari: attraverso fondi pubblici, cioè partecipando a bandi, e fondi privati, ovvero attraverso donazioni. Inoltre, siamo parte di EURORDIS - European Organisation for Rare Diseases, l'alleanza europea di associazioni di pazienti affetti da malattie rare, formata da 16 federazioni nazionali e 400 associazioni, distribuite su 40 Paesi. Questo per noi è molto importante, sia perché ci sono i finanziamenti dell’Unione Europea a EURORDIS, sia perché con i nostri partner abbiamo portato avanti le linee strategiche per la stesura del piano nazionale delle malattie rare. Il Consiglio Europeo ha raccomandato a tutti gli stati membri di stilare questo piano e noi lo abbiamo già fatto: la prima versione era per il triennio 2013/16, quindi adesso andremo a stimolare quella nuova”.
Nel suo ruolo di presidente della Federazione Italiana Malattie Rare lei deve necessariamente occuparsi anche di relazioni istituzionali con il livello politico, che non sempre sono facili. Lei come ci si trova?
“Personalmente, mi sento ancora in una fase di esplorazione. Devo ancora subentrare nelle relazioni che ci sono sempre state nel corso degli anni e che ovviamente ho intenzione di proseguire, perché significative. Intendo continuare questo percorso storico, perché Uniamo sia sempre più autorevole”.
Qual è l’aspetto che, invece, si propone di cambiare durante il suo mandato?
“Mi piacerebbe intervenire sulla parte sociale, per farla crescere. E’ molto importante non dividere gli aspetti sanitari da quelli sociali, perché la persona è fatta da una serie di dimensioni che devono essere bene integrate tra di loro. Prima di parlare del malato, bisogna parlare della persona. Bisogna analizzare il contesto in cui il soggetto si trova, capire se è bene inserito a scuola o nel lavoro. La legge 68 ha influito molto su questo aspetto, pur inserendo il paziente nel più generale contesto delle categorie protette, con altre tipologie di persone. La legge 151, di cui ci aspettiamo la parte attuativa, parla di aspetti interessanti come l’integrazione biofisica sociale della persona. Questo si lega all’accompagnamento lavorativo, finalizzato a ridare dignità alla persona. Stiamo lavorando a un’intesa con un'agenzia di lavoro interinale che vuole occuparsi di persone in difficoltà. Sul tema, abbiamo già fatto una bella esperienza con un’impresa sociale dedicata alla ristorazione, dalla quale abbiamo avuto riscontri eccezionali per il benessere delle persone coinvolte. Oggi ci sono tante associazioni che lavorano in questo settore, ma anche nei B&B e nell’alberghiero, ad esempio con persone con Sindrome di Down. Durante Expo 2015 abbiamo organizzato una bella giornata, con diverse imprese di ristorazione, nella quale i disabili hanno organizzato un pranzo interamente gestito da loro. E’ stata un’esperienza molto significativa”.
Quali sono le principali difficoltà di chi convive con una malattia rara?
“La principale difficoltà consiste nell’avere una diagnosi il più precoce possibile: se questo succede, si può pensare al recupero della persona, altrimenti si rischia che le sue abilità cognitive vengano compromesse. La diagnosi precoce è determinante per arrivare alla presa in carico, che non è un fatto scontato. La rete italiana dei centri per la cura delle malattie rare è abbastanza estesa, rispetto al resto d’Europa, ma sussiste ancora la necessità di farne una vera ricognizione. Con un finanziamento del Ministero del Lavoro, abbiamo creato il modello di qualità dei centri: un manuale per l’accreditamento delle strutture del quale speriamo di avere una versione 2.0. Nella prima, il più delle volte si è accreditato il singolo professionista, ma questo non basta: dobbiamo arrivare all’accreditamento della struttura nel suo complesso, perché la cura funziona solo se è davvero a 360°. Alcuni criteri importanti su cui abbiamo lavorato sono la multidisciplinarità e la transitional care, per assicurare la continuità assistenziale dall’età pediatrica (nella quale si scoprono la maggior parte delle malattie) a quella adulta”.
Cosa fate, invece, per alleviare le difficoltà dei familiari dei pazienti affetti da malattie rare?
“Siccome la Federazione Italiana Malattie Rare è un’organizzazione di secondo livello, su questo aspetto il nostro compito è fornire alle singole associazioni affiliate gli strumenti idonei per aiutare le famiglie. Il tema fondamentale è capire a chi rivolgersi, perché per alcune malattie non ci sono nemmeno le terapie, ma solamente i monitoraggi periodici dello stato clinico del paziente. Pertanto, non è sempre facile capire a chi fare riferimento e quindi bisogna sostenere le famiglie in questo percorso, anche dal punto di vista dei diritti esigibili. Spesso le famiglie nelle quali c’è una malattia rara diventano monoreddito, perché uno dei due genitori si dedica solo alla cura. Anche da questo punto di vita, bisogna indicare le strutture che possono essere d’aiuto”.
Quanto incidono i problemi economici in caso di malattia rara?
“In alcuni casi molto, perché ci sono delle malattie che, per loro caratteristiche, portano le famiglie fino all’impoverimento. Per alcune patologie non si può nemmeno contare sull’invalidità, perché non sono ricomprese nelle tabelle o perché sono talmente rare che persino le commissioni organizzate dalle ASL faticano capire le situazioni e a riconoscere i giusti supporti a chi ne ha bisogno!”.
Da questo punto di vista, cosa potrebbe fare per voi la politica?
“C’è un problema di fondo. Il piano nazionale per le malattie rare fino a questo punto è stato elaborato, ma non dotato di coperture economiche. Io spero davvero che, nonostante le vicissitudini del nostro Paese negli ultimi tempi, per la prossima edizione ci siano anche i mezzi economici! Sarebbe fondamentale per aiutare non solo le famiglie, ma anche gli stessi professionisti, che a volte sono impossibilitati a intervenire. Bisogna inoltre accorciare i tempi di follow-up del paziente, perché la patologia di base può portare alla comorbilità e quindi alla degenerazione dello stato clinico del soggetto. Ci vuole un monitoraggio continuo”.
Poniamo che, leggendo questa intervista, a qualche nostro lettore venga in mente di darvi una mano facendo del volontariato. Che messaggio darebbe a queste persone?
“Non ne sarei stupita, perché in Italia c’è davvero tanta gente di buona volontà. Il mio messaggio è chiaro: le porte sono aperte a tutti i volontari, purché sia chiaro che per lavorare con noi ci vuole un vero e proprio spirito da missionario, perché è tutto lavoro gratuito, senza rimborsi. L’altro aspetto importante che vorrei sottolineare è che Uniamo, per sua natura, deve soddisfare i bisogni di tutte le associazioni affiliate, non singole istanze specifiche. Alle singole associazioni diamo certamente aiuto per trovare la soluzione ai loro problemi puntuali, ma bisogna trovarla insieme”.