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Apple, trimestrale flop e addio di Icahn: il dominio di Cupertino vacilla
Apple perde quota dopo la liquidazione di Carl Icahn
Apple incassa due cazzotti che stenderebbero un toro. Il toro è quello che ha accompagnato la Mela negli ultimi anni. Fino a questa disgraziata settimana, nella quale Cupertino ha visto evaporare quasi il 12% del proprio valore. Il grosso se n'è andato in quattro sedute, tra il 26 e il 29 aprile.
Il primo colpo è arrivato dalla trimestrale: peggiore delle attese, con fatturato, utili e vendite di iPhone in calo. La prima battuta d'arresto in 13 anni. Il secondo è arrivato da Carl Icahn, uno dei più influenti e danarosi rider degli Stati Uniti. Icahn ha confermato di aver liquidato la propria ricca fetta di Mela. E quando un lupo di Wall Street si muove, non è mai un segnale da sottovalutare. L'annuncio ha causato una perdita secca del 3%. Anche perché Icahn ha saputo, prima e più di altri, fiutare l'affare Apple.
Fu un suo tweet, il 13 agosto 2013, a battezzare l'impennata del titolo. “Abbiamo una larga posizione in Apple. Crediamo che la compagnia sia estremamente sottovalutata”. Profezia azzeccata: allora un'azione Apple valeva poco più di 65 dollari. Meno di due anni dopo, nel maggio 2015, avrebbe superato i 132 dollari. Oggi viaggia intorno ai 93.
We currently have a large position in APPLE. We believe the company to be extremely undervalued. Spoke to Tim Cook today. More to come.
— Carl Icahn (@Carl_C_Icahn) 13 agosto 2013
Allora Icahn seppe anticipare la salita. E contribuì a valorizzare le azioni anche grazie alle pressioni esercitate su Tim Cook, che, negli ultimi tempi, ha iniziato a dirottare parte della sterminata cassa di Apple nel portafoglio degli azionisti. Oggi Icahn dimostra di aver capito in anticipo le difficoltà di Cupertino.
Il mercato ha reagito all'azzeramento della quota, letto come una conferma tombale. Ma l'investitore stava già da tempo alleggerendo il proprio peso. Secondo l'ultima rilevazione della Sec, quella di febbraio, durante il quarto trimestre fiscale Icahn aveva già venduto 7 milioni di azioni. Ne restavano 45,8 milioni, per un valore (a fine 2015) di 5 miliardi di dollari. Profitto niente male per un investimento iniziale da un miliardo.
L'accelerazione, da 52,8 milioni di azioni a zero nel giro di due trimestri, suggerisce una sola cosa: secondo Icahn non ci sarà un ritorno ai livelli del 2015. La capitalizzazione di Apple supera ancora i 500 miliardi, ma un'azione vale oggi il 30% in meno rispetto al picco di un anno fa. E l'immediato futuro non sembra presagire un'inversione di tendenza. La concorrenza aumenta, il mercato cinese non galoppa più e i ricavi saranno al di sotto delle attese anche per il trimestre in corso: Apple stima ricavi tra i 41 e i 43 miliardi di dollari, il consensus mirava a 47,3 miliardi. Insomma: non un inciampo ma un problema strutturale.
La Mela è ancora troppo dipendente da un solo dispositivo: l'iPhone vale il 70% del fatturato e si muove in un mercato che mostra qualche crepa. Legare la sorte a un solo prodotto (per quanto di grande successo) è un rischio. E all'orizzonte non c'è un dispositivo Apple altrettanto forte in un mercato altrettanto ampio. Icahn lo ha capito da tempo.