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Watly, la startup che porta acqua, energia e internet dove non ci sono

Il ceo di Watly Marco Attisani: "In Italia mancano visione e audacia"

Watly è un piccolo concentrato di tecnologia. È una startup che, con un solo dispositivo, porta energia, acqua potabile e internet nelle zone più povere del pianeta.

Watly è un computer termodinamico che utilizza l’energia solare e può purificare fino a 5000 litri d’acqua al giorno. Con la creazione del primo prototipo, nel 2013, la startup (in parte italiana) vince il premio Horizon 2020 e un finanziamento di circa 2 milioni di euro. Adesso è il turno di una campagna di crowdfunding su Indiegogo. Obiettivo: 75 mila dollari con il modello della ricompensa. I donatori più generosi (con 5mila dollari) avranno la possibilità di unirsi al team di Watly in Africa e partecipare al documentario di Discovery Channel che seguirà il processo di messa in funzione della tecnologia. Il ceo Marco Attisani ci ha raccontato com'è nata la sua startup. Tirando le orecchie all'ecosistema italiano, privo di “visione e audacia”.

L'INTERVISTA

Quando e come nasce l'idea?
Watly nasce con lo scopo di trasformare lo standard di vita di milioni di persone. Secondo le ultime stime della World Health Organization e due miliardi di persone sono prive di elettricità nonostante sulle nostre teste abbiamo una risorsa energetica illimitata: il sole.
A differenza di quanto pensa la maggior parte delle persone, quello che uccide 5000 persone ogni giorno, non é la mancanza d’aqua ma l’acqua contaminata di batteri, metalli pesanti, arsenico tra le diverse sostanze nocive. In sostanza, mancano le infrastrutture adatte per ripulire l’acqua salata e contaminata. Partendo da questa considerazione abbiamo sviluppato Watly, il primo computer al mondo che, funzionando ad energia solare, purifica l’acqua da qualsiasi fonte di contaminazione, genera energia elettrica e permette la connettività Internet, ovunque sia installato.

Come e cresciuto, fino a ora, il progetto dal punto di vista finanziario? Quanti e da dove sono arrivati gli investimenti?
Inizialmente abbiamo utilizzato fondi propri sviluppando la tecnologia per più di due anni. Poi abbiamo cominciato a vincere un bando dopo l’altro tra i più selettivi d’Europa come l’Horizon2020, l’European Pioneers, Il Premio Corporate Marzotto. Una sequenza di successi attraverso i quali abbiamo raccolto quasi 2 milioni di euro a fondo perduto. Si tratta solo di una prima tappa. Stiamo costruendo un paradigma industriale, cui centinaia di altre startup possono fare riferimento e non l’ennesima app per lo smartphone.

Sede all'estero e produzione in Italia. Perché?
Il nostro vuole essere un progetto internazionale che coinvolga una platea più ampia possibile ed esca fuori dalle mura italiane. A Barcellona, ho avuto modo di conoscere un gruppo di validi professionisti che hanno subito manifestato entusiasmo per il nostro progetto, perciò mi è sembrata la città più adatta ad ospitare la nostra startup.

Da italiano in una startup internazionale: quali sono i difetti dell'ecosistema italiano? E' solo una questione di scarsi capitali?
La risposta standard a questa domanda sarebbe attribuire le responsabilità ad una carenza di finanziamenti, a sistemi amministrativi farraginosi e a livelli di tassazione altissimi. Non escludo che i capitali siano limitati e che il sistema burocratico sia una malattia cronica, ma il problema dell’Italia e dell’Europa in generale è la mancanza assoluta di visione e audacia. Il termine inglese “Venture capital” significa innanzi tutto investire su una visione e, sulla creazione di qualcosa che non si é mai visto prima. Questo comporta rischi ed incertezze, ma anche opportunità straordinarie. Non stupiamoci se le più innovative aziende del mondo provengono dagli Stati Uniti e recentemente anche dalla Corea del Sud, dalla Cina e dall’India. Non si creano aziende come Google, Facebook, Twitter, Tesla senza investire centinaia di milioni di dollari, molto prima che queste aziende siano appetibili. In Italia si scommette su modelli già visti, copie provinciali di concept americani già provati se non addirittura in decadenza. In Europa non mancano le idee geniali e startupper visionari ed audaci. In Europa chi ha i soldi ha paura di metterli dove non l’ho ha fatto prima qualcun altro. La paura del fallimento uccide l’azione.

Perché la scelta del crowdfunding?
L’obiettivo della campagna di crowdfunding è quello di creare una community attorno al progetto e di coinvolgerla nelle prossime attività di Watly. Ad esempio, i donatori più generosi avranno la possibilità di unirsi al team di Watly e partecipare al documentario di Discovery Channel che seguirà il processo di messa in funzione della tecnologia in Africa. Se riusciremo a raccogliere i 75mila dollari fissati per la campagna di crowdfunding torneremo in Ghana, installando una nuova Watly e dando così acqua potabile ed energia a 3 mila persone.

Quali sono gli obiettivi di questo 2016?
Stiamo ultimando la costruzione del primo Watly 3.0 e puntiamo ad andare sul mercato a settembre del 2016, per essere pronti ad accettare i primi ordini. Lanceremo progetti pilota nei prossimi 9 mesi per poi cominciare a vendere il prodotto su grande scala soprattutto a governi dei Paesi emergenti e con i quali abbiamo coltivato, ormai da mesi, relazioni commerciali. Parliamo di Nigeria, Senegal, Burkina Faso, Etiopia, Sudan, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar. Abbiamo ricevuto manifestazioni di grande interesse anche dal Texas, California e Australia. Questo per dire che il problema dell’acqua e della IoT non è solo dell’Africa ma del mondo. Un’ altra categoria di clienti sono le grandi aziende multinazionali, telefoniche, energetiche, finanziarie. L’Africa o l’India sono mercati enormi che interessano molto. Uno dei più grandi problemi è la difficoltà di accedere a nuovi utenti. Watly offre una piattaforma tecnologica capace di estendere i servizi di molteplici aziende di servizi in aree prima irraggiungibili ed inservibili. In queste zone vivono milioni di potenziali nuovi clienti. In questo senso Watly non è un prodotto ma un nuovo paradigma tecnologico ed economico.

@paolofiore