Medicina

Alzheimer, i 6 biomarcatori per scoprire se ci si sta ammalando

di Paola Serristori

Tra gli esami di routine sulla salute bisognerebbe introdurre l'accertamento delle condizioni del cervello prima che sia troppo tardi per salvarlo. Si può sperare che venga trovata la cura contro il morbo di Alzheimer, ma intanto bisogna fare qualcosa perché i farmaci sinora approvati o in corso di sperimentazione possono attenuare i disturbi senza bloccare la malattia. Durante l'annuale conferenza dei massimi esperti organizzata da Alzheimer's Association, Alzheimer's Association International Conference 2015 (AAIC 2015), a Washington, sono stati annunciato i risultati delle ultime ricerche sul morbo e si è insistito sull'importanza dei biomarcatori, indicatori biologici della malattia, e persino dello stadio a cui è giunta. “Dobbiamo esser in grado di accertare il prima possibile se una persona si sta ammalando, anche prima dei sintomi che i dottori possono vedere. O, se è già malata di Alzheimer, sino a che punto il suo cervello è compromesso. E questo possiamo farlo coi biomarcatori. Alcuni possono tornare utili in una determinata fase, altri in una diversa, taluni sono più costosi, altri ancora si prestano ad una valutazione 'di routine'”, spiega lo scienziato William Klunk, Professore Esimio di Neurologia e di Psichiatria, Department of Psychiatry, Co-Direttore Alzheimer's Disease Research Center University of Pittsburgh, Direttore Laboratory of Molecular Neuropharmacology, e membro del Consiglio scientifico di Alzheimer's Association.

Attraverso un maggiore numero di biomarcatori individuati dalla ricerca scientifica chiunque potrà ricevere una diagnosi, anche se abita lontano da centri specializzati per la scansione Pet, ad esempio, che comporta un'iniezione di radioattività ed un suo onere nel rapporto beneficio-rischio. Il ruolo dei medici non è meno importante di quello degli scienziati. Essi hanno la responsabilità della diagnosi precoce. Secondo il rapporto Alzheimer’s Association 2015 Alzheimer’s Disease Facts and Figures, solo il 45 per cento di casi è stato identificato dai dottori, come emerge dall'indagine condotta tra i pazienti ed i loro familiari. Diagnosticare l'Alzheimer in anticipo rispetto alla perdita di memoria consente di “salvare” almeno quindici anni di vita del cervello. Utile sarà la combinazione di più test, in modo da rendere più chiara la lettura di ognuno. Al paziente potrà essere somministrata la terapia idonea alle condizioni in cui si trova il suo cervello che è stato così adeguatamente valutato.Le più avanzate conoscenze mondiali sui biomarcatori dell'Alzheimer riguardano la puntura lombare per il prelievo di liquido cerebrospinale (CSF) e l'analisi di neurogranina (proteina presente solo nel cervello), una nuova tecnica per “fotografare” l'infiammazione comparsa nel cervello durante l'invecchiamento come “risposta” delle cellule immunitarie del sistema nervoso centrale (microglia) alla malattia, con l'obiettivo di riuscire ad intervenire sulla loro funzione protettiva potenziandola, ed un semplice test della saliva, il metodo di indagine meno invasivo sinora scoperto. Gli scienziati che studiano le modificazioni del cervello che si ammala di demenza mettono nelle mani dei medici gli strumenti frutto degli studi per consentire la prescrizione di esami specifici che accertino l'esordio della malattia quando le funzioni del cervello non sono ancora irrimediabilmente compromesse.

E' oramai chiaro che il morbo di Alzheimer attacca i neuroni moltissimi anni prima che ci si accorga dei problemi di memoria. Da tempo si sente ripetere nei consessi scientifici che il malato vive per quindici-venti anni senza avvertire sintomi. Gli scienziati che si sono riuniti a Washington durante AAIC 2015 hanno spostato più indietro l'orologio della malattia: “venti anni prima” di deficit della memoria e nell'orientamento, le funzioni che si deteriorano nella fase iniziale (“la perdita della memoria è la fase iniziale dei sintomi, non della malattia”, sottolinea lo scienziato Klunk). La prevenzione, e nel caso la conoscenza dell'esordio dell'Alzheimer, deve cominciare intorno ai cinquant'anni.

“La diagnosi precoce, o meglio ancora, l'abilità di diagnosticare il disturbo di Alzheimer potrebbe significativamente aumentare la 'finestra' di opportunità che una persona affetta dal morbo ha di partecipare alla ricerca ed alla decisione delle migliori terapie per lei. Ciò inoltre aiuterebbe i ricercatori a scegliere i volontari per i trattamenti, soprattutto i malati nelle prime fasi, quelle asintomatiche, che avrebbero beneficio dalla partecipazione a studi di prevenzione”, sottolinea Maria Carrillo, a capo del comitato scientifico di Alzheimer’s Association.

Sei biormarcatori di decadimento cognitivo 5 anni prima dei sintomi

Le ricerche dimostrano che alcuni cambiamenti biologici “predicono” il morbo di Alzheimer. In altre parole, essi rivelano che nell'organismo sono in corso modificazioni tali da avviare il declino delle funzioni cognitive verso la malattia. La maggior parte della sperimentazione clinica si è svolta in passato su persone già malate da lungo tempo - dato che il morbo aggredisce il cervello senza che appaiono disfunzioni cognitive o comportamentali – e questo ha creato parecchi problemi, sia agli scienziati che dovevano interpretare i risultati sia ai pazienti stessi, sui quali le terapie risultavano non efficaci. Solo di recente gli avanzamenti della conoscenza sui meccanismi dell'Alzheimer ed anche la diffusione di notizie che destano l'attenzione dell'opinione pubblica e la presa di coscienza che il rischio di ammalarsi nella seconda parte della vita è reale hanno consentito di organizzare ed intraprendere sperimentazioni nella fase appunto asintomatica o pre-clinica. Ora che si sa come studiare e rallentare il morbo di Alzheimer c'è bisogno più che mai di diagnosi precoce e di valutazioni cognitive per identificare i pazienti e tracciare le loro condizioni.

Nondimeno la diagnosi deve essere accurata e certa. E su questo secondo fronte, non meno impegnativo del primo, la ricerca avanza. I medici di base potranno sapere fondare la valutazione su sei parametri che letti insieme non lasciano dubbi: esame del liquido cerebrospinale che circonda il cervello (CSF) (misurazione di Beta-amiloide, totale della proteina tau e di tau fosforilata, la forma “degenerata” che compare nel cervello sotto forma di grovigli), dell'esame PET (visualizzazione di Amiloide e misurazione di Beta-amiloide), due risonanze magnetiche (MRI) (misurazione della perdita di neuroni attraverso il volume delle aree del cervello), due test cognitivi (misurazione dell'impatto del danno alle sinapsi sulla capacità cognitiva attraverso). Il lavoro scientifico più recente in materia è stato coordinato da Marilyn Albert, Direttore Division of Cognitive Neuroscience, Department of Neurology at Johns Hopkins University School of Medicine, e Direttore Johns Hopkins Alzheimer's Disease Research Center, su 189 partecipanti al BIOCARD Study, un'importante raccolta dati sul deterioramento cognitivo, progetto iniziato negli Usa nel 1995, col finanziamento di National Institute of Mental Health (NIMH), reclutando cinquantacinquenni cognitivamente sani - fascia di età in cui si presume che il processo di decadimento abbia inizio, con una media di 17 anni di istruzione, altro parametro rilevante - scelti tra i parenti di primo grado di pazienti con demenza di Alzheimer, e dal 2009 assegnato a Johns Hopkins University.

Questa “banca dati” fornisce una larga misurazione dei cambiamenti fisiologici che all'inizio sono molto lenti, cosicché il malato non ha sintomi. Nella ricerca della Johns Hopkins University i volontari sono stati seguiti per vent'anni. Sessanta di loro si sono ammalati. Sono stati utilizzati diversi strumenti di indagine sino ad elaborare un programma utile a prevedere quali soggetti sarebbero stati colpiti da lieve decadimento cognitivo (MCI) dovuto all'Alzheimer cinque anni dopo la registrazione dei cambiamenti biologici. In particolare, le conclusioni dei ricercatori si sono incentrate sull'utilità dei test Digit Symbol e Paired Associates Immediate Recall, Pet, MRI sullo spessore della corteccia entorinale destra e la seconda sulla misura del volume dell'ippocampo.