Medicina

Amiloidosi cardiaca: nuove prospettive da uno studio internazionale guidato da UniTS

Grazie ai progressi nelle tecniche diagnostiche non invasive, oggi è possibile identificare l'amiloidosi cardiaca in fase precoce, aprendo nuove prospettive di intervento

di redazione

Nuove prospettive per il trattamento precoce dell’amiloidosi cardiaca: uno studio internazionale guidato dall’Università di Trieste

Un’importante ricerca internazionale, guidata dall’Università di Trieste in collaborazione con l’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina e il National Amyloidosis Centre di Londra, potrebbe cambiare radicalmente l’approccio al trattamento precoce dell’amiloidosi cardiaca da transtiretina (ATTR-CA). Questa patologia rara e progressiva del cuore è causata dall’accumulo anomalo della proteina transtiretina nei tessuti cardiaci, compromettendone la struttura e la funzionalità.

Lo studio, pubblicato su JAMA Cardiology e presentato al Congresso della Società Americana di Cardiologia (AHA), ha analizzato per la prima volta pazienti con infiltrazione cardiaca di amiloide da transtiretina, ma ancora privi di sintomi di scompenso cardiaco. Attraverso tecniche avanzate di imaging, i ricercatori hanno osservato che i pazienti con un’infiltrazione di grado moderato o severo (corrispondenti ai gradi 2 e 3 scintigrafici) mostravano già anomalie tipiche della cardiomiopatia amiloidotica. Queste anomalie erano evidenti sia nelle immagini ecocardiografiche sia nei biomarcatori sierici, e la progressione della malattia risultava più rapida: oltre il 50% di questi pazienti ha sviluppato segni di scompenso cardiaco e necessità di terapia diuretica entro tre anni dalla diagnosi.

Aldostefano Porcari, assegnista di ricerca all’Università di Trieste e primo autore dello studio, sottolinea come le attuali linee guida europee e americane prevedano il trattamento con tafamidis solo per i pazienti che hanno già sviluppato uno scompenso cardiaco conclamato. Tuttavia, i risultati ottenuti suggeriscono che anche i pazienti asintomatici, ma con un’infiltrazione cardiaca già avanzata, potrebbero trarre beneficio da una terapia precoce, rallentando o persino bloccando la progressione della malattia. Questa scoperta potrebbe aprire la strada a una revisione delle raccomandazioni terapeutiche, con l’obiettivo di intervenire prima della comparsa dei sintomi.

Questa ricerca rappresenta un punto di svolta fondamentale per gli studi futuri sull’amiloidosi cardiaca. I dati raccolti suggeriscono che, nelle fasi iniziali della malattia, i depositi di amiloide potrebbero legarsi meno rigidamente alla matrice extracellulare del cuore, la rete di proteine che fornisce supporto strutturale ai tessuti cardiaci. Questa caratteristica potrebbe renderli più suscettibili a eventuali trattamenti mirati. L’avanzamento delle terapie volte alla rimozione dell’amiloide potrà quindi beneficiare di queste informazioni, migliorando l’efficacia delle cure e permettendo interventi più tempestivi e specifici.

L’amiloidosi comprende un insieme di patologie caratterizzate dall’accumulo anomalo di una sostanza proteica, l’amiloide, nei tessuti extracellulari, con effetti dannosi. Queste malattie sono spesso sistemiche e tra gli organi più colpiti vi è il cuore. L’amiloidosi cardiaca, che rientra in questa categoria, colpisce prevalentemente uomini sopra i 60 anni, con fattori di rischio che includono disordini delle plasmacellule, malattie croniche e mutazioni genetiche. Il trattamento attuale prevede l’uso di farmaci specifici a seconda della forma della malattia, mirando a stabilizzare o eliminare la fonte della proteina amiloidogenica.

Fino a pochi anni fa, la diagnosi di amiloidosi cardiaca avveniva solo in stadi avanzati, quando il cuore era già gravemente compromesso. Grazie ai progressi nelle tecniche diagnostiche non invasive, oggi è possibile identificarla in fase precoce, aprendo nuove prospettive di intervento. Sebbene il tasso di mortalità complessivo sia simile tra i diversi gruppi, nei pazienti con grado 2 e 3 il rischio di morte per cause cardiovascolari è risultato circa cinque volte superiore rispetto a quello osservato nei pazienti con grado 1, dove le morti erano più spesso legate a cause non cardiache.

La diagnosi precoce dell’amiloidosi cardiaca ATTR si avvale di tecniche di imaging avanzate, come la scintigrafia con tracciante osseo, combinata con tomografia a emissione di fotoni singoli (SPECT) e tomografia computerizzata (CT). Questi strumenti permettono di individuare la presenza della malattia in pazienti asintomatici e di monitorarne l’evoluzione nel tempo. Il team di ricerca che ha guidato lo studio è composto, oltre ad Aldostefano Porcari, da Gianfranco Sinagra, docente del Dipartimento di Scienze Mediche Chirurgiche e della Salute dell’Università di Trieste e direttore del Dipartimento cardio-toraco-vascolare dell’Ospedale di Cattinara, e Valentina Allegro, specializzanda presso lo stesso ateneo.

Alla ricerca hanno contribuito dodici centri cardiologici internazionali di riferimento. Il dottor Porcari è stato invitato a presentare i risultati dello studio nella sessione del prestigioso “Samuel A. Levine Early Career Clinical Investigator Award”, un riconoscimento dedicato ai giovani ricercatori che apportano contributi significativi alla cardiologia clinica. Lo studio proseguirà con il coinvolgimento di nuovi esperti dell’Università di Trieste, tra cui Rossana Bussani, docente di Anatomia Patologica e specialista nella valutazione istologica dei depositi di amiloide, e Gabriele Stocco, professore associato di Farmacologia. Grazie al lavoro di quest’ultimo e a Gianfranco Sinagra, è stato possibile dotare l’ateneo triestino di uno spettrometro di massa per la caratterizzazione avanzata dell’amiloide. Questi sviluppi mirano a definire nuove strategie diagnostiche e terapeutiche, puntando a un intervento sempre più precoce e mirato per la gestione dell’amiloidosi cardiaca.