Medicina

Bayer al congresso FADOI: malattie cardiovascolari, come cambia l'approccio

Durante il simposio “Rivaroxaban: dalle evidenze consolidate alle prospettive future”, organizzato da Bayer, si è parlato anche di tromboembolismo venoso

Coronaropatie, arteriopatie, tromboembolismo venoso: come cambia l’approccio alle malattie cardiovascolari? Se ne è discusso oggi a Bologna, all'interno del simposio organizzato da Bayer nell'ambito del congresso FADOI

Ogni anno, la mortalità per malattie cardiovascolari, comprese coronaropatie e arteriopatie periferiche è di circa 17,7 milioni di persone, ovvero il 31% della mortalità mondiale. Inoltre, chi soffre di malattie cardiovascolari ha un’aspettativa di vita ridotta di oltre 7 anni. Le coronaropatie e le arteriopatie sono quasi sempre causate da aterosclerosi e, chi ne è affetto, è a rischio di sviluppare eventi trombotici, che possono comportare disabilità, perdita degli arti e, nei casi più gravi, il decesso.

La terapia antitrombotica raccomandata dalle attuali Linee Guida per i pazienti affetti da queste patologie è l’impiego di antiaggreganti piastrinici che, però, non sono sufficienti, in quanto le percentuali di eventi cardiovascolari risultano elevate. Per questo motivo Bayer ha compiuto un approfondimento nei confronti di queste popolazioni di pazienti, per i quali è stato realizzato uno studio clinico, in cui il proprio anticoagulante ad azione diretta rivaroxaban, al dosaggio di 2,5 mg due volte al giorno più aspirina 100 mg una volta al giorno, ha dimostrato di ridurre il rischio combinato di ictus, infarto del miocardio e morte per cause cardiovascolari del 24%, in pazienti con coronaropatie e/o arteriopatie periferiche croniche. Un altro elemento significativo è che nei pazienti con arteriopatie periferiche, si è avuta una significativa riduzione (-70%) di eventi che hanno interessato gli arti e tutte le amputazioni maggiori da causa vascolare.

“Rivaroxaban - ha dichiarato il Professor Francesco Dentali, Direttore della Medicina Generale dell'Ospedale di Luino - è il primo anticoagulante orale non antagonista della vitamina k, ad essere valutato in pazienti ad alto rischio, con risultati sorprendenti”. 

Di questo e molto altro si è discusso in questi giorni nel corso del Congresso FADOI (Bologna, 12 – 15 maggio 2018). Inoltre, durante il simposio “Rivaroxaban: dalle evidenze consolidate alle prospettive future”, organizzato da Bayer, si è parlato di tromboembolismo venoso e del relativo approccio terapeutico.

In pazienti con tromboembolismo venoso la terapia anticoagulante è raccomandata per tre mesi e oltre, in base al rapporto tra rischio di recidiva e quello di emorragia del singolo paziente. In questi pazienti il pericolo di recidiva aumenta fino al 10% nel primo anno se la terapia viene interrotta dopo 3, 6 o 12 mesi. I clinici, quindi, devono valutare attentamente se protrarre la terapia anticoagulante per periodi più lunghi, data l’incertezza del rapporto rischio-beneficio di un determinato paziente.

Per questo motivo Bayer si è impegnata nel trovare risposte a domande importanti che emergono nella pratica clinica, dando vita a uno studio clinico di fase III, dal quale emerge che, oltre al dosaggio standard di rivaroxaban di 20 mg, il medico ha a disposizione un’ulteriore opzione terapeutica contro le recidive di tromboembolismo venoso con il dosaggio di 10 mg in monosomministrazione giornaliera.

Coronaropatie, arteriopatie, tromboembolismo venoso: come cambia l’approccio alle malattie cardiovascolari? Se ne è discusso oggi a Bologna, all'interno del simposio organizzato da Bayer nell'ambito del congresso FADOI

“Lo studio risponde ad un evidente esigenza clinica – afferma il Dottor Davide Imberti, Direttore dell’Unità Operativa di Medicina Interna del Centro Emostasi e Trombosi dell’Ospedale di Piacenza -. La terapia anticoagulante è certamente efficace, ma spesso il rischio di complicanze emorragiche, fa propendere per l’interruzione della terapia stessa o il passaggio ad aspirina. Lo studio di Bayer permette al clinico di scegliere il dosaggio adatto al rischio del paziente”.

Per entrare sempre più nello specifico, analizzando selezionate categorie di pazienti, nel corso del simposio si è anche parlato della valutazione dei potenziali benefici di rivaroxaban in pazienti oncologici con trombosi venosa profonda.

Il cancro è una malattia di natura infiammatoria, che influenza certamente il grado di attivazione della coagulazione del sangue nel paziente che ne è affetto. E’ noto che la trombosi, soprattutto quella venosa, è molto frequente nei pazienti oncologici (circa il 4-5% di essi).

Anche in questo caso, nei pazienti con cancro e tromboembolismo venoso, l’utilizzo di anticoagulanti orali diretti come rivaroxaban al posto di eparina a basso peso molecolare ha trovato riscontro nei dati di un recente Studio clinico, dove le percentuali di sanguinamenti maggiori sono risultati simili nei due bracci di trattamento ed attribuibili prevealentemente ad emorragie gastrointestinali.