Medicina
La dieta influenza l’equilibrio dei batteri pro-Alzheimer
L’esame delle feci rivela la concentrazione dei batteri che favoriscono l’infiammazione nel cervello
Intervista al Professore Giovanni Frisoni, responsabile della ricerca in corso tra i poli scientifici di Ginevra e Brescia
di Paola Serristori
Chi tratta i temi scientifici considera l’intestino come il secondo “cervello” del corpo umano, indispensabile quanto il primo! Un nuovo filone della ricerca sulle demenze sta chiarendo il ruolo chiave dei batteri intestinali nei processi infiammatori che circondano i neuroni. Lo scienziato italiano Giovanni Frisoni, Professore in Neurosciences Cliniques, responsabile della Clinique Mémoire, Hopitaux universitaires e Université de Genève, nonché massimo esperto di Neuro-Immagine ascoltato nei consessi internazionali, coordina uno studio articolato tra il polo di Ginevra e l’ospedale Fatebenefratelli di Brescia.
La salute dell’intestino influisce sul cervello?
“La storia nasce da lontano. Mi riferisco ai fenomeni infiammatori, che nello studio dell’Alzheimer sono sempre stati notati dai neuropatologi nel cervello. Da decenni si sa che la microglia, ovvero le cellule del sistema immunitario, reagisce in prossimità delle placche caratteristiche del morbo di Alzheimer come se rilevasse una sostanza irritante. L’interpretazione condivisa è che l’infiammazione è un fenomeno secondario ai rifiuti che si accumulano nel cervello, alle placche. Come ogni volta che nell’organismo ci sono detriti, il sistema immunitario si attiva per eliminarli. Senonché una serie di osservazione ha sollevato l’obiezione che infiammazione possa essere non a valle ma a monte, sia dell’accumulo di beta-amiloide che si tau, dunque della neuro-degenerazione. Questo è il primo elemento dello scenario
Il secondo elemento riguarda la possibilità di studiare l’ecosistema intestinale. Fino a poco tempo fa i batteri intestinali erano sempre stati considerati come inquilini dell’organismo, da cui esso si doveva difendere. Sostanzialmente una serie di nemici, che l’organismo cercava di tenere a bada. In condizioni normali ce la fa, altrimenti i batteri provocano infiammazione. In realtà le tecnologie di genetica e meta-genomica nello studiare i batteri hanno permesso di caratterizzare la flora intestinale e non considerarla come una massa informa di inquilini. Oggi siamo in grado di dare dei ‘nomi’ a questi batteri. Si è cominciato a vedere che alcune malattie, come la steatosi epatica genetica, sono dovute a particolari ceppi batterici, che interagendo con la risposta immunitaria provocano la malattia. Questo ha dato l’idea che forse anche altre malattie potevano esser influenzate dai batteri.”
Tra i due organi c’è tanta strada…
“Le cellule dell’apparato immunitario sono fortemente collegate col cervello. Inoltre una recente interazione fra sistema infiammatorio e cervello è stata dimostrata. Gli anticorpi riescono ad entrare nel cervello, i linfociti riescono ad entrare nel cervello. Non è più così vero che il cervello è inviolabile, il cervello non più un ‘santuario’. I batteri nell’intestino interagiscono con l’organismo ed esiste la possibilità che i batteri intestinali possano influire sui fenomeni cerebrali.”
Come ci arrivano?
“La prima possibilità è attraverso la produzione di piccoli metaboliti. Prodotti nell’intestino, passano nel sangue, oltrepassano la barriera ematoencefalica ed arrivano nel cervello. Seconda risposta, la modulazione del sistema immunitario verso i batteri intestinali. Il sistema immunitario se non viene esposto precocemente ai batteri intestinali non si sviluppa normalmente. Quindi alcuni ceppi di batteri intestinali sono fondamentali per lo sviluppo del sistema immunitario. Non è inverosimile pensare che alterazioni del microbiota intestinale siano associate a sviluppo del sistema immunitario. I topi sviluppano una malattia simile alla sclerosi multipla e si è osservato che topi senza batteri non avevano la malattia. A sua volta il sistema immunitario ha dei riflessi sul funzionamento del cervello. C’è un rapporto tra batteri ed alcune malattie del cervello.”
Tutte le persone sono in questa condizione?
“Stiamo parlando di persone che non hanno malattie intestinali. Non morbo di Crohn, né colon irritabile, colite ulcerosa… “
Come procede la vostra ricerca?
“Abbiamo due gruppi di lavoro tra Ginevra e Brescia, uno su animali e l’altro sull’uomo. I topi transgenici apt-ps1 sono ingegnerizzati per produrre amiloide umana. Partoriti in ambiente sterile e cresciuti in ambiente sterile, questi topi senza batteri intestinali non presentavano amiloide benché in possesso di tutta la genetica per produrla. Inoltre sappiamo che esiste un equilibrio tra i batteri che stimolano processi infiammatori umani ed altri che li attenuano. Abbiamo analizzato le feci dei malati di Alzheimer, casi che avevano ricevuto la conferma della diagnosi con neuro-immagine Pet. Poi preso campioni di feci di anziani senza Alzheimer. Nei primi la quantità di batteri pro-infiammatori era superiore, gli anti-infiammatori inferiori. Negli anziani sani risultava l’opposto. Abbiamo verificato che cosa accadeva nel sangue, tra le citochine pro e anti-infiammatorie. Le citochine prodotte dai linfociti sono sostanze che nel sangue mediano l’infiammazione. Nell’organismo sano c’è equilibrio anche tra citochine pro e anti-infiammatorie. Nei malati di Alzheimer le citochine pro-infiammatorie erano superiori alle anti-infiammatorie. Dunque, esiste una correlazione tra quantità di batteri pro-infiammatori nelle feci e citochine pro-infiammatorie
e viceversa batteri anti-infiammatori nelle feci e citochine anti-infiammatorie nel sangue. La prima osservazione è che nei malati di Alzheimer all’inizio c’è un ambiente batterico intestinale pro-infiammatorio, che causa una reazione immunitaria pro-infiammatoria nel sangue, che causa deposizione di proteine tossiche amiloide e tau.”
Chi legge che cosa può fare?
“Donazioni per la ricerca, per andare avanti su questa pista. Capisco che la gente vorrebbe sentirsi dire ‘prenda questo… ‘. Ci vorranno almeno tre anni, ma probabilmente cinque, prima di dare delle risposte su che cosa prendere. I tempi della ricerca sono questi.”
In prevenzione, intanto, anche lei considera fondamentale una buona dieta?
“Gli studi epidemiologici sono nati in Europa, dall’italiano Luigi Amaducci, autore del primo studio sulle condizioni che favoriscono l’Alzheimer. In seguito, altre ricerche hanno confermato ripetutamente un effetto protettivo della dieta mediterranea sulla demenza. Nessuno ha mai capito bene perché, ma forse la ragione è da ricercare nel fatto che la dieta influenza la composizione dei batteri intestinali. Forse proprio questo è l’anello di collegamento.”