Medicina

Sanità in crisi, la ricetta di Pregliasco: "Più collaborazione con il privato"

Di Alberto Maggi

Il virologo: "Mancano circa 30 mila medici e 70 mila infermieri"

"Deve cambiare il paradigma di oggi: o il medico di famiglia o il pronto soccorso"

 

"Il Covid con i suoi effetti dirompenti è stato uno stress test che ha messo in evidenza le carenze che già c'erano e che minano l'universalità e la bellezza della legislazione italiana sulla sanità". Inizia così l'analisi ad Affaritaliani.it di Fabrizio Pregliasco, direttore della Scuola di specializzazione in igiene e medicina preventiva dell’università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’IRCCS ospedale Galeazzi Sant’Ambrogio di Milano, sulla crisi del sistema sanitario nazionale tra lunghissime liste d'attesa, ospedali che chiudono e fuga di medici e infermieri all'estero. "La sostenibilità nel tempo è a rischio a causa di alcuni aspetti. Un gran quantità di denaro viene destinata ai soggetti fragili o perché anziani o anche giovani con patologie. Un 30% di popolazione che assorbe il 70% delle risorse rendendo il sistema meno efficiente e con danni alla qualità dei servizi. Ad esempio, un soggetto diabetico che non viene preso in carico e non si cura finisce in ospedale, ed è quindi un costo, poi torna a casa e intasa il sistema e sta pure male".

Secondo Pregliasco "deve cambiare il paradigma di oggi: o il medico di famiglia o il pronto soccorso, spesso bersagliato con un terzo di codici bianchi soprattutto nelle ore più delicate come di notte. Oltre alle carenze di personale c'è una vischiosità del sistema abituato ormai a lavorare così, serve colmare il gap tra medico, ospedale e cittadini con servizi che si prendano carico della popolazione e strutture che diano risposte adeguate. Le RSA, ad esempio, possono dare un contributo essenziale nell'assistenza territoriale. Diciamo che è facile trovare il problema ma è difficile trovare la soluzione".

Ma è vero che il governo ha tagliato soldi alla sanità? "Negli anni c'è stata via via una minor disponibilità di fondi e rispetto alla percentuale del Pil c'è stato un problema di riduzione dei fondi, soprattutto rispetto ad altri Paesi europei. E il problema è che il sistema viene sostenuto dalla fiscalità generale e quindi pagano sempre gli stessi ovvero i lavoratori dipendenti. C'è stato da parte del governo un tamponamento, ad esempio, aumentando doverosamente gli stipendi ma i fondi non sono necessari per un complessiva riorganizzazione del sistema. Mancano circa 30 mila medici e 70 mila infermieri e sono distribuiti male sul territorio nazionale. Servirebbero una serie di professionisti soprattutto per i pronto soccorso come chirurghi, anestesisti, medici dell’emergenza, che non hanno una buona prospettiva di carriera rispetto ad altre specializzazioni come oculisti e dermatologi e quindi meno incentivati a percorrere queste specializzazioni ". “Anche per le professioni sanitarie e in particolare per gli infermieri lo stipendio non è proporzionato al ruolo e alle responsabilità della professione e quindi poco attrattivo per i giovani”.

"L'Europa non ha competenza per il momento a causa delle scelte che sono state fatte quando è stata fondata l'Ue e le competenze e le responsabilità sono dei Paesi membri. Le istituzioni internazionali possono svolgere il ruolo di facilitatori di alcune dinamiche ma solo come sostegno di sponda, non determinante. Servirebbe ad esempio il fascicolo sanitario elettronico europeo e, purtroppo, l'Italia per motivi politici è contraria al Green Pass dell'Oms, strumento importante per uno scambio di informazioni nel momento di possibili future nuove emergenze".

E l'autonomia regionale differenziata che effetti può produrre? "Può acuire le differenze tra le regioni soprattutto se i lep (livelli essenziali di prestazione) non sono ben definiti e i cosiddetti lea (livelli essenziali di assistenza ) a livello sanitario. Mancano i servizi nell’ambito socio sanitario ad esempio di trasporto che sono in mano al volontariato o a pagamento per i cittadini. E gli ospedali grandi, gli hub, vanno anche bene ma se sono a 50 km da casa diventano un problema per i cittadini soprattutto i più anziani. Manca un'organizzazione e spesso per fortuna interviene il terzo settore, in Italia c’è una grande tradizione di volontariato che svolge servizi socio sanitari che diventa uno strumento molto determinante".

Pregliasco, infine, ci tiene molto a lanciare un messaggio chiaro: "Il privato accreditato ricopre un ruolo importante di fornitore del sistema sanitario nazionale da considerare un alleato delle strutture pubbliche per fornire il miglior servizio possibile ai cittadini. Ci sono due tipi di privato: quello no profit, organizzazioni di volontariato, fondazioni, cooperative, che garantisce circa l’80% dei posti delle RSA spesso a capo di fondazioni cattoliche, e il privato profit accreditato che svolge un ruolo complementare nell'erogazione dei servizi del sistema sanitario nazionale che è pubblico. Serve a mio avviso quindi una maggiore collaborazione con privato no profit e privato profit per garantire al meglio i servizi ai cittadini tramite un necessario coordinamento e pianificazione in carico alle strutture pubbliche", conclude.