Politica

2021: fuga dalla candidatura a Sindaco

Di Lorenzo Zacchetti

Tra pochi mesi si vota in mezza Italia, comprese tutte le città principali, ma ancora mancano gli aspiranti primi cittadini: è il segno di un trend pericoloso

Se non fosse stato per il Covid-19, oggi saremmo alla vigilia del voto nelle più importanti città italiane. Il 2021 è infatti l’anno nel quale si rinnovano i Sindaci e i consigli comunali di mezza Italia: Milano, Roma, Torino, Napoli, Trieste, Bologna e diverse città. In pratica, è una consultazione di caratura nazionale: anche se il Governo Draghi punta ad arrivare al 2023 con un inedito patchwork di alleanze, è difficile pensare che l’esito del voto non abbia ripercussioni anche sul Paese nel suo complesso, almeno potenzialmente. Si tratta quindi di un appuntamento della massima importanza, ma ciò nonostante il quadro delle candidature è ancora drammaticamente confuso.

A Milano Beppe Sala ha annunciato la sua intenzione di correre per un secondo mandato nel giorno di Sant’Ambrogio, ma nonostante siano passati quasi cinque mesi il centrodestra ancora non ha annunciato chi sarà a sfidarlo.  A Roma la situazione è speculare: Virginia Raggi vuole rimanere al Campidoglio e questo mette a rischio l’alleanza con il centrosinistra, spezzato tra le scelte in progress del Pd e la fuga in avanti di Calenda, che correrà per conto suo. A Torino esce di scena Chiara Appendino, che rinuncia al secondo mandato per via di una condanna in primo grado, ma la sua successione è ancora in alto mare. Altrettanto confusa è la situazione a Napoli e Bologna, dove si chiude l’era di De Magistris e Merola.

Solo qualche anno fa, ci sarebbe stata la fila per una posizione così prestigiosa. Il fuggi-fuggi di questi mesi, oltre ad essere vagamente offensivo per i cittadini, deve farci pensare. La politica non può essere un ufficio di collocamento, cosa che purtroppo in molti casi è stata, ma quello che sta accadendo in questa fase è che esservi coinvolti rappresenta uno stigma negativo. Chiunque la faccia, mantenendo nel contempo un’attività professionale, sa di cosa parlo: se una volta si pensava che dalla politica potessero giungere vantaggi, talvolta anche impropri, oggi sembra quasi un handicap.

La tendenza si è chiaramente invertita e, anche ai massimi livelli, è sempre più fitta la lista di coloro che lasciano i propri incarichi istituzionali per fare altro. Qualcuno riesce a fare anche le due cose insieme, ma le polemiche, come ci dimostra la cronaca quotidiana, sono inevitabili e dure.

A questo si è arrivati anche perché anni di populismo hanno consolidato il suddetto stigma negativo, portando a scelte sbagliate come la cancellazione del finanziamento pubblico dei partiti e, in città più piccole di quelle citate, a tagli degli emolumenti che oggi costringono persone di buona volontà a lavorare, assumendosi responsabilità onerose, a titolo di volontariato o quasi.

In una grande città i compensi sono molto più alti, ma non certo paragonabili a quelli delle aziende private, ai quali giustamente aspirano i profili di livello elevato. Attenzione, però, perché così si mortifica una funzione fondamentale come quella politica: occuparsi della cosa pubblica è una cosa nobile, ma bisogna creare le condizioni per farlo al meglio. Altrimenti si mette a rischio la democrazia.