Politica

Adriana Faranda incontra Agnese Moro, giustizia riparativa o sgarbo storico?

Di Giuseppe Vatinno

Le due donne, la figlia dello statista democristiano e la ex brigatista si incontrano dal 2009 in un lungo percorso di “giustizia riparativa"

Adriana Faranda incontra Agnese Moro

Adriana Faranda ex brigatista dissociata e Agnese Moro hanno partecipato al primo degli incontri che sono stati organizzati dalla diocesi di Roma, presso il Pontificio seminario maggiore in piazza San Giovanni in Laterano, a Roma. Le due donne, la figlia dello statista democristiano e la ex brigatista si incontrano dal 2009 in un lungo percorso di “giustizia riparativa” ante-litteram.

Agnese Moro fa una premessa poco chiara logicamente: “La giustizia riparativa secondo me è avere a che fare con l'irreparabile ma l'irreparabile è anche pericoloso perché trattiene il passato e il passato non passa mai”. Ma se si ha a che fare con l’irreparabile a cosa serve la “giustizia riparativa?”. Rievoca poi, come in un film in cui i fotogrammi si ripetono per l’eternità, quelle tragiche vicende: "tutti i giorni mio padre esce di casa, viene rapito, le care persone della scorta vengono uccise, resta prigioniero e viene ritrovato ucciso 55 giorni dopo. Questo porta con sé tanti sentimenti, tra cui anche il senso di colpa di non averlo salvato".

Adriana Faranda dice invece: "Solo chi ha provato un dolore come quello di Agnese può paradossalmente capire quello che ho provato io. Sono dolori diversissimi ma che si accomunano, io mi sono sentita compresa da Agnese come da nessun altro". La Faranda ha sentito il bisogno di confrontarsi finalmente con quello che chiama il “dolore degli altri”. Ma c’è un punto che non viene affrontato e cioè quello della Giustizia.

Aldo Moro la chiedeva a gran voce quella Giustizia ma non gli è mai arrivata. Non gli è arrivata dai vertici della Democrazia Cristiana e magari da qualcuno che pragmaticamente aveva visto nel rapimento del leader doroteo un’occasione per fare carriera. Fu fatto tutto per salvarlo? Le vicende misteriose di via Gradoli e della incredibile seduta spiritica a cui partecipò Romano Prodi ci restituiscono un quadro piuttosto confuso e poco credibile di quello che è veramente successo. E poi il problema umano, il pentimento, la dissociazione della Faranda e le sue dichiarazioni successive.

Però è troppo facile ora produrre lacrime di coccodrillo all’ombra del Cupolone che tutto avvolge e tutto indolcisce, cullato dal ponentino. Il modo con cui Adriana Faranda decise di fare politica è il modo dell’odio e della violenza che non può essere condiviso né si può “dimenticare” e forse neppure perdonare, che in fondo è una qualità degli dèi, sovraumana.

I brigatisti agirono nella convinzione assoluta di avere la Ragione dalla propria parte perché dietro c’era una visione profondamente egoistica della società e spesso problemi personali psicologici, per cui il terrorismo è stato visto come possibile via d’uscita in un mondo dove lasciare che la rabbia sfogasse i suoi brutali istinti, con la prigionia, col piombo e non con la parola, il dialogo e cioè la politica.

L’altro giorno a quel convegno a San Giovanni in Laterano era presente la Storia ma non era presente l’umanità e soprattutto non era presente Aldo Moro che seppur cristiano e cattolico praticante, amico di Papa Paolo VI, forse avrebbe avuto qualcosa da dire a sua figlia Agnese e soprattutto a chi lo ha rapito e poi ucciso. E non è detto che la cristologia paolina lo porterebbe a considerare la “giustizia riparativa” qualcosa di meglio che la Giustizia e basta, con la “G” maiuscola appunto, frutto di questi tempi malsani e ipocriti.