Economia
Perchè Netflix da inizio anno ha perso oltre il 35% del suo valore? I 4 motivi
L’azienda creata da Reed Hastings a -38% della sua capitalizzazione di Borsa: ecco quali sono i suoi problemi
Quattro motivi per cui Netflix è in netto calo
C’è un dato incontrovertibile che segna la necessità per Netflix di trovare nuove strade per migliorare il proprio business. Mentre scriviamo, infatti, l’azienda creata da Reed Hastings ha perso dall’inizio di quest’anno quasi il 38% della sua capitalizzazione di Borsa, passando da poco più di 600 dollari per azione a circa 375. La domanda è semplice: perché?
E' finito l'effetto della pandemia di Covid-19
Prima di tutto, perché – per fortuna – il mondo non è più chiuso in casa costretto a cucinare pizze con l’apposito strumento e a guardare serie televisive. Il tempo libero, vera chimera dell’evo moderno, è dunque tornato costellato di aperitivi, partite a tennis, corse rigeneranti. Tutte attività che ovviamente erodono il tempo a disposizione da passare sul divano.
Per provare a ovviare a questo problema, Netflix ha anche annunciato che a breve lancerà film “brevi” per chi ha poco tempo a disposizione. Il che potrebbe essere un’idea geniale per esempio per il commuting: invece che leggere un libro, qualcuno potrebbe scegliere di vedere un contenuto in streaming. Ma qui c’è un agguerrito concorrente: i podcast, che stanno prendendo piede e che tengono libere le mani, permettendo alle persone di attaccarsi ai sostegni sui mezzi pubblici intanto che ci si reca al lavoro.
Una concorrenza sempre più agguerrita
Secondo problema: il numero dei competitor è aumentato e, soprattutto, è migliorata l’offerta dei competitor stessi. Amazon Prime, Disney +, Apple Tv, Hulu, Chili, Sky: sono solo alcuni dei nomi dei canali di streaming, che distribuiscono prodotti di grande qualità complici anche accordi commerciali in esclusiva.
Disney, ad esempio, ha rilevato l’intero universo Marvel e la saga di Star Wars, diventando sostanzialmente monopolista nel genere fantasy. Apple Tv si è accaparrata serie interessanti come “Get Back” girata da Peter Jackson sulla storia dei Beatles. Amazon Prime sta investendo centinaia di milioni per girare un’intera stagione dedicata al signore degli anelli e, dopo aver comprato Metro Goldwyn Meyer ha ora un catalogo di film “classici” a disposizione. Senza dimenticare che ha rilevato anche i diritti di ritrasmissione della Champions League, arricchendo ulteriormente l’offerta, inclusa con il pacchetto Prime.
Un'offerta troppo ampia diventa confusiva
Terzo problema: la sovrabbondanza di scelta. Se si apre la app di Netflix, se non si hanno le idee chiare, si rischia seriamente di perdersi in un turbinio di film, serie tv, documentari. Prodotti di altissimo livello – per carità – che però rischiano di confondere l’utente che si ritrova di fronte al paradosso dell’asino di Buridano, quello che, non riuscendo a scegliere da due cumuli di fieno perfettamente uguali, finiva col morire di fame!
Netflix è diventata una commodity
Quarto tema: Netflix è diventata una commodity, un po’ come Facebook. E generare valore aggiunto da una commodity è un po’ più complesso che farlo da un prodotto elitario. Tant’è che, come successo nel food delivery, l’azienda di Hastings sta iniziando a interrogarsi su come differenziare il business. Negli Usa è partito un progetto pilota per un e-commerce collegato ad alcune serie anime della piattaforma e si parla
anche di un social network su cui commentare serie e film e accordi perfino con il Louvre di Parigi. L’ultima comunicazione agli analisti sul tema abbonati, datata gennaio di quest’anno, ha deluso gli addetti ai lavori: i nuovi abbonati sono stati “solo” 8,28 milioni nel mondo, contro gli 8,39 delle previsioni, mentre il fatturato del quarto trimestre è stato di 7,71 miliardi di dollari, in linea con le attese.
In Italia sono circa 4 milioni gli abbonati, ma ora c’è un ulteriore tema che si profila all’orizzonte: in altri Paesi gli abbonamenti condivisi hanno subito un rincaro. E se dovesse succedere anche da noi? Quanti manterrebbero la loro quota e quanti invece sarebbero pronti a disdire? Da non sottovalutare mai l’effetto “pigrizia”, per cui si teme sempre che vi siano troppi problemi nel cancellare una sottoscrizione e quindi si preferisce mantenerla. Ma i nuovi abbonati quanti sarebbero?