Politica

Calenda finito coi Komunisti, anzi no. La "compagnia dei 4 "e i polli di Renzi

L'opinione di Giuseppe Vatinno

Lo spettacolo del Congresso CGIL è iniziato alla grande con Calenda che si esibisce in uno sketch cabarettistico che rimarrà nella storia

Vi siete portati i popcorn? Se sì scartocciateli, se no andate a comprarli per il week end

Lo spettacolo del Congresso CGIL è iniziato ma ancora manca il piatto forte, cioè l’intervento di Giorgia Meloni, eppure già ci si è divertiti alla grande.

Intanto c’è Elly Schlein che si è auto incoronata “Principessa della Sinistra” e si è messa alla testa di una eterogenea e stimolante compagnia composta da: Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Carlo Calenda.

Diciamo subito che la “Compagnia del Tinello”, così rendiamo anche un dovuto omaggio agli interessi fantasy di Giorgia Meloni, è una aggregazione casereccia nazional-popolare che tuttavia c’è, anche se frutto di una sorta di abile imboscata ideologica del duo Schlein-Landini.

Naturalmente la “banda dei quattro” è divisa come al solito su tutto e si comportano più come i polli di Renzo (pardon di Renzi) che come degli alleati, e non fanno che beccarsi tra loro, ma tant’è.

L'intervento di Carlo Calenda al congresso Cgil

Non lamentiamoci troppo e godiamoci lo spettacolo di Carlo Calenda, che è solo un misso dominico di Matteo Renzi, che se la piglia con tutti ma intanto non molla la ribalta mediatica offertagli dalla CGIL.

E certo che ci vuole una gran “faccia” di bronzo a presentarsi in casa del più grande sindacato dei lavoratori a parlare di quanto sia bello il Jobs Act, cioè la legge che ha annullato l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, una delle conquiste più sofferte e significative della sinistra.

Eppure Calenda ne tesse le glorie e Landini e Fratoianni “fanno pippa” come si dice in quella Roma che Calenda ha voluto ieri glorificare di una interpretazione degna del migliore Alberto Sordi.

Infatti mentre parlava il pubblico giustamente lo spernacchiava e così ha cominciato a recitare, forse memore del nonno Comencini che era regista.

Di Pinocchio, Calenda c’ha solo il naso ma ammettiamo che lo sketch da bullo romano di periferia è stato bello. “Ahò, regà, nun m’avete invitato pe’ parlà che tutto è all you need is love, ma pe’ dì la mia”, declama il politico dei Parioli mentre Landini annuisce imbarazzato come una collegiale di fronte alle glorie di Rocco Siffredi.

Calenda si esibisce in uno sketch cabarettistico che rimarrà nella storia

“Amici belli, fateme parlà, perché se no che li fate a fa’ i dibattiti sulla demmocrazia?”. Si dice, si narra, si sussurra che Giorgia stia preparando adeguate contromosse in romanesco stretto per recuperare terreno.

Ma Calenda, si sa, è un omaccione che il capo della Wagner gli fa un baffo. C’ha pure i tatuaggi da figaccione che manco a Torbella e la sua dialettica finemente oxfordiana può intimorire e sorprendere i più sprovveduti.

Quando Giuseppe Conte, ad esempio, gli ha detto “ma voi votate con la destra”, Calenda sembrava un toro dalle nari fumanti che ha urlato: ”Noi non abbiamo mai votato con loro!” e s’è perso l’assist che l’”avvocato del popolo” gli aveva involontariamente alzato sul governo di destra, il giallo verde, fatto dai Cinque Stelle con Salvini e la Lega e guidato proprio da lui.

E poi il gran finale per salvarsi dall’abbraccio di tutti gli (ex?) comunisti presenti con cui è finito insieme :“io con quelli su questo parco non governerò mai!”. A quel punto una domanda di tipo ontologico, anzi esistenziale, si è palesata nella sala ebbra dei sudori primaverili dei politici: "E allora che ce sei venuto a fa?". Domanda legittima, ma Calenda non ha risposto e roteati gli occhioni, strabuzzato il faccione, si è posto in pausa, come un marionettone scarico. Si vede che da Firenze Renzi aveva finito le batterie.