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Commissione Ue, vince l'Ursula bis: Fitto vicepresidente. Così Meloni ha portato a casa un capolavoro diplomatico

di Vincenzo Caccioppoli

Commissione Ue, dopo i veti c'è l'accordo. E alla fine chi esce ancora una volta rafforzato da tutta questa vicenda è la premier Giorgia Meloni

Commissione Ue e la vittoria di Fitto 

Raffaele Fitto ce l'ha fatta. Dopo una notte di discussioni e trattativa a Bruxelles, può finalmente festeggiare perché sarà vicepresidente esecutivo della commissione europea. Dopo una giornata che definire convulsa è usare un eufemismo, socialisti, liberali e popolari sono arrivati ad un accordo, per promuovere i tre commissari ancora in bilico, la spagnola Ribera, appunto Fitto e l’ungherese Varhelyi. La questione si era ingarbugliata martedì, quando durante l’audizione della socialista Teresa Ribera, i popolari spagnoli l’avevano accusata duramente per la gestione della tragedia di Valencia. La settimana scorsa sembrava che si potesse arrivare ad uno scontro frontale, con il rischio che saltasse l’intera commissione.

Per sbloccare la matassa occorreva che si muovessero le cancellerie europee, e così è stato durante il G20 di Rio de Janeiro. Sanchez soprattutto non poteva permettersi altri passi falsi, vista la situazione delicatissima in patria, ed ha quindi accettato che passasse il candidato italiano malgrado non appartenesse alla maggioranza che sosteneva la Von der Leyen. Ma in realtà alla fine chi esce ancora una volta rafforzato da tutta questa vicenda (che per l’ennesima volta mostra le contraddizioni di un'Europa divisa e miope) è la premier italiana Giorgia Meloni, autrice di quello che appare come un vero e proprio capolavoro di diplomazia. Molti forse ricordano le tante critiche feroci che attirò la premier, soprattutto a sinistra, ma non solo, quando fece mancare l’appoggio alla Von der Leyen, prima con la sua astensione al Consiglio europeo e poi col voto contrario dei suoi al parlamento a Strasburgo, a luglio. Molti accusarono, in quel caso, la Meloni di volersi isolare in Europa e di remare contro l'interesse nazionale, che così facendo non avrebbe certamente ottenuto un incarico di peso come meritava il suo rango.

Poi la scelta di Raffaele Fitto, l’uomo che forse più di tutti ha un rapporto privilegiato con l’Europa e soprattutto con i popolari europei, che sono stati decisivi nel difenderlo a spada tratta fino all'ultimo contro intensivi di socialisti e liberali di mettergli i bastoni tra le ruote. Poi dopo colloqui riservati e trattative con la Von der Leyen ( secondo alcune fonti vicine alla presidenza,  in realtà il voto contrario di fdi sarebbe stato concordato con la stessa presidente per evitare magari defezioni di franchi tiratori da parte di socialisti e verdi), ecco la nomina in ruolo pesante ( la coesione è fondamentale per un paese come il nostro e cuba insieme al Pnrr circa 1000 miliardi di euro)e soprattutto quella vicepresidenza esecutiva, su cui la premier si era spesa tantissimo. ma la strada era ancora lunga ed irta di ostacoli, come si è visto anche ieri.

Molti temevano un’imboscata durante l’audizione di Fitto, cosa però superata brillantemente dal politico pugliese, nato a Maglie 55 anni fa, vecchia scuola dc, che ha risposto colpo su colpo alle domande degli eurodeputati socialisti verdi e liberali. E qui la strada sembrava ormai in discesa certificando quello che appariva alla fine come un vero e proprio capolavoro diplomatico di un premier, che proprio in politica internazionale sta mostrando il meglio di sé. Ha mostrato di mantenere i nervi saldi fino all’ultimo e di non temere il comportamento assai ambiguo della Schlein, anche dopo che Fitto aveva ricevuto l'endorsement del presidente Sergio Mattarella, di Romano Prodi e di Mario Monti.

Forse la differenza di autorevolezza e di leadership tra le due è tutta qui. Meloni ha tenuto testa a tutti i premier che sembravano averla messa all’angolo durante il Consiglio europeo dello scorso luglio. Invece alla fine a dare le carte è sembrata essere lei. Il presidente francese Macron ha dovuto subire senza fiatare la sostituzione del suo commissario Breton, senza avere deleghe più importanti (anzi). Sanchez ha dovuto correre ai ripari e accettare obtorto collo che i suoi deputati socialisti accettassero le condizioni imposte dai popolari per avere il sì alla commissaria Ribera, che però rimane sub judice, in caso di indagine sulla gestione della alluvione a Valencia.

Mentre il polacco Donald Tusk dopo un primo momento di attivismo nel sostenere la candidata Von der Leyen e nel criticare la scelta di Fitto, è sparito dai giochi e sembra aver accettato le decisioni di altri. Mentre la segretaria del partito democratico è sembrata farsi dettare l’agenda dai socialisti spagnoli, malgrado la sua delegazione sia la più numerosa del gruppo. Ed è proprio su questo che la Schlein deve ancora crescere, deve essere protagonista anche in Europa e non soffrire l’autorevolezza e la leadership calante di altri leader. Come Pedro Sanchez nel caso specifico. Ecco perché in conclusione, dalla importante nomina di Fitto, ne esce rafforzato il rango e il ruolo del nostro paese in Europa, ma anche e soprattutto quello della premier Meloni, che sembra sempre più poter giocare un ruolo da protagonista, in quelli che dovranno essere i futuri rapporti tra l'Ue e la nuova amministrazione Trump.

 

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