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Politica
Elezioni 2018: chi vince e chi perde la sfida della comunicazione politica

Le elezioni politiche sono vicinissime e i partiti italiani, in perenne campagna elettorale, iniziano a sparare le loro cartucce più forti in vista del traguardo più importante. Inutile ricordare che oggi, la rete e i social network ospitano e veicolano una parte cospicua del messaggio politico-istituzionale nonché della propaganda elettorale, e che le piattaforme digitali hanno spinto le varie forze in gioco a regolare di conseguenza il loro approccio all'elettorato. Alcuni, come il M5s, padroneggiando il "campo di battaglia", altri meno vittoriosi e convincenti. Ma quali sono i partiti che vincono la sfida della comunicazione 2.0 e quelli che invece arrancano? 

M5s

Per primi hanno intuito il potere immenso della Rete e per primi hanno saputo sfruttarla per crescere in fatto di consensi e di capillarizzazione, coinvolgendo simpatizzanti e attivisti di tutta Italia. Con l'ingresso nelle istituzioni e l'approdo all'amministrazione di città importanti, l'evanescente seppur efficace propaganda grillina ha dovuto scontrarsi con la dura realtà, spesso finendo per diventare vittima della stessa Rete suo habitat naturale. Ma è indubbio che la comunicazione pentastellata sia diretta, semplice, fruibile dal maggior numero di persone possibili e capace di arrivare esattamente a soddisfare il proprio elettorato, strizzando l'occhio anche agli eterni delusi di Destra, Sinistra e Centro. Per quanto becero, per quanto di pancia, per quanto inelegante, il tormentone del "like e condividi se sei indignato" l'hanno inventato loro e loro sanno giovarne al massimo, cosa che invece non si può dire del Pd, che ha provato - con scarsi risultati - a imitarlo.

Pd

Il Partito Democratico, dominato dalla personalità prorompente di quello che fino a poco tempo fa era ritenuto un grandissimo comunicatore, ovvero Matteo Renzi, si trova oggi a un'impasse per quanto riguarda la comunicazione politica e la propaganda, complice anche la sconfitta referendaria, autentico "spartiacque storico". Lo dimostrano i tanti progetti annunciati trionfalmente e poi abortiti: che fine ha fatto per esempio il "Blog di Matteo Renzi" sbandierato qualche tempo dopo il referendum, blog che mai ha preso effettivamente piede? E la pagina facebook di "In cammino", nome mutuato dall'En Marche macroniano, che non ha mai ingranato e che è ormai lasciata a se stessa? E che dire della piattaforma Bob che, rinviata a settembre,a tutt'oggi non ancora partita? Durante l'estate sono scoppiate le polemiche riguardanti la "comunicazione troppo grillina" del gruppo facebook Matteo Renzi News, i cui ideatori cercavano di imitare il linguaggio pentastellato, iniziativa decisamente ridimensionata dall'arrivo del "cane da guardia" Matteo Richetti.

Il problema è che, laddove la pagina Matteo Renzi News era troppo aggressiva e diretta, l'alternativa proposta dal Partito Democratico è spesso la retorica rarefatta dei guru della comunicazione dem, quelli che pontificano di "echo chambers", "confirmation bias", "buzz" e inglesismi vari che fanno tanto acculturato e tanto "ammeregano", signora mia, ma che alla fin fine risultano solo autorefenziali e del tutto intempestivi. E' divertente infatti che i dotti comunicatori di riferimento del Pd si rifacciano ancora all'era di Barack Obama, quando negli Usa oggi regna il suo esatto opposto Donald Trump, il quale ha vinto le elezioni con un linguaggio diretto e popolare, senza arzigogoli da aspirante sociologo della comunicazione. Il Pd, in soldoni, comunicativamente parlando è a metà del guado, non sapendo se inseguire l'approccio grillino (e trumpiano) alla Matteo Renzi News o se invece insistere su un approccio da addetti ai lavori, freddo, pieno di anglismi, spesso stucchevole ed ego-riferito, rivolto al pubblico più colto che popolava la rete agli albori del web, pubblico che oggi è stato soffocato da folle di utenti di medio-scarsa cultura che esigono invece un messaggio chiaro, diretto ed efficace. Del tutto lontano dalle elaborate dissertazioni piene zeppe di tecnicismi che aumentano l'autostima dei loro autori e infiammano le claque di riferimento, ma che allontanano l'elettore comune escludendolo dal dibattito. (E perdendo così il suo voto.) 

Lega-Forza Italia-Fratelli d'Italia

Le tre anime che compongono il Centrodestra, impegnato in prove tecniche per la riunificazione in vista della vittoria alle elezioni del 2018, sono caratterizzate da una comunicazione semplice ed essenziale, piuttosto simile a quella grillina, che sfrutta perlopiù la leva dell'indignazione e della protesta tout court contro il Governo e contro il Partito Democratico in primis. Matteo Salvini e Giorgia Meloni conoscono bene il loro elettorato di riferimento e vi si rivolgono senza filtri, con parole chiare, dando all'interlocutore esattamente ciò che vuole in termini di forma e contenuto e intercettando così, spesso, anche parte dei simpatizzanti non attivisti del M5s, allargando quindi il bacino dei possibili voti. Silvio Berlusconi, che a 81 anni è ancora il comunicatore più geniale e di tutti quanti, si affida invece alle immagini (un po' come i selfie dei vari virgulti pentastellati). Per settimane e settimane si è parlato infatti delle sue foto abbracciato agli agnellini (prima di fondare il Movimento Animalista, che sta raccogliendo sempre più consensi), e grande risalto mediatico ha avuto lo scatto all'autogrill di fronte a uno stand di caramelle e dolciumi, visibilmente reduce da una beauty farm. Insuperabile e insuperato.

 MdP

La comunicazione del partito di Massimo D'Alema, Pierluigi Bersani e Roberto Speranza, forza politica ancor più antipiddina dello stesso m5s, si fonda essenzialmente sulla distruzione e denigrazione di Renzi e del Pd senza esprimere alcunché di costruttivo. Irrilevante sui social network, MdP fa invece il bello e il cattivo tempo in Tv alternandosi con il M5s per attaccare governo e partito democratico di cui prima faceva parte integrante e di cui ha condiviso le stesse scelte che adesso insulta. Sguardo sprezzante e labbra arricciate dallo sdegno, il suo leader ufficioso Massimo D'Alema compare in tutti i programmi televisivi (mancano solo Lo Zecchino d'Oro ed Elisir), con il solo risultato di affossarne gli indici di ascolto, ultimo in ordine cronologico Carta Bianca. Mentre Bersani dimostra di non aver imparato nulla dal flop clamoroso dell'imbarazzante retorica del "giaguaro", e - forse per burla, forse per velleità di showman inespresse, non è dato sapere - continua a inventarsi strampalate metafore animalier che scatenano l'ilarità della rete senza però rosicchiare un solo voto in più. Comunicativamente e iconograficamente vecchi, vecchissimi, praticamente mummie viventi (malgrado Speranza abbia solo 38 anni), al confronto delle quali il pur ottuagenario Berlusconi appare un roseo neonato. 

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