Politica

M5S-Lega, contratto di governo ancora vivo e vegeto

di Angelo Lucarella

Il possibile gran finale di legislatura tra guerra ed elezioni

La politica insegna ai colpi di scena. Così come l’arrivo di Mario Draghi anche l’arrivo di un governo tecnico

 

Lo ricordiamo tutti com’è nato il governo Conte I.

Lega e Movimento 5 stelle uniti da un fattor comune: i voti degli elettori per governare.

Verso Palazzo Chigi la strada da Palazzo Madama o da Montecitorio, d’altronde, è davvero breve.

“Il presente contratto di governo è valido per la durata della XVIII legislatura repubblicana”.

È quanto prevede il famoso contratto di governo tra Lega e M5S (cioè il modello siglato dopo le elezioni del 4 marzo 2018).

Se ci si sofferma un attimo a leggere le premesse di quell’atto (contraenti Luigi Di Maio, all’epoca “Capo Politico del MoVimento 5 Stelle”, e Matteo Salvini “Segretario Federale della Lega”), ci si può accorgere di come esso ci porti alla dimensione di governo attuale, ovviamente, con tutte le variabili politico-parlamentari intervenute con il Governo Conte II e Governo Draghi.

Al di là della questione giuridica su cui illustri esperti si sono espressi, rimane il solco tracciato da un accordo tra forze politiche che coltivano, sostanzialmente, lo stesso terreno pur partendo da situazioni evolutivo-partitiche diverse. Non a caso si pensa ed immagina ad un sottaciuto “asse tra Lega e M5S” sulla questione bellico-ucraina tenuto conto che simili sembrano, tra l’altro, le linee assunte da Matteo Salvini e da Giuseppe Conte (ora al comando dei grillini dopo l’esperienza da timoniere di Governo).

La prova del nove porterebbe a riflettere sul contenuto del contratto di governo del 2018 per percepire “chi, come e cosa” sia al centro dello spirito politico di queste due forze che, si ricordi, oggi siedono nuovamente insieme al governo.

Si può cogliere un filo conduttore tra l’idea di difesa e di politica estera stando al come Lega e M5S stessi considerassero “opportuno rivalutare” la presenza del nostro Paese “nelle missioni internazionali sotto il profilo del loro effettivo rilievo per l’interesse nazionale”.

Una frase, quest’ultima, che a seconda del metro di valutazione può esser considerata in contrasto o, paradossalmente, in linea con quanto sta accadendo e con quanto stanno dichiarando da più giorni rispettivamente Conte e Salvini.

“Si conferma l’appartenenza all’Alleanza atlantica, con gli Stati Uniti d’America quale alleato privilegiato, con una apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante. A tal proposito, è opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico…”.

Ora, che il contratto di governo fosse funzionale per salire a Palazzo Chigi è un dato di fatto, ma per quanto possa esser anche caduto nella sua disapplicazione pratica, dati i cambiamenti avvenuti (Salvini pur essendo Segretario federale della Lege Nord ha fondato “Lega per Salvini premier”, Dimaio non più Capo Politico, M5S con nuovo statuto post Casaleggio, ecc.), ciò non toglie l’anima di congiunzione delle due forze politiche per come si sono espresse all’epoca.

Attenzione: non è questo un giudizio di valore, morale, ecc. ma una mera constatazione d’analisi sul piano politico (e che non escluderebbe anche quella di rilievo costituzionale).

“Non costituendo la Russia una minaccia militare, ma un potenziale partner per la Nato e per l’UE” è un’altra frase che si collega a quanto sin qui detto. Anche su questo passaggio, si badi bene però, non può che far intendere come fosse lontanamente immaginabile un cambio di rotta di Mosca in termini di politica estera specie sul fronte della gestione delle spinte separatiste in Donbass ucraino. Cosa che, però, non toglie dal campo di analisi la radice del ragionamento: la visione di politica estera congiunta di Lega e M5S dal 2018.

Siamo quasi a ridosso dell’ultimo “giro finanziario” prima delle nuove elezioni nel 2023, ma ci sono questioni che fanno pensare che quel contratto di governo sia ancora sentito e percepito come l’unico strumento di tenuta di due forze politiche che, per forza di cose, dovranno dimostrare di rimanere le più rappresentative nel Parlamento che verrà (dei 600).

Molto difficile? La politica insegna ai colpi di scena. Così come l’arrivo di Mario Draghi anche l’arrivo di un governo tecnico (solo di forma) potrebbe essere l’idea per rinfrescare un vecchio latinismo: pacta sunt servanda (ovvero i patti vanno rispettati).

E il contratto di governo è ancora vivo e vegeto. A quanto pare.

 

 

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