Politica

Coronavirus: bene Conte premier equilibrato, non “equilibrista”

Aprire la politica per non chiudere l’Italia

Di Massimo Falcioni 

Sul Coronavirus si poteva e si doveva fare meglio e di più preparandosi alla botta della seconda ondata. Ci sono stati limiti ed errori del governo, più per aver delegato eccessivamente le decisioni alle troppe “task force” e alle regioni che per eccesso di centralizzazione politica. Un modo di tenere al coperto e preservare l’esecutivo e la sua claudicante maggioranza dalle scosse e dai rimbalzi negativi della pandemia che per reale volontà politica di dare poteri ad altri. Fors’anche dovuto alla paura di scegliere e di decidere offuscando e calpestando, così, la democrazia.   

Ora, la tattica del governo di tranquillizzare gli italiani attraverso gli annunci-sermone del premier, non regge più. Idem il disco rotto delle opposizioni incentrato sul NO. Come non basta più, per contenere gli effetti della pandemia, la politica del “fare melina”, del lasciare carta bianca ai Governatori regionali, del sottostare alle spinte corporative delle organizzazioni di categoria e ai ricatti delle mille consorterie,  alle promesse dei bonus, agli interventi a pioggia per fini elettoralistici e di potere. Ma ancor peggio sarebbe l’opposto, cedendo adesso all’allarmismo dilagante e associandosi all’isteria di chi vuol dare l’assalto al Palazzo, far chiudere tutto e subito: un suicidio per l’economia e per il Paese. Il Coronavirus dilaga, ovunque nel mondo. Non è allarmismo dirlo. E’ prendere atto della realtà, cercando di capire come affrontarla per non esserne travolti. Chi nega l’evidenza, perché allergico alla razionalità o per misero calcolo politico, se per di più  diventa fomentatore del caos sociale, è un sovversivo e come tale va trattato usando la legge e chi la legge è chiamato a far rispettare. I nodi stringono il governo sul piano sanitario, sul piano economico, sul piano sociale con ripercussioni politiche dalle conseguenze oggi non prevedibili.

Con il nuovo Dpcm annunciato per domenica 25 ottobre – verosimilmente un coprifuoco  notturno dalle 21 di sera alle 5 del mattino -  si cerca di uniformare a livello nazionale le misure oggi per lo più a macchia di leopardo, diverse da regione a regione. Ma Conte, non senza ragione, resiste a scienziati e a politici che invocano il lockdown totale, insiste per misure di contenimento del contagio scongiurando la chiusura generalizzata per evitare l’arresto dell’attività produttiva e lavorativa, la chiusura delle scuole e degli uffici pubblici. In altre parole, lockdown mirati e risarcire subito chi è costretto a chiudere evitando bonus a pioggia. Anche perché c’è una Italia per la quale il lockdown non comporta nessun sacrificio perché a fine mese lo stipendio o il reddito arriva comunque. Mentre per l’altra Italia chiudere può significare perdere tutto, o quasi. Ecco perché non basta la linea data dai “professori” delle task force ma serve la mediazione, la sintesi, la decisione della politica.

E’, questa, quella di Conte, la via della responsabilità, o se più aggrada, della responsabile fermezza, l’unica possibile e praticabile. Perché sia fattibile serve un Paese cosciente di quel che accade, però in un contesto politico diverso da quello attuale. Mandare tutto “a carte quarantotto”, ad esempio con una scossa sociale che produca  crisi di governo ed elezioni anticipate, sarebbe come cadere dalla padella alla brace. Fermi, però, non si può stare. Quel “cambiare passo” chiesto al governo da settimane su queste stesse pagine web di Affaritaliani diventa ora una urgenza politica prima che, imponendo un altro durissimo lockdown, la situazione precipiti, oltre che sul piano sanitario e su quello economico, anche sul piano sociale con riflessi sull’ordine pubblico come ha paventato il ministro degli Interni Lamorgese.

Già a Napoli ieri sera c’è stato l’anticipo di quel potrebbe estendersi al Sud, vero e proprio “Mezzogiorno di fuoco”, un test e un segnale che potrebbe ampliari ovunque in Italia fomentato da chi soffia sul fuoco nella logica del “tanto peggio tanto meglio”. 

La palla in mano ce l’ha Conte. Tocca a lui giocarla. Non il Conte costretto agli equilibrismi più arditi per i limiti strutturali e la precarietà del governo eterogeneo basato su M5S e Pd (due partiti “incompatibili” fino all'harakiri di Salvini), ma il Conte equilibrato cui tocca però oggi andare oltre la mediazione dello status quo per quel cambio di passo e quel salto di qualità nell’agire politico e nell’azione di governo che la gravità del momento richiede. Conte può evitare la crisi politica (e di governo) che comporterebbe il salto nel buio e al contempo può indicare e gestire una nuova fase che superi le attuali contrapposizioni fra maggioranza e opposizione, dando quel segnale di rinnovamento e unità, indispensabile all’Italia per non soccombere e tentare la rinascita. Non un governo di “unità nazionale” per cui non ci sono oggi né la classe dirigente, né i partiti, né le condizioni politiche e socio-economiche nazionali e internazionali della metà degli anni ‘70 della prima Repubblica. Oggi non ci sono le bombe dello stragismo “nero” né i colpi assassini delle BR. Ma c’è un nemico forse ancora più subdolo e pericoloso, poi c’è da ridisegnare e gestire la ricostruzione. Se parlare di governo di “unità nazionale” è troppo, perché non ricominciare a pensare a una fase di passaggio, pro tempore, sulla base di una nuova “solidarietà nazionale”?