Politica

M5s a pezzi, la colpa non è di Di Maio. Grillini? Finiranno come i comunisti

Gianni Pardo

Di Maio è un povero ragazzo che la storia ha catapultato in una vicenda per la quale non era tecnicamente preparato

Voci ricorrenti e insistenti parlano delle dimissioni di Luigi Di Maio da leader politico del M5s. E la prima cosa da dire è che queste voci non valgono niente. Prima uno dice: “Farebbe bene a dimettersi”. Poi un altro osserva: “Sì, dando le dimissioni Di Maio eviterebbe parecchie responsabilità” e un terzo dice: “Ho sentito parecchie persone parlare delle dimissioni di Di Maio” . Così infine un quarto conclude: “Sembra sicuro che a giorni Di Maio si dimetterà”. Senza che magari l’interessato abbia detto una sillaba, in quella direzione.

Viceversa potrebbe effettivamente averla detta, e quelle voci servirebbero soltanto ad attutire la sorpresa. In conclusione, riguardo a quelle dimissioni non sappiamo nulla. Ma potrebbe essere un sintomo interessante l’unica cosa sicura: il fatto che se ne parli.

Di Maio è un povero ragazzo che la storia ha catapultato in una vicenda per la quale non era tecnicamente preparato, anche se ha uno straordinario fiuto per le forme della politica. Se anche da prima ha inciampato in quale congiuntivo – cosa che gli è stata fin troppo rimproverata – di solito si muove con disinvoltura. Parla bene il politichese e si comporta come un politico navigato. Purtroppo ha più imparato come si sta sulla scena che come si governa. È come Hugh Laurie: uno che si presenta benissimo come medico geniale capace di straordinarie diagnosi, e che tuttavia non è il dottor Gregory House ma soltanto un eccellente attore inglese. E proprio questo parallelo ci fornisce la chiave per interpretare il fenomeno Di Maio.

Nello schema del “serial” televisivo, il dr.House afferma qualcosa che tutti trovano inverosimile, si batte contro tutti, e alla fine si scopre che tutti avevano torto e lui ragione. Perché lui è un genio della medicina. Nella realtà invece, se uno studente di medicina che non è riuscito a completare gli studi e a conseguire la laurea, riesce a passare per un dottore, e perfino a lavorare in un ospedale, come è avvenuto, la sua prima preoccupazione sarà quella di non fare mai nulla di strano. Di non azzardare mai un’affermazione medica che possa allarmare i colleghi. In linea di principio farà quello che qualunque altro medico farebbe al suo posto, coinvolgendo il massimo numero di colleghi nella linea terapeutica. La caratteristica del grande medico è l’indipendenza di giudizio, la caratteristica del finto medico è il conformismo professionale.

Di Maio non aveva e non poteva avere la competenza del grande statista. Se oggi tanti – anche all’interno del M5s - vorrebbero vederlo sparire, e se i risultati della sua attività politica sono stati deludenti, probabilmente non è colpa sua, ma del partito di cui ha seguito, più che interpretato, la linea. Forse si vorrebbe fare di Di Maio il capro espiatorio di colpe non sue.

Le colpe del M5s sono state innumerevoli ed evidenti sin dal primo momento. E poiché perfino in questa sede esse sono state ripetutamente descritte, si eviterà di farlo ancora una volta. L’unica novità è lo scorrere del tempo. Se, ancora sotto l’influenza dell’indignazione per il modo come era stata governata l’Italia, e pieni di speranze per la novità rappresentata dall’arrivo al potere di tutta una compagine di “homines novi”, gli italiani per qualche mese hanno strizzato gli occhi per non vedere nelle mani di chi si erano messi, il tempo raffredda tanto gli entusiasmi quanto le speranze. E presenta il conto.

Se oggi l’edificio del M5s cade a pezzi non è colpa di Di Maio, è colpa dell’ingegnere che l’ha progettato. Per esempio, non si può partire da una mentalità giacobina, egualitaria e utopica, per poi creare un partito autoritario, verticistico e perfino avido di denaro. Denaro che esige con le minacce, come un qualunque boss di periferia. E questo senza renderne conto, per versarlo al suo cassiere, a capo di un’impresa privata. Il Movimento si crede al riparo da tutto, minaccia espulsioni ad ogni piè sospinto, e pensa di non tenere conto dei risultati nella vita del Paese. Come se il verbo del “guru”, in base ad una incontestabile “Rivelazione”, dovesse prevalere su ogni messaggio della realtà.

L’accumulazione di questi errori, più gli insuccessi in tutte le consultazioni elettorali, più le numerose defezioni, anche di fedelissimi, più iniziative demenziali come quella sulla prescrizione nel processo penale, più la fragilità dell’attuale maggioranza di governo, fanno sì che il Movimento sia in una crisi che sembra irreversibile. Ecco perché, se Di Maio si dimette, difficilmente il partito troverà di meglio, come figura apicale. Chiunque si veda affidare quel tarlato bastone di comando apparirà piuttosto come un commissario liquidatore che come un condottiero che condurrà il partito alla vittoria.

Molti anni fa Berlinguer parlò del venir meno della “spinta propulsiva” del partito comunista. Finché si crede in un’ideologia, e si considerano i risultati negativi semplici controindicazioni, si spera che il futuro compenserà largamente i prezzi pagati. Quando invece ci si convince che è l’ideologia stessa, ad essere sbagliata, e che essa è insalvabile, ci si deve preparare alla dissoluzione. Se Achille Occhetto tolse l’aggettivo “comunista” alla denominazione del Partito, fu perché quell’aggettivo era divenuto più un costo che un utile. Occhetto sperava che un nuovo partito più o meno socialista (come l’avrebbe voluto Bettino Craxi) fosse ancora un polo d’attrazione per i lavoratori. Ma forse sperava troppo.

E tuttavia il partito comunista italiano ci ha messo circa settant’anni ad accorgersi che aveva imboccato da sempre una strada sbagliata. Il M5s invece ci ha messo meno di un anno. E si vuol dare la colpa di un simile fenomeno al giovane disoccupato di Pomigliano d’Arco?