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Diga Trinità in Sicilia, una storia di sprechi ed immobilismo

Realizzata in terra battuta settanta anni fa, la diga di Castelvetrano ha sempre assolto in minima parte ai propri compiti, in una terra in perenne crisi idrica. Nel 2025 i riflettori si sono riaccesi sulla struttura

di Federico Ughi

Diga Trinità in Sicilia, una storia di sprechi ed immobilismo

Settant’anni fa, nel cuore della Valle del Belìce, nasceva un progetto ambizioso: la diga Trinità di Castelvetrano, costruita tra il 1954 e il 1959 con i fondi della Cassa del Mezzogiorno. L’opera, pensata per servire l’agricoltura di Campobello di Mazara, Mazara del Vallo e Castelvetrano, avrebbe dovuto irrigare oltre ottomila ettari di terreno. Ma quella che doveva essere una delle infrastrutture simbolo della rinascita meridionale è rimasta, nei fatti, un'incompiuta: realizzata sostanzialmente in terra battuta, mai collaudata, instabile, capace di contenere appena due dei venti milioni di metri cubi previsti. Oltre quella soglia, l'acqua finisce sversata in mare per ragioni di sicurezza.

Diga Trinità, imperdonabile spreco in una terra assetata

Già negli anni Ottanta la diga veniva usata più per la pesca sportiva che per l'agricoltura. Oggi è  divenuta simbolo di immobilismo e spreco in una regione che ogni estate soffre drammaticamente la siccità. Non è un caso isolato, peraltro: in Sicilia, su 26 bacini artificiali, dieci versano in condizioni simili, molti mai collaudati, altri colmi di fango o privi di impianti di distribuzione. A Castelvetrano, le autobotti della Protezione civile svuotano la diga a ritmi forzati, disperdendo 130 mila metri cubi al giorno, mentre i campi intorno restano a secco. Un paradosso ed uno spreco imperdonabili.

La storia si ripete da decenni. Piove, l’invaso si riempie, e poi si svuota per motivi di sicurezza. La gestione è affidata al Consorzio di bonifica della Sicilia occidentale, ma il vero nodo è l'assenza di collaudi e di interventi strutturali. Nel 2016 erano stati stanziati tre milioni di euro per verifiche sismiche e adeguamenti dell’infrastruttura. Tutto fermo. Le verifiche previste per il 2018 non sono mai partite. E mentre la Regione investiva nella rete di distribuzione, la diga restava vuota.

La battaglia politica è ripresa nel 2025

Nel gennaio 2025, il Ministero delle Infrastrutture ha imposto alla Regione una decisione drastica: o si procedeva alla messa in sicurezza dell’invaso, o si svuotava completamente fino a quota 50 metri. Un aut-aut che ha fatto esplodere le tensioni politiche. Il presidente della Regione Renato Schifani ha convocato un vertice con il ministro Matteo Salvini per fermare lo svuotamento. Intanto Coldiretti e Confagricoltura lanciavano l’allarme: senza quell'acqua, oltre 2.500 ettari di coltivazioni rischiavano il collasso.

Il 21 febbraio, dopo un sopralluogo della Protezione civile e del consulente regionale Salvatore Miliziano, si è aperto uno spiraglio. Le valutazioni tecniche sono risultate "incoraggianti": la diga sarebbe stabile. Si ipotizza di fermare lo svuotamento a quota 60-61 metri. Ma per molti, come la deputata M5S Cristina Ciminnisi, è troppo poco: ne servirebbero almeno 63-64 per garantire la stagione irrigua. Anche il PD, con il deputato Dario Safina, accusa la Regione di immobilismo e chiede soluzioni immediate: dal recupero dell'acqua dispersa ai laghetti collinari.

La quota di sicurezza della diga Trinità e gli interventi necessari

A marzo 2025 la nuova possibile svolta. La superperizia tecnica avviata dalla Regione conferma che la diga è sicura fino a quota 64 metri. Il commissario ad acta Salvo Cocina dispone la chiusura dello scarico di fondo. L'acqua può finalmente restare nell'invaso. Una scelta presa in accordo con la Prefettura di Trapani, l'Ufficio Dighe di Palermo, l'Autorità di bacino e i Comuni coinvolti. Si attende ora il pronunciamento della Direzione Dighe di Roma per un riesame definitivo del provvedimento di esercizio limitato.

Nel frattempo, si progettano nuove opere: impermeabilizzazione dei punti critici, miglioramento della rete idrica per ridurre gli sprechi, piani di sicurezza sismica. Ma gli agricoltori temono che, ancora una volta, tutto resti sulla carta. E molte sono le vigne che rischiano di scomparire.