Politica
Elezioni: analisi del sorpasso di Giorgia Meloni e Fdi su Enrico Letta e il Pd
I dati di Baldassari di Lab21.01 sull'andamento dei due principali partiti: così i Dem hanno perso (male) le elezioni, pur partendo in vantaggio
Meloni +7,5%, Letta -3,8%: elezioni 2022, i numeri dello storico sorpasso
Oggi criticare il Pd è facile come sparare sulla Croce Rossa, ma la prospettiva cambia se si analizza più in profondità la dinamica che ha portato al risultato elettorale dello scorso 25 settembre. E, se possibile, da questo punto di vista le proporzioni del fallimento Dem diventano ancora più clamorose.
Siamo un Paese dalla memoria corta, quindi abbiamo facilmente dimenticato come solo pochi mesi fa il Pd contendesse a Fratelli d'Italia il ruolo di primo partito in Italia, quantomeno nei sondaggi. Queste rilevazioni, tuttavia, fotografano la staticità di un determinato momento, quindi, per capire meglio il trend che ha portato Giorgia Meloni al sorpasso vincente, abbiamo chiesto a Roberto Baldassari, direttore generale di Lab21.01, di ricostruire l'andamento degli ultimi otto mesi.
La sua analisi evidenzia come lo scorso febbraio il Pd fosse il partito più gradito agli italiani, con il 21,7% dei consensi (potenziali), contro il 19,2% di FdI. Un quadro netto, anche se i Dem allora marciavano da soli, senza gli innesti (ad esempio da Art. 1, Socialisti e società civile), che poi avrebbero puntato a rinforzare la lista allargata Democratici e Progressisti. “Per uniformità di analisi” - spiega Baldassari ad affaritaliani.it - “abbiamo ricostruito l'andamento del Pd scorporando il suo dato da quello delle altre forze entrate nella lista allargata, mentre alcune rilevazioni unificate nelle settimane preelettorali avevano falsato la lettura della situazione”.
Il grafico di Baldassari è, invece, di una chiarezza lampante. Se a febbraio il Governo Draghi era saldamente al comando del Paese, il Premier godeva di un credito personale enorme e il Pd era il più draghiano dei partiti coinvolti nell'esecutivo di “unità nazionale”, nelle settimane successive il quadro è cambiato totalmente.
In primavera, quando sono cominciate le tensioni all'interno della maggioranza, il gap a favore del Pd si è ridotto. In questa dinamica, è importante sottolineare come la crescita di FdI sia stata graduale: non si sono registrati incrementi esponenziali, bensì un cammino costante che, nel tempo, ha premiato la scelta di Giorgia Meloni di stare all'opposizione del “governo dei migliori”.
Il 21 luglio l'incantesimo di “Supermario” si è rotto con lo strappo del M5S, poi seguito anche da Lega e Forza Italia. I due partiti del centrodestra, che precedentemente sostenevano il governo, probabilmente hanno considerato che tenere in vita l'esecutivo avrebbe aumentato a dismisura il consenso nei confronti di FdI, che tra metà giugno e metà agosto erano arrivati a ridosso del Pd, con un distacco sempre inferiore al punto percentuale. Un'inezia.
Il sorpasso di Meloni su Letta si è concretizzato nella settimana del 21 agosto, guarda caso il giorno dell'annuncio del faccia a faccia tra i due a “Porta a Porta”, che poi è stato annullato dopo l'intervento dell'AgCom. Il Pd ha pagato l'insistenza sulla fantomatica agenda Draghi ed anche lo sconcertante sviluppo delle proprie alleanze, dopo la rottura con il M5S e la decisione di Carlo Calenda di uscire dalla coalizione (7 agosto), con +Europa che invece è rimasta in squadra insieme all'alleanza Verdi/Sinistra, protagonista di diversi scontri polemici con il leader di Azione. Una vicenda che ha lasciato molti a bocca aperta, mentre nel frattempo la leader di FdI si accreditava a livello internazionale anche con riuscite interviste come quella a Fox (5 agosto).
Un ulteriore concausa di questo ribaltone va ricercato nella ripresa della maggior parte delle attività lavorative, dopo le ferie: la prima campagna elettorale della storia nel periodo estivo non ha certo appassionato gli italiani, che solo a un mese dal voto hanno iniziato a maturare le loro scelte, polarizzando una dinamica che già in precedenza vedeva FdI marciare verso la vetta.
Pd e M5S: da alleati a rivali nella ricerca del voto progressista
La suddetta polarizzazione è stata accentuata anche dalle scelte comunicative del Pd, con Letta che spesso ha parlato di un'unica possibilità di scelta (“O noi o Meloni”) e una campagna che Baldassari definisce “dicotomica, con una divisione tra bene e male che non è riuscita a calarsi nei problemi reali delle persone”. Anche così si spiega la forte rimonta del M5S, che soprattutto al sud ha strappato diversi voti al Pd ponendosi come “la vera forza progressista” e sventolando la bandiera del Reddito di Cittadinanza, una scelta molto azzeccata da parte del duo Conte-Casalino. Infine, il flusso dei voti mostra chiaramente come il forte astensionismo abbia penalizzato particolarmente il Pd, visto l'alto tasso di non votanti tra gli anziani, bacino nel quale i Dem abitualmente pescano a piene mani.
Tre giorni dopo il voto del 25 settembre Enrico Letta si è dimesso da segretario, pur accettando di traghettare il Pd fino al congresso. È finito così un ciclo durato 561 giorni e i consensi del principale partito di centrosinistra sono precipitati al 17,9%: -3,8% rispetto a otto mesi prima. Al contrario, prima ancora di ricevere l'incarico formale di formare il nuovo governo, Giorgia Meloni è salita ulteriormente nei sondaggi, arrivando al 26,7%: nel suo caso, c'è una crescita di ben 7,5 punti percentuali nello stesso periodo.
Un successo frutto della costanza e della coerenza, ma non certo scontato. Fino a quattro settimane dal voto, il Pd sperava ancora di poter risultare il primo partito d'Italia. Alcune autorevoli fonti Dem avevano infatti rivelato ad affaritaliani.it che solo in quel caso Letta avrebbe potuto dirsi soddisfatto, pur essendo ampiamente prevista la sconfitta della coalizione di centrosinistra, e quindi avrebbe potuto abbinare la guida dell'opposizione a quella del Pd.
In casi come questi ognuno ha la sua legittima opinione e molti si sentono in obbligo di condividerla. I numeri spiegano invece in maniera scientifica come - al di là del chiacchericcio - la situazione sia cambiata in maniera radicale nel giro di un tempo molto breve. Un elemento che il Pd dovrebbe mettere al centro della propria riflessione, anche in vista del congresso, ben prima di giocare al toto-nomi su chi prenderà il posto di Letta, che non può certo essere considerato l'unico responsabile di una debacle così netta e repentina. A patto però che se ne comprendano davvero le ragioni.