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Politica
Elezioni anticipate a settembre, ecco il “Renzusconi”

Di Massimo Falcioni

Il tormentone di questa estate anticipata e politicamente bollente riguarda le elezioni, se si vota il prossimo settembre o a febbraio 2018. Il “pro” e il “contro”, ideologicamente o in veste di fan, appassiona gli italiani, come sempre divisi fra guelfi e ghibellini, fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti, berlusconiani e antiberlusconiani, renziani e antirenziani, grillini e antigrillini in una commedia sempre attuale, fra farsa e tragedia. Oggi, con l’Italia nella palude di una crisi infinita dove soffia forte il vento dell’antipolitica e dei populismi di vario colore, il “partito” più debole è quello di Gentiloni e del suo governo. Come può essere diversamente se è proprio il leader (Matteo Renzi) del partito di governo (il Pd) il primo ad averne già decretato il de profundis? In politica i tempi contano e Renzi, dopo essere stato costretto alle dimissioni da Palazzo Chigi e dalla segreteria del Pd e avere poi riconquistato la legittimità politica con il 69% alle primarie, vuole tenere il pallino in mano e giocare la partita della vita pronto a spingere Gentiloni al forfait, andare subito al voto e candidarsi a Palazzo Chigi con la sua faccia sulle schede elettorali da premier. Una scelta oculata da leader di coraggio e di gran fiuto o una mossa azzardata da boxeur suonato oramai all’angolo del ring? Da sempre in Italia le elezioni politiche anticipate sono state considerate una iattura ma poi si è andati spesso alle urne prima della scadenza naturale della legislatura per gli interessi dei partiti o dei loro leader e non per il bene del Paese. Sulla bilancia, da una parte c’è il rischio di un governo Gentiloni che faccia da qui a febbraio 2018 quel che ha fatto da dicembre 2016, cioè poco o nulla. Il debole riformismo di Gentiloni è percepito dagli italiani come immobilismo della peggior Dc, quindi tempo perso, perciò un governo inutile o addirittura dannoso, da mandare a casa prima possibile. Dall’altra, con la fine anticipata della legislatura e con le elezioni a settembre o a ottobre, c’è il rischio del salto nel buio. Qui siamo. C’è voglia di cambiamento, di futuro. C’è l’esigenza di dare risposte a problemi di grande portata, nazionali e internazionali. Renzi non può vestire più gli abiti del messia ma, vista la platea dei contendenti, può sempre presentarsi come “usato” di pochi… chilometri, un usato “garantito”. Da solo, Matteo non ce la fa e non basteranno i tifosi per vincere in una campagna elettorale assai difficile. A Renzi l’aiuto arriva dall’altra sponda, dal “nemico” Berlusconi. Battuti politicamente, cacciati entrambi dalla porta, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi sono pronti a rientrare dalla finestra per tornare a governare l’Italia con una inedita e imbarazzante alleanza Pd-Forza Italia. L’accordo fra i due ex premier su un nuovo sistema elettorale proporzionale, sul modello tedesco opportunemente acconciato, è oramai cosa fatta, dopo di che non sarà difficile trovare l’incidente di percorso per dare il benservito al governo Gentiloni, puntando diritti alle elezioni anticipate. Per indorare la pillola e lenire i mal di pancia dei rispettivi elettorati da sempre su campi avversi, sia Renzi che Berlusconi non diranno la verità sui propri disegni strategici marciando intanto divisi per poi, dopo il voto, unirsi quali “salvatori della patria”, per un governo di larghe intese: una alleanza “ad usum delphini” che, con molta fantasia, potrebbe anche essere definita di nuovo centro-sinistra. Una svolta per la politica ma non la stazione d’arrivo che sarà poi, in un percorso non facile, la costituzione del Partito della Nazione, di fatto la DC del nuovo millennio. Una operazione politica di grande portata – al di là dell’identità e dei programmi tutti da scrivere – con Renzi e Berlusconi ben oltre la riproposizione tout court del Patto del Nazareno, protagonisti di un inedito progetto, addirittura “storico”. Così come il centrismo del primo dopoguerra e poi il successivo centro-sinistra consentirono la governabilità dell’Italia e lo sbarramento contro il PCI, oggi – in tempi, modi, partiti e leadership ben diversi – la “straordinaria” alleanza promossa dai due capi del pidì e degli “Azzurri” consentirebbe la formazione di una maggioranza parlamentare potenzialmente stabile e forte, un Parlamento meno frammentato (grazie allo sbarramento al 5%), l’isolamento nell’angolo dell’opposizione del M5S da una parte e della Lega e della destra e della estrema sinistra, dall’altra. Renzi non ha nessuna intenzione di allearsi con i partiti-partitini a sinistra del Pd, per altro elettoralmente irrilevanti e politicamente frammentati e inaffidabili. Non esiste realisticamente nessuna possibilità per un rassemblement del Pd e della sinistra in funzione di diga contro l’incubo di una vittoria grillina e come alt al nuovo patto del Pd renziano con il centrodestra moderato di Berlusconi. Su tutto (e su tutti) pende poi la spada di Damocle della manovra ad ottobre di oltre 40 miliardi, una mazzata per gli italiani che poi se la ricorderanno nelle urne. Un “regalone” al M5S e alla Lega che Renzi vuole evitare nell’unico modo possibile: votare a settembre, fare lui stesso la manovra lacrime e sangue con un suo nuovo governo forte del necessario consenso   elettorale e politico. Per Renzi e per Berlusconi è l’ultimo treno. Per l’Italia l’ultima speranza o il salto nel precipizio?       

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