Govermo M5S, Di Maio sul trapezio dei “due forni” - Affaritaliani.it

Politica

Govermo M5S, Di Maio sul trapezio dei “due forni”

Massimo Falcioni

Salvini deus ex machina. Compromessi e alleanze in campo

Dice il saggio: “Si vis pacem para bellum”. Dice Di Maio: “La guerra è finita, diamo un governo al Paese”. A chi parla il capo dei 5S che volteggia sul trapezio della politica dei “due forni” per evitare l’isolamento anche dopo la bocciature Ue del reddito di cittadinanza, un asso nella manica nella recente battaglia elettorale? Parlare a nuora perché suocera intenda, quindi ora aggrapparsi al Pd per… ingelosire e contenere il galoppo di Matteo Salvini, vera “bestia nera” di Di Maio. Salvini è sul campo il “deus ex machina” dei giochi che contano, capace di fare dell’autonomia della Lega non un totem ma un volano nel centrodestra e oltre per una politica di movimento aggiornando la sua visione alla realtà, senza rinnegarla. Di Maio, evidentemente consapevole che senza un deciso cambio di linea i voti presi dal M5S il 4 marzo sono “in naftalina”, quindi politicamente inutilizzabili, cioè inutili all’Italia e agli italiani, prova a mischiare le carte, adesso aprendo al Pd, quel Pd fino all’altro ieri: “Da mandare via a calci, male dell’Italia” e via dicendo in un rosario di contumelie da rendere messaggi di cortesia gli assalti (non solo verbali) fra comunisti e fascisti nel dopoguerra e oltre. A quale Pd si rivolge adesso Di Maio? A tutto il Pd, però su una scala di priorità nella logica di inserirsi come cuneo per accentuare crepe, strizzando l’occhio a Gentiloni ma togliendo anche il veto su Renzi, il quale si smarca rilanciando con una punta velenosa: “Trattiamo con il M5S se Di Maio rinuncia alla premiership”. Sempre Di Maio, stavolta rivolto alla Lega, insiste – ma con minor veemenza - nel “No” ad una alleanza col centrodestra con dentro anche Berlusconi (“E’ il passato”). E il Cav, a sua volta, attenua la furia anti 5S e per uscire dall’angolo, si accoda ai voleri di quel Salvini duttile regista, con un centrodestra ricompattato pronto a salire unito al Colle per le consultazioni-bis. Che succede? Soprassalto di realismo dopo le parole di Mattarella (“Nessun partito e nessuno schieramento dispone, da solo, dei voti necessari per formare un governo e sostenerlo”)e presa d’atto che in democrazia il 51% non è una variabile indipendente? O banali tatticismi? Battibecchi da comari per alimentare gelosie e astiosità seminando trappole? Questo e di più. Fatto sta che la giostra malandata della politica nostrana torna a girare. Così pare, dopo il primo giro di consultazioni infruttuose ma con l’invito di Mattarella ai partiti di essere realisti partendo dai numeri emersi dal voto del 4 marzo e responsabili per cercare comunque un accordo nella logica del proporzionale e non del maggioritario. Che significa? Significa tirar fuori dal cassetto una parola che nessuno osava più nominare: compromesso. Senza il quale la politica è solo contrapposizione. E significa anche tornare a tessere pazientemente la tela delle alleanze senza le quali, in mancanza di numeri com’è oggi, è un girare attorno al nulla, bolla di sapone. Di Maio, cambiando le carte in tavola, sa bene di essere entrato in un terreno paludoso e gioca con le parole: “ Non si tratta di alleanza, ma di contratto con Lega o Pd”. Già. Se non è zuppa è pan bagnato. Bene così. Terza repubblica? Mai dire mai, mettendoci, se questo dovesse essere l’epilogo del nuovo gioco, gli ingredienti della prima Repubblica. Non si è sempre detto che la politica è l’arte del possibile? Sarebbe davvero il salto di qualità di questa classe dirigente di partiti personali e padronali e di bassa leadership che – proprio in nome del realismo e della reciproca legittimazione – dimostrerebbe di avere un ruolo e di essere utili al Paese e agli italiani. E i roboanti slogan della campagna elettorale del muro contro muro, della vocazione maggioritaria, del faccio tutto mi, della negazione degli avversari e di ogni rapporto di collaborazione con loro per non essere contaminati? Verrebbe a cadere, così, tutta l’impalcatura su cui da sempre poggia il M5S anti partiti e anti sistema? Per fare la frittata bisogna rompere le uova e imbrattarsi un po’ le mani. Idem in politica. In un quadro che ha bisogno di fatti per dimostrarsi effettivamente nuovo, in una ridefinizione di identità, di alleanze, ruoli di maggioranza e di opposizione, non è solo il M5S a dover cambiar pelle e sostanza. Tutti i partiti sono costretti a farlo, mantenendo ciascuno, ovvio, la propria identità.

Se fra i partiti e i loro leader possono davvero cadere gli steccati dei veti incrociati evitando al Paese rischi inutili come il ricorso immediato a nuove elezioni (per tornare a votare a giugno occorre sciogliere le camere entro un mese, prima del 9 maggio) c’è da identificare un comune denominatore politico impegnandosi sul piano decisivo dei contenuti programmatici e anche delle singole personalità, non solo strettamente di governo. Eccessivo ottimismo? Allo stato della fiera occorre stare con i piedi per terra. Non si può mettere il carro davanti ai buoi perché l’interesse dei singoli partiti e quello delle rispettive leadership può sempre mandare tutto a carte quarantotto. Quindi, nessuna illusione che l’ingrovigliata matassa sia già risolta. Fatto sta che il segnale dato dal capo dello Stato pare essere stato colto, quanto meno nell’aver capito che il venticello del Colle permette alla politica e ai partiti di tirar su le vele uscendo dalle secche. Per andare dove? Adesso è importante la disponibilità politica al nuovo avviandosi a un dialogo effettivo e concreto (imprescindibili per Mattarella la fedeltà ai valori e ai trattati dell’Unione, non solo quelli economici, a garanzia dell’interesse nazionale), senza reciproci out-out, privi di lance e di elmetti. Stavolta Mattarella, coerente con il proprio stile, ha ascoltato tutti invitandoli alla riflessione e all’azione. Al prossimo giro di valzer nessuno può salire al Colle con la bisaccia vuota. In qual caso, forse, il capo dello Stato non si limiterebbe ad ascoltare mettendo i partiti con le spalle al muro di fronte a quella che non sarebbe più una proposta ma una scelta imprescindibile. Un esecutivo “tecnico” e “a tempo”, per sbrigare poche cose (tra cui la nuova legge elettorale) e tornare in autunno alle urne? Comunque, no ad avventure. Due dei tre blocchi politici hanno l’”obbligo” di allearsi. Poi si vedrà. L’appetito, si sa, vien mangiando. Non è detto che una volta a tavola, dopo l’antipasto, non convenga continuare con le altre portate. Per interesse dei commensali o del Paese cui serve fiducia, stabilità, credibilità? L’alternativa politica vera è di là da venire e spetta agli italiani trovarla, con il voto. In democrazia è così. Serve tempo e non solo. Ma indietro non si torna. Guai generare nuova confusione e nuove delusioni.