Politica

Governo Meloni, prime nomine: altro che machete, il Pd prende tutto

di Egidio

Il governo conferma Ruffini e Dal Verme, ma anche Biagio Mazzotta. La Meloni voleva Antonio Turicchi? Passa la scelta più conservativa: Riccardo Barbieri

Due settimane fa, il governo Meloni, per mano del ministro Giorgetti, aveva l’opportunità di fare piazza pulita. Ma su tre posizioni da cambiare ha deciso di mantenerne due, proprio quelle più legate ai democratici: Ruffini e Dal Verme.

Ruffini amministrerà per i prossimi anni la riscossione e la lotta all’evasione, eppure Giorgia Meloni aveva criticato più volte le metodologie della sua gestione, in particolare sul calcolo dell’evasione. La Dal Verme, attraverso il demanio, amministrerà una parte consistente dei fondi PNRR, in particolare ha in pancia non solo i soldi, ma anche la struttura di tecnici che dovrebbe aiutare i sindaci italiani a spendere più velocemente i fondi. Ergo, praticamente può scegliere se accelerare l’esecuzione del PNRR (oppure no).

In queste ore, se possibile, andavano prese delle decisioni ancor più importanti: la ragioneria generale dello stato è esiziale per un governo, ne decide vita e morte. Emettendo la famigerata “bollinatura” attraverso una struttura tecnica preparatissima, è in grado di avere l’ultima parola su ogni tipo di provvedimento di legge. A nulla valgono le elezioni e i programmi elettorali. Senza la “bollinatura” della ragioneria, le leggi non passano.

Poi c’è il direttore del tesoro, che in alcuni casi è il vero capo del governo. Guida di fatto tutte le società partecipate di Stato, colloca sul mercato il debito pubblico, presenzia a tutti i tavoli di governo più importanti su decisioni strategiche. È infatti il ruolo che ha ricoperto Mario Draghi all’inizio della sua carriera.

Cosa avrà deciso il ministro Giorgetti - quindi il Presidente del Consiglio - circa il destino dei due “piddissimi” Biagio Mazzotta (capo della ragioneria) e Alessandro Rivera (capo del tesoro)?

Nel primo caso, neanche a dirlo, c’è l’ennesima riconferma (siamo a quattro su sei), nel secondo caso si è deciso per un avvicendamento. Ma non è stato deciso il nome che voleva Giorgia Meloni, Antonio Turicchi. Bensì si è fatta una scelta più conservativa, ovvero Riccardo Barbieri: un interno al ministero - non proprio arrivato a colpi di machete - e per giunta promosso a capo della direzione numero uno di quel dicastero (Analisi Economico Finanziaria), nel 2015, proprio durante il periodo di massima forza di Matteo Renzi.

Vogliamo sottolineare che tutte le persone citate, sono alti funzionari dello Stato che mai hanno dato prova di infedeltà o di poca professionalità. Tutti questi ruoli sono stati amministrati con il massimo senso delle istituzioni. E non ci sarebbe neanche da analizzare i fatti in questo modo, se non fosse che un autorevolissimo membro del governo e del partito di Giorgia Meloni - interpretando il sentimento del loro elettorato - ha scatenato un dibattito sulla necessità di cambiare tutti i cosiddetti “frenatori”.

Insomma, non sappiamo quando arriverà l’epoca delle lame affilate. Ma per ora, di molto tagliente, resta ancora la gestione del potere del Pd, che anche in epoche di governi di destra-centro, continua a fare asso piglia tutto.