Politica
Draghi premier anche dopo le elezioni (fino al 2028). Il piano c'è. Eccolo
Il tutti contro tutti a destra e a sinistra rilancia il proporzionale. Così Draghi resta a Palazzo Chigi fino al 2028
Centrodestra e Centrosinistra lacerati dopo le elezioni comunali
A destra come a sinistra, passando per il centro. Ormai è tutti contro tutti. All'indomani del secondo turno delle elezioni comunali, il dato politico che emerge in modo sempre più chiaro è che le due principali coalizioni sono lacerate al loro interno, con divisioni anche all'interno di alcuni dei principali partiti. Il risultato di questa maionese impazzita? Il probabile ritorno al sistema proporzionale senza premio di maggioranza e con uno sbarramento attorno al 4%.
D'altronde, ragionano diverse fonti parlamentari, sembra quasi impossibile trovare la quadra bossiana per le Politiche, soprattutto nei collegi uninominali previsti dal Rosatellum. A destra, tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini la tensione è sempre alle stelle, soprattutto per la sconfitta a Verona. E proprio la città di Romeo e Giulietta ha scatenato anche un durissimo scontro tra Flavio Tosi, Forza Italia, e Fratelli d'Italia. C'è poi il caso Lombardia. La Lega ha confermato la ricandidatura di Attilio Fontana alla presidenza nel 2023 ma i partito di Silvio Berlusconi spinge per l'opzione Letizia Moratti dopo l'autocandidatura della vicepresidente della regione. Senza parlare poi del caso Sicilia. In autunno si vota e il Centrodestra è ancora in alto mare.
Nel Centrosinistra il famigerato campo largo che tanto piace a Enrico Letta resta un miraggio a livello nazionale. "L'Italia non è Alessandria, sarà quasi impossibile mettere tutti insieme", spiegano fonti Dem. Il Pd è solo apparentemente unito, ma al suo interno le diverse anime hanno visioni diverse anche sul tema delle alleanze. Il M5S si è appena spaccato con la scissione di Luigi Di Maio e la nascita di Insieme per il Futuro e i rapporti tra il ministro degli Esteri e l'ex premier rendono quasi impossibile un'intesa elettorale. Senza contare che sia Carlo Calenda sia Matteo Renzi, che non si amano pur essendo entrambi al centro, mai e mai farebbero un accordo con il M5S aprendo, forse, a un dialogo con Di Maio.
Ma anche al centro il caos regna sovrano. Luigi Brugnaro e Giovanni Toti, che non sono più così in sintonia, oscillano tra il Centrodestra e l'ipotesi di alleanza con il Pd. E in Forza Italia c'è l'area che fa capo ai tre ministri che vorrebbe staccarsi dall'abbraccio con la destra di Meloni e Salvini per tentare una strada centrista. Insomma, una situazione confusa e variegata che spinge verso il sistema proporzionale nel quale, come accade alle Europee, ogni partito fa la corsa da solo e poi si vedrà in Parlamento. Uno scenario, sempre più probabile, che è quello ideale per non avere nel prossimo Parlamento né una maggioranza di Centrodestra né una di Centrosinistra.
E quindi per tornare, a urne chiuse, alla soluzione delle larghe intese (tra l'altro la guerra in Ucraina non sembra finire a breve con le drammatiche conseguenze economiche che si porta dietro) e con Mario Draghi (se vorrà) di nuovo a Palazzo Chigi. Esattamente il progetto di Calenda, Renzi e anche di alcuni Pd (Marcucci) e azzurri (Brunetta). Ma probabilmente anche di Di Maio. E, perché, di alcuni leghisti come Giancarlo Giorgetti.