Politica
M5S, dagli stati generali un siluro al tavolo col Pd per le comunali
Cinque stelle nella fortezza Bastiani. Dalle alleanze alla composizione della segreteria, i nodi restano. In attesa del voto su Rousseau
Come è finito il tanto atteso congresso del Movimento cinque stelle? Al momento, senza vincitori e né vinti. Ma solo con le munizioni parate in bella vista sul campo. Dopo le sessioni provinciali e regionali, iniziate il mese scorso, e quella nazionale di ieri mattina, le conclusioni degli Stati generali sono state affidate nel pomeriggio ai big. Cinque minuti a testa per disegnare il Movimento del futuro. Cinque minuti in cui, alla fine della fiera, ciascuno ha portato acqua al suo mulino, giocando insomma la propria personale partita. Al capo politico reggente Vito Crimi ora l’onere di fare una sintesi.
Fatta eccezione per la questione del doppio mandato, sulla quale sembra consolidato il vincolo, almeno per consiglieri regionali, parlamentari ed europarlamentari, ci sarà molto ancora da decidere, a cominciare dalla composizione dell’organo collegiale - con l’opzione inoltre di una sorta di segreteria ristretta con massimo sette componenti - e fino al nodo delle alleanze. Anche se su questo aspetto, tra l’altro carico di conseguenze per il governo e per i rapporti del M5s con gli alleati dem, il mood prevalente pare essere quello a favore di intese programmatiche e non strutturali. Si tratta di questioni, comunque, tutte di là da venire. Per scioglier la matassa, infatti, bisognerà attendere le votazioni. Prima sui temi. E lo stesso Crimi in un’intervista al Corriere della sera ha spiegato che ancora non si è deciso se ci sarà un voto unico sul documento finale o per parti separate. E poi sui componenti della struttura che dovrà guidare il M5s. Consultazioni che, particolare non da poco, si svolgeranno su Rousseau. E cioè proprio sulla piattaforma sempre più nel mirino dei Cinque stelle, con la maggior parte dei pentastellati che vorrebbe ridefinire ruolo e funzione dell’associazione. E nonostante il suo presidente, Davide Casaleggio, abbia disertato con polemica gli Stati generali.
La resa dei conti, dunque, è rimandata. Fino al voto, perciò, la guerra di posizione è destinata a proseguire. E questo i big del Movimento lo sanno bene. Così come sanno e temono che gli orientamenti prevalenti oggi potrebbero cambiare domani, scontentando chi in questo momento sente di avere il vento in poppa. Una sindrome da fortezza Bastiani, insomma. Tutti in attesa della grande occasione. Solo che davanti a sé il Movimento ha tutt’altro che un deserto dei Tartari, tra la sfida del Covid, da un lato, e appuntamenti ineludibili come l’elezione del nuovo capo dello Stato, dall’altro. Partite nelle quali il premier Giuseppe Conte gioca un ruolo tutt’altro che da comprimario. Ecco perché, scrutando l’orizzonte, nel Movimento c’è più d’uno che tifa, ma anche più d’uno che teme, l’effetto sorpresa. Che poi tanto sorpresa non è. Vale a dire che tutto questo impegno nel disegnare il M5s del futuro possa alla fine diventare funzionale proprio al presidente del Consiglio. Una parabola che, d’altronde, i Cinque stelle hanno già sperimentato spianando la strada all’avvocato di Volturara Appula per Palazzo Chigi.
Nel frattempo, ognuno in casa M5s ha giocato per sé. A cominciare da Conte, invitato a partecipare alla giornata finale. Il presidente del Consiglio ha fatto il presidente del Consiglio. E quel passaggio sul dilemma tra la coerenza delle idee e la possibilità di cambiare opinione - “Quando governi devi, bisogna avere intelligenza e coraggio per cambiarle quando ci si accorge che ci sono nuove idee migliori" - ne è stata la prova. Se è per questo ha fatto lo stesso anche Alessandro Di Battista, che gli altri big a cominciare da Di Maio provano a imbrigliare nell’organo decisionale, convinti di arginarlo ma pure di relegarlo a capo di una minoranza interna. Con una dose di “maanchismo”, c’è da dirlo, che non ci si sarebbe aspettati dal rivoluzionario Cinque stelle. Dibba ha infatti detto di non vedere l’ora di tornare in prima linea. Al tempo stesso, tuttavia, ha posto i suoi paletti, dal no alla deroga al doppio mandato al no alle alleanze elettorali, passando per la richiesta di un comitato di garanzia senza esponenti di governo per regole e nomine nei ministeri e nelle partecipate.
Il Movimento del futuro targato Luigi Di Maio? In realtà, l’ex capo politico M5s lo va dipanando da mesi. Ci lavora già dall’indomani del suo passo indietro. Con la leadership allargata, cuore della sua “mozione”, che ha già vinto sull’idea di un capo politico, sponsorizzata da Casaleggio e Di Battista. Ieri, quindi, il ministro degli Esteri ha portato acqua al suo mulino, pronunciando parole distensive, almeno di facciata, nei confronti di Davide Casaleggio, dispensando abbracci al grande assente Beppe Grillo, e aprendo alle alleanze programmatiche e non strutturali, sebbene dalle Regionali in poi avesse lui per primo premuto il piede sull’acceleratore per costruire intese col Pd in vista delle comunali. Un piccolo avvicinamento a Di Battista, suo eterno rivale politico, ma per allinearsi a un sentimento prevalente nella base e non certo per compiacere il suo ex “fratello gemello”, al quale non ha risparmiato bordate.
A un Di Maio ecumenico, però, ha fatto da contraltare un Roberto Fico più disallineato. Il presidente della Camera ha abbandonato per una volta il suo aplomb e spiegato senza girarci intorno che occorre “proseguire il confronto con il centrosinistra con cui siamo al governo e condividiamo un'agenda da portare avanti, anche a livello amministrativo, dove sarà possibile”, senza snaturare l’autonomia del Movimento. Non solo, ma Fico è stato poi il più tranchant nello stroncare chi si erge a paladino delle origini: “Siamo cambiati ma non ci sono persone piu' pure di altre", ha affondato. D’altronde, la partita della terza carica dello Stato non è mai cambiata da quando ha preso il largo, anche con il suo apporto, il governo Conte due. E così il Movimento del domani targato Fico porta inevitabilmente acqua al mulino del governo.
Il governo appunto. Per mesi si è temuto l’appuntamento con il congresso grillino proprio per gli scossoni che avrebbe potuto arrecare alla tenuta dell’esecutivo. “E invece - racconta ad Affaritaliani una fonte qualificata M5s -, come al solito, le cassandre sono state smentite. Paradossalmente, se a Stati generali terminati, il Movimento è ancora tutto da definire, ciò che non ha bisogno di definizione, a prescindere da coloro che prenderanno il timone di questa forza politica, sono i rapporti con l’esecutivo. E’ scontato infatti che il M5s terrà la barra dritta e non farà mai mancare il suo sostegno al premier Conte”.
Certo, sulle alleanze il discorso è diverso: “Se c’è qualcuno che oggi non può dirsi contento di come si sia concluso il nostro congresso - tira le somme un altro Cinque stelle - quello è senza dubbio Nicola Zingaretti. Se il segretario del Pd sperava che gli Stati generali potessero plasmare un M5s nell’alveo del centrosinistra sarà rimasto deluso”. Per dirla con un altro insider pentastellato: “Quale conclusione si può trarre da questi Stati generali? E’ semplice: l’idea del tavolo per le comunali, a lungo sponsorizzata da Luigi Di Maio, è stata azzoppata. Ne esce con più di una ammaccatura. Eventuali alleanze non si possono decidere apriori. I territori continueranno ad avere un peso come è stato fino ad ora. Un punto importante - conclude - messo a segno dalla base”.