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Politica
Matteo Salvini, dopo la "marcia su Roma" l'incoronazione del popolo
MATTEO SALVINI (Foto Lapresse)

La narrazione leghista dell’adunata di ieri a Piazza del Popolo non è da sottovalutare non tanto dal punto di vista politico quanto dal punto di vista sociologico che, poi, in tempi lunghi, è la necessarissima sovrastruttura portante.

Anche un altro Matteo, e cioè Renzi, nei tempi del trionfo alle Europee in cui il suo partito superò il 40%, propose qualcosa di simile, ma poi incappò nei noti errori, soprattutto comunicativi.

Il Matteo padano ha un elemento che il Matteo fiorentino non ebbe: l’immedesimazione con il popolo.

E non è una frase retorica perché se si limitasse ad essa, si restringerebbe il campo di verità interpretativa e si cadrebbe in un errore di superficialità politica e sociale.

Salvini ha, per quelle rare combinazioni della storia, centrato la frequenza di risonanza del popolo italiano e cioè riesce a immedesimarsi come un tutt’uno nelle speranze, nella volontà, nella determinazione e financo nel pragma, cioè nell’azione, con quello che i sociologi del novecento chiamavano “volk”.

Si vede che il leader leghista ha letto Gustave Le Bon, la "Psicologia delle folle”, uno dei testi preferiti, tra l’altro anche da Benito Mussolini e da Giuseppe Stalin.

Salvini ha mostrato ieri alla “piazza” le caratteristiche migliori, dal punto di vista comunicativo, dei leader più influenti italiani.

Ha la “simpatia” guascona di Renzi, ha la gigioneria compiaciuta di Berlusconi, ha il contatto diretto con la folla di un Almirante, ma anche l’intelligenza democristiana di un Fanfani, senza tralasciare addirittura accenti di sinistra pacifista retaggio forse di quando era leader dei “comunisti padani”.

Il leader leghista ha chiesto un mandato diretto al popolo per trattare con Bruxelles, una specie di incoronazione laica in cui la gente si sente gratificata per il coinvolgimento diretto.

È riuscito ad emozionarsi realmente, e questa sua “fragilità emotiva” si trasforma magicamente in un punto di forza in un’epoca che considera fondamentale l’emotività.

Parla anche di “amore e speranza”, ma lo fa con la felpa della Polizia, un segnale forte che nessun altro ministro dell’Interno precedente si sarebbe mai potuto permettere prima.

Parla utilizzando potenti simboli immaginifici che risuonano nell’inconscio collettivo del popolo, parla di una Europa  “dagli Urali all’Atlantico”, parla di culle da aumentare e parla di umanità contrapposta alla gelida economia dei tecnocrati di Bruxelles, trovando il tempo di infilare Martin Luther King ”Non serve farsi la guerra per farsi nemici, basta dire quello che si pensa” e Alcide De Gasperi ”Un bravo politico non pensa alle prossime elezioni, ma alle prossime generazioni” e poi la stoccata a favore di Giovanni Paolo II (e contro Papa Francesco) che “per qualcuno oggi sarebbe un pericoloso populista”.

Dietro a tutto il motore della comunicazione di Salvini, Luca Morisi, docente di Filosofia dell’Informatica all’Università di Verona, una sorta di secondo Casaleggio verde che ogni giorno si occupa di “amplificare”, come dice lui, la voce, già di per sé potente, del vicepresidente del Consiglio.

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