Politica

Ministero della Sovranità alimentare, era ora!

Era ora che ci si ricordasse, in Italia, delle potenzialità del mercato sotteso al comparto primario

L’identità di una civiltà si costruisce anche con la divulgazione culturale, prima che con l’implementazione commerciale dei cibi domestici


Di Mario Tocci *

Qualsiasi giudizio in ordine all’operato del Governo deve essere subordinato, onde godere della necessaria seria sostenibilità, alla verificazione del raggiungimento dei tracciati obiettivi programmatici.

Lungi, dunque, dall’esprimere valutazioni che, per quanto appena considerato, risulterebbero del tutto “irricevibili” e vanno quindi necessariamente sospese, non è da trascurare l’importanza di uno dei fini affidati al “nuovo” dicastero investito delle competenze di regolamentazione del comparto agrario: quello della sovranità alimentare, così addirittura testualmente esplicitata nella denominazione formale del Ministero medesimo.

Sarebbe invero deludente constatare, in divenire, una declinazione del concetto di sovranità alimentare in direzione di un bieco e dannoso mero protezionismo dei prodotti agricoli nostrani. Ma se – come invece e piuttosto appare – essa sovranità si traducesse nella pianificazione, stabile e duratura, di una serie di iniziative mirate alla valorizzazione e alla promozione delle derrate alimentari (per dirla semplicisticamente) del Bel Paese, non si potrebbe che essere contenti e soddisfatti. Certamente, siffatte iniziative non dovrebbero favorire condotte realizzatrici dei vietati aiuti di Stato o scivolare in antipatiche e poco utili politiche denigratorie dei cibi dei nostri vicini di casa (sebbene il pericolo non sembri sussistere, al lume delle proclamate e preannunciate vocazioni atlantiste ed europeiste dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni).

Era ora che ci si ricordasse, in Italia, delle potenzialità (fino a questo momento latamente inespresse) del mercato sotteso al comparto primario.

Ben venga, quindi, una sovranità alimentare che – pur compatibilmente con lo sviluppo di un circuito produttivo e commerciale di respiro globale – ponga in primo piano l’agricoltura del territorio italico.

Tanto sarà possibile solo col coinvolgimento delle professionalità a vario titolo e con ogni ruolo coinvolte nonché mediante un processo di “culturalizzazione” delle attività interessate, al punto di includerle nel ricco patrimonio culturale (altresì immateriale) della Nazione e renderle così destinatarie delle norme promozionali vieppiù dettate al riguardo.

In quanto, senza tema di smentite, l’identità di una civiltà si costruisce anche con la divulgazione culturale, prima che con l’implementazione commerciale – quantunque doverosa – dei cibi domestici.

Buon appetito, carissima Italia!

 

* Avvocato – Docente Universitario